Correva l’estate 1969 e per il secondo anno di seguito mi guadagnavo un po’ di soldi da spendere durante l’anno scolastico, facendo nei mesi estivi il bagnino sulla spiaggia romana di Castelporziano. Prendevo anche il sole ed il mare, cosa che non mi faceva male. I soldi guadagnati durante quei due mesi mi servivano poi durante tutto l’anno, per le mie piccole spese senza dover gravare sui miei genitori, che di soldi non ne avevano molti. Fu un’esperienza di lavoro e di vita interessante, perché si poteva conoscere una varia umanità e farsi dei ricordi che ancora oggi mi riescono di ammaestramento. Per farci riconoscere dai bagnanti, cioè dai romani che venivano a farsi il bagno nella spiaggia gratuita di Castelporziano, donata dal presidente della repubblica al Comune di Roma, indossavamo una cannottiera di ordinanza con i colori capitolini e la sigla S.P.Q.R., che oggi è oggetto dell’attenzione dei media, per l’ennesima esternazione del padano Bossi.
L’uomo non dice quasi mai nulla di suo. Ma l’ultima sua sortita viene presentata come se si trattasse una sua libera interpretazione. La sigla SPQR viene svolta come “Sono Porci Questi Romani” in luogo del classico e pagano “Senatus Populusque Romanus”, che non ha proprio nulla a che fare con la realtà politica e amministrativa odierna della città di Roma. È in effetti solo una vanagloria del passato che meglio illustra e documenta l’infinita miseria politica del presente, dove Roma non solo è serva dei barbari che l’hanno vinta, umiliata e invasa, ma è afflitta da un ceto politico (il suo “Senatus” odierno?) che trae il massimo di godimento da quella “cupidigia di servilismo” che un “padre della patria”, cioè Vittorio Emanuele Orlando, aveva rimproverato ai politici che si precipitarono a firmare il trattato di pace in nome di quel popolo italiano che dal vincitore veniva loro dato in appalto. Ed in quanti si sono arricchiti con quell’appalto, gelosamente trasmesso da padre in figlio fino ai giorni nostri!
Bossi non si è inventato nulla, perché ricordo bene come un mio compagno di lavoro, già nel 1969, si divertiva a tradurre S.P.Q.R., impresso nella nostra cannottiera, con “Sono Porci Questi Romani”. Mentre scrivo, proprio adesso alcuni operai che ho in casa, pure loro romani e che non si sentono per nulla personalmente offesi, mi dicono che negli anni novanta è pure uscito un film addirittura con lo stesso titolo: S.P.Q.R., dove si parla pure di “porci” e non già di “pazzi” in versione edulcorata alla Asterix. Ma, già nel 1969, non si trattava di una personale invenzione del mio collega bagnino, perché era una voce di popolo che nessuno avrebbe potuto rivendicare come sua propria creazione: nessun copyright poteva essere rivendicato. Naturalmente, noi che portavamo la maglietta S.P.Q.R. non ci consideravamo per nulla “porci”. Anzi, dovevamo avere l’accortezza di toglierci la cannottiera ad intervalli regolari, per non trovarci poi con la tipica abbronzatura dei muratori, che lavoravano nei cantieri sotto il sole con la cannottiera. Il collega bagnino da cui avevo sentito per la prima volta la traduzione della sigla, dava anche una variante, che era la seguente: «Sindaco Petrucci Quanto Rubasti?» Ad essere ora onesti, io non so se l’allora sindaco Petrucci sia mai stato coinvolto in qualche scandalo e se il motto del mio compagno di allora, che mai più rividi e di cui neppure ricordo il nome, fosse semplicemente uno scherzo.
Questa seconda traduzione di S.P.Q.R. dimostra però che si trattava di un diceria, polemica, con cui i cittadini romani, che facevano il bagno a Castel Porziano, ed i Bagnini che li servivano, intendevano in questo modo esprimere una critica ed un biasimo ai politici, che già allora avevano in mano la gestione della cosa pubblica. Non avrei ricordato questo episodio del 1969 se la cronaca di questi giorni non me lo avesse fatto trarre fuori dall’archivio della mia memoria. Passarono gli anni e venne poi la stagione di “Mani Pulite”, strumentale e ipocrita quanto si vuole, ma non priva di fondamento. Ricordo sul tema ancora un altro episodio, assolutamente vero, ma qui richiamato solo per il suo valore esemplificativo.
Ricordo di aver letto, in non so quale anno, su un quotidiano cittadino il caso di un amministratore sorpreso con il denaro di una tangente nascosto nelle mutande. Il fatto rimarchevole non è però questo, cioè che il denaro venisse nascosto nelle mutande. Ricorreva la celebrazione dell’assassinio di Giacomo Matteotti, ad opera del fascismo e di cui Mussolini in parlamento si assunse la responsabilità, suscitando una grande reazione emotiva che avrebbe già allora nel 1925 potuto portare alla caduta del regime. Il mutandiere, di cui non ricordo il nome, or dunque ebbe a fare il solito discorso commemorativo, come usano sempre i politici, giusto in tempo per essere sorpreso, in quella stessa giornata, in flagranza di reato mentre intascava la mazzetta, che cercò malamente di nascondere proprio nelle mutande. Ecco, appunto, chi può certamente essere considerato un “porco”: chi ruba e abusa della pubblica fede, sfruttando la sua impunità politica. Da questa genia siamo in Roma tutti persuasi di essere ancora afflitti e di non poterceli scrollare di dosso: per uno che se ne scopre, cento restano ignoti e impuniti.
Anziché offenderci, noi comuni cittadini romani, dobbiamo ringraziare Bossi, per aver detto lui ciò che noi singolarmente e personalmente non possiamo dire, ottenendo eguale visibilità e risonanza e soprattutto passandola franca. Voglio vedere adesso un Alemanno chiedere a Berlusconi di “cacciare” Bossi dal governo. Può chiedere (e ottenere) che venga “cacciato” qualche insegnante, come nel caso di un docente di liceo, sospeso dietro espressa richiesta capitolina e colpevole solo di dire quel che pensava oltre che di fare onestamente il suo lavoro. Dubito che Alemanno ottenga da Berlusconi la “cacciata” di Bossi dal governo o la sua sospensione dal parlamento per non meno di sei mesi. Quanto al Croppi, che ieri sera reggeva il sacco e tentava difese d’ufficio e di circostanza, davanti alla voce meccanica, monotona e saltellante di un mezzobusto televisivo, per la quale siamo costretti a pagare il canone, sono certo che si inventi di sana pianta il fatto che i cittadini romani stiano tutti dietro a lui ed al suo sindaco. Come fa a saperlo? Lo dice lui, sapendo di non poter essere smentito, non essendoci strumenti di verifica. Può anche dire che i marziani la pensano come lui.
Come elettore di Alemanno, mio malgrado, sarò ben lieto di “cacciare” io questo sindaco alle prossime elezioni, se penserà di presentarsi per un nuovo mandato, non confermandogli il mio voto. Mi auguro anche di poterlo contestare, se sfasciatosi il PdL, come sembra e come è augurabile, in dibattiti interni di partito mi sarà possibile, democraticamente, quella critica contemplata dall’art. 49 della costituzione ma alla quale i politici si sono sempre sottratti. Un filosofo calabrese del Settecento, che dieci anni prima della rivoluzione francese scrisse una critica di Rousseau in tre volumi sull’irriducibile ineguaglianza fra gli uomini, ci insegnava a difenderci dalle menzogne dei politici in questo modo:
Nel frattempo gli sviluppi del caso non sembrano placarsi e Bossi rincara la dose dando del “sepolcri imbiancati” ai critici della sua “battuta”. L’immagine appare quanto mai appropriata ed i cittadini romani, che non si sentono per nulla toccati dai “porci”, non hanno eccessiva difficoltà a decifrare il riferimento. Sembra anche un fin troppo trasparente tentativo di trarre vantaggio, cavalcando una protesta tutta montata dai media, quello di Rutelli, già sindaco di Roma, che annuncia “querela” contro il Senatur, che davanti a qualsiasi giudice potrà opporre il suo diritto alla “critica politica”. Di Rutelli i Romani ancora aspettano la Linea D, che doveva essere inaugurata in tempo per il giubileo del 2000 in onore di Dini, ma ancora nel 2010 non vedono neppure la linea C. Quelli dell’UDC minacciano poi come ritorsione la “sfiducia” per questa sera di mercoledì 29 settembre, alle ore 19, che vedranno l’ennesimo braccio di ferro di Berlusconi con il rischio di una caduta del governo, ai cui numeri restano in sospeso il voto dei finiani. Chi ha un poco di memoria, per l’UDC, che si candida alla rappresentanza di una presunta indignazione dei romani, non può non ricordare l’incredibile episodio di un parlamentare sorpreso con allegre donnette in un albergo romano. Anziché disporne l’espulsione dal partito, per flagrante violazione di ogni elementare principio di etica pubblica, il suo segretario ebbe l’ardire di proporre una specifica, nuova, indennità per i parlamentari, i quali poverini, lontani per alcuni giorni alla settimana dalle legittime mogli, si trovavano esposti alle “tentazioni” e quindi costretti a soddisfare i loro bisogni con allegre donnette, raccolte per strada o in più lussuosi bordelli. Bossi, se la sigla lo avesse consentito, avrebbe ben potuto dire, più fondatamente, “Sono Porci Questi Politici” e pare dubbio che tutta la consorteria dei politici, detta la Casta, potesse avere l’appiglio legale per una querela: “piove, governo ladro!”
L’uomo non dice quasi mai nulla di suo. Ma l’ultima sua sortita viene presentata come se si trattasse una sua libera interpretazione. La sigla SPQR viene svolta come “Sono Porci Questi Romani” in luogo del classico e pagano “Senatus Populusque Romanus”, che non ha proprio nulla a che fare con la realtà politica e amministrativa odierna della città di Roma. È in effetti solo una vanagloria del passato che meglio illustra e documenta l’infinita miseria politica del presente, dove Roma non solo è serva dei barbari che l’hanno vinta, umiliata e invasa, ma è afflitta da un ceto politico (il suo “Senatus” odierno?) che trae il massimo di godimento da quella “cupidigia di servilismo” che un “padre della patria”, cioè Vittorio Emanuele Orlando, aveva rimproverato ai politici che si precipitarono a firmare il trattato di pace in nome di quel popolo italiano che dal vincitore veniva loro dato in appalto. Ed in quanti si sono arricchiti con quell’appalto, gelosamente trasmesso da padre in figlio fino ai giorni nostri!
Bossi non si è inventato nulla, perché ricordo bene come un mio compagno di lavoro, già nel 1969, si divertiva a tradurre S.P.Q.R., impresso nella nostra cannottiera, con “Sono Porci Questi Romani”. Mentre scrivo, proprio adesso alcuni operai che ho in casa, pure loro romani e che non si sentono per nulla personalmente offesi, mi dicono che negli anni novanta è pure uscito un film addirittura con lo stesso titolo: S.P.Q.R., dove si parla pure di “porci” e non già di “pazzi” in versione edulcorata alla Asterix. Ma, già nel 1969, non si trattava di una personale invenzione del mio collega bagnino, perché era una voce di popolo che nessuno avrebbe potuto rivendicare come sua propria creazione: nessun copyright poteva essere rivendicato. Naturalmente, noi che portavamo la maglietta S.P.Q.R. non ci consideravamo per nulla “porci”. Anzi, dovevamo avere l’accortezza di toglierci la cannottiera ad intervalli regolari, per non trovarci poi con la tipica abbronzatura dei muratori, che lavoravano nei cantieri sotto il sole con la cannottiera. Il collega bagnino da cui avevo sentito per la prima volta la traduzione della sigla, dava anche una variante, che era la seguente: «Sindaco Petrucci Quanto Rubasti?» Ad essere ora onesti, io non so se l’allora sindaco Petrucci sia mai stato coinvolto in qualche scandalo e se il motto del mio compagno di allora, che mai più rividi e di cui neppure ricordo il nome, fosse semplicemente uno scherzo.
Questa seconda traduzione di S.P.Q.R. dimostra però che si trattava di un diceria, polemica, con cui i cittadini romani, che facevano il bagno a Castel Porziano, ed i Bagnini che li servivano, intendevano in questo modo esprimere una critica ed un biasimo ai politici, che già allora avevano in mano la gestione della cosa pubblica. Non avrei ricordato questo episodio del 1969 se la cronaca di questi giorni non me lo avesse fatto trarre fuori dall’archivio della mia memoria. Passarono gli anni e venne poi la stagione di “Mani Pulite”, strumentale e ipocrita quanto si vuole, ma non priva di fondamento. Ricordo sul tema ancora un altro episodio, assolutamente vero, ma qui richiamato solo per il suo valore esemplificativo.
Ricordo di aver letto, in non so quale anno, su un quotidiano cittadino il caso di un amministratore sorpreso con il denaro di una tangente nascosto nelle mutande. Il fatto rimarchevole non è però questo, cioè che il denaro venisse nascosto nelle mutande. Ricorreva la celebrazione dell’assassinio di Giacomo Matteotti, ad opera del fascismo e di cui Mussolini in parlamento si assunse la responsabilità, suscitando una grande reazione emotiva che avrebbe già allora nel 1925 potuto portare alla caduta del regime. Il mutandiere, di cui non ricordo il nome, or dunque ebbe a fare il solito discorso commemorativo, come usano sempre i politici, giusto in tempo per essere sorpreso, in quella stessa giornata, in flagranza di reato mentre intascava la mazzetta, che cercò malamente di nascondere proprio nelle mutande. Ecco, appunto, chi può certamente essere considerato un “porco”: chi ruba e abusa della pubblica fede, sfruttando la sua impunità politica. Da questa genia siamo in Roma tutti persuasi di essere ancora afflitti e di non poterceli scrollare di dosso: per uno che se ne scopre, cento restano ignoti e impuniti.
Anziché offenderci, noi comuni cittadini romani, dobbiamo ringraziare Bossi, per aver detto lui ciò che noi singolarmente e personalmente non possiamo dire, ottenendo eguale visibilità e risonanza e soprattutto passandola franca. Voglio vedere adesso un Alemanno chiedere a Berlusconi di “cacciare” Bossi dal governo. Può chiedere (e ottenere) che venga “cacciato” qualche insegnante, come nel caso di un docente di liceo, sospeso dietro espressa richiesta capitolina e colpevole solo di dire quel che pensava oltre che di fare onestamente il suo lavoro. Dubito che Alemanno ottenga da Berlusconi la “cacciata” di Bossi dal governo o la sua sospensione dal parlamento per non meno di sei mesi. Quanto al Croppi, che ieri sera reggeva il sacco e tentava difese d’ufficio e di circostanza, davanti alla voce meccanica, monotona e saltellante di un mezzobusto televisivo, per la quale siamo costretti a pagare il canone, sono certo che si inventi di sana pianta il fatto che i cittadini romani stiano tutti dietro a lui ed al suo sindaco. Come fa a saperlo? Lo dice lui, sapendo di non poter essere smentito, non essendoci strumenti di verifica. Può anche dire che i marziani la pensano come lui.
Come elettore di Alemanno, mio malgrado, sarò ben lieto di “cacciare” io questo sindaco alle prossime elezioni, se penserà di presentarsi per un nuovo mandato, non confermandogli il mio voto. Mi auguro anche di poterlo contestare, se sfasciatosi il PdL, come sembra e come è augurabile, in dibattiti interni di partito mi sarà possibile, democraticamente, quella critica contemplata dall’art. 49 della costituzione ma alla quale i politici si sono sempre sottratti. Un filosofo calabrese del Settecento, che dieci anni prima della rivoluzione francese scrisse una critica di Rousseau in tre volumi sull’irriducibile ineguaglianza fra gli uomini, ci insegnava a difenderci dalle menzogne dei politici in questo modo:
«…Quindi quando sentite dire, che i Magistrati son servi pubblici, e soggetti a mille cose, di cui gli altri sono esenti, rispondete, che chi serve per comandare, è sempre più libero di colui, che ubbidisce per non poter servire»Oggi, nel 2010, siamo afflitti dalla retorica e dalla menzogna istituzionalizzata. Per l’abbondanza di mezzi di stampa e di carta stampata di ogni genere, sembrerebbe che i nostri siano tempi felici per la libertà del pensiero e la sua espressione. In realtà, viviamo nei tempi più bui, dove impera la manipolazione e l’inganno sistematico, ad opera dei media, un “regno” hobbesiano delle tenebre, che i nostri padri forse neppure si immaginavano. Se nella civilissima Germania sono ben 200.000 le persone perseguite penalmente per meri reati di opinione, dal 1994 ad oggi, e casi come quello di Vincent Reynouard, in Francia, non sono per nulla isolati, non possiamo non deprecare – come esempio di sprechi di Roma “ladrona” – da una parte il sacrificio di importanti istituzioni musicali che hanno visto il sindaco pesantemente contestato e dall’altra il “regalo” di 23 milioni di euro che l’amministrazione comunale ha elargito a noti gruppi di pressione, che chiedono e sempre ottengono, ma con il solo risultato di aver prodotto un ulteriore giro di vite sulla libertà di pensiero e di espressione, anche dei cittadini romani e con aggravio dei contribuenti, anche padani, se l’Italia – come chiesto dalla Lobby che non esiste, otterrà anche per l’Italia l’estensione della normativa tedesca o francese. Ci voleva un Bossi padano per esprimere il disagio e l’insofferenza dei cittadini romani.F. Grimaldi, Riflessioni sopra l’ineguaglianza fra gli uomini,
Napoli 1780, vol. III, p. 65-66,
ma anche in De Cive, 1996, n° 2, p. 56.
Nel frattempo gli sviluppi del caso non sembrano placarsi e Bossi rincara la dose dando del “sepolcri imbiancati” ai critici della sua “battuta”. L’immagine appare quanto mai appropriata ed i cittadini romani, che non si sentono per nulla toccati dai “porci”, non hanno eccessiva difficoltà a decifrare il riferimento. Sembra anche un fin troppo trasparente tentativo di trarre vantaggio, cavalcando una protesta tutta montata dai media, quello di Rutelli, già sindaco di Roma, che annuncia “querela” contro il Senatur, che davanti a qualsiasi giudice potrà opporre il suo diritto alla “critica politica”. Di Rutelli i Romani ancora aspettano la Linea D, che doveva essere inaugurata in tempo per il giubileo del 2000 in onore di Dini, ma ancora nel 2010 non vedono neppure la linea C. Quelli dell’UDC minacciano poi come ritorsione la “sfiducia” per questa sera di mercoledì 29 settembre, alle ore 19, che vedranno l’ennesimo braccio di ferro di Berlusconi con il rischio di una caduta del governo, ai cui numeri restano in sospeso il voto dei finiani. Chi ha un poco di memoria, per l’UDC, che si candida alla rappresentanza di una presunta indignazione dei romani, non può non ricordare l’incredibile episodio di un parlamentare sorpreso con allegre donnette in un albergo romano. Anziché disporne l’espulsione dal partito, per flagrante violazione di ogni elementare principio di etica pubblica, il suo segretario ebbe l’ardire di proporre una specifica, nuova, indennità per i parlamentari, i quali poverini, lontani per alcuni giorni alla settimana dalle legittime mogli, si trovavano esposti alle “tentazioni” e quindi costretti a soddisfare i loro bisogni con allegre donnette, raccolte per strada o in più lussuosi bordelli. Bossi, se la sigla lo avesse consentito, avrebbe ben potuto dire, più fondatamente, “Sono Porci Questi Politici” e pare dubbio che tutta la consorteria dei politici, detta la Casta, potesse avere l’appiglio legale per una querela: “piove, governo ladro!”