giovedì 9 settembre 2010

La “pulizia etnica” che non si vuol vedere ossia la centralità del problema dei profughi nella questione palestinese.


Anni addietro, ebbi una conversazione, a cena, con un caro amico, ora scomparso. Se ben ricordo, non avevamo un tema di dialogo prefissato, e si parlava tranquillamente di tutto quel che in quel momento ci passava per la mente. Ricordo una sua uscita a proposito di profughi e questione palestinese. Diceva l’amico (cito a memoria): “Come noi abbiamo avuto il problema dell’Istria con i nostri profughi che abbiamo dovuto assorbire, gli Arabi devono farsi carico dei Palestinesi”, ossia degli espulsi dai Sionisti, Israeliani, Ebrei o come altro li si vuol chiamare. La terminologia da usare o ‘consentita’ è un già di per sé un problema nel problema”.

Non risposi nulla all’amico, di cui avevo, e continuo a nutrire, ancora oggi, la mia più grande stima. Ed allora, inoltre, ero soltanto un tirocinante in materia di problematiche del Vicino Oriente. Ma i cosiddetti colloqui di pace di questi giorni – una farsa che si ripete con maggiore spudoratezza che nel passato – mi hanno riportato alla mente a quella serata e, di conseguenza, la mia mancata replica di allora.

Quale poteva essere? “Ma caro Giano, proprio perché abbiamo avuto noi questa esperienza, non dobbiamo volere che abbia a ripetersi in nessuna parte del mondo”. Le situazioni storiche non sono mai identiche l’una all’altra, ma nel caso della questione vicinorientale, l’ingiustizia è ancora più grande. Essa offende maggiormente la nostra coscienza morale, in quanto si svolge sotto i nostri occhi e con la mediazione di una stampa asservita che tenta indirettamente di estorcere la nostra complicità morale. Se nulla ormai possiamo contro il riuscito e compiuto genocidio dei Pellerossa o lo schiavismo su cui è sorta quella splendida “terra di democrazia”, che sono gli USA, grandi esportatori di “civiltà”, possiamo ancora concederci la libertà di un giudizio morale.

Non mi soffermo – senza se e senza ma – sugli articoli della propaganda sionista che dilagano a ritmo industriale sui maggiori quotidiani e, peggio ancora, sui fogli deputati alla divulgazione del suo “verbo” assoluto ed indiscutibile. La confutazione delle loro bugie, falsificazioni, inganni, ipocrisie, richiederebbe troppo tempo ed energia, ma sarebbe anche inutile constatata la natura e la funzione della propaganda: non la ricerca della verità in una disputa, ma il perseguimento di un fine pratico, che è il compimento di un processo genocidario in atto, la cui fase iniziale può avere diverse periodizzazioni.

Si può partire dai primi sparuti insediamenti sionisti in Palestina nel 1882 o dalla dichiarazione Balfour che come scrive Gilad Atzmon fu il mezzo con cui l’Inghilterra ottenne due mesi dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti; oppure, dalla grande pulizia etnica del 1948, ricostruita su base documentaria inconfutabile da un Ilan Pappe. Ma, guarda caso, proprio a questo riguardo, in Israele hanno deciso la proroga della secretazione degli archivi per altri venti anni! Per non parlare, poi, dell’assurdità logica e morale, per cui, sulla base di un pregiudizio “biblico”, si dovrebbe riconoscere un “diritto al ritorno” ad un “ebreo” che mai mise piede in Palestina, e lo si dovrebbe negare a chi ancora conserva le chiavi della casa da cui fu cacciato nel 1948.

È il caso di riferire la cronaca di una rissa avvenuta alla Knesset dopo l’aggressione al convoglio umanitario della Mavi Marmara, dove era presente una parlamentare araba israeliana. Questa parlamentare, a quanto si legge, appartiene ad una famiglia palestinese autoctona che risale addirittura ai tempi storici in cui sarebbe vissuto il Cristo. L’altra, invece, immigrò da Leningrado all’età di 24 anni, convertendosi all’ebraismo. Ebbene, l’immigrata pretende di cacciare dal parlamento l’autoctona, privandola dei modestissimi diritti di tribuna della popolazione autoctona. Non è il solo episodio di violenza dell’immigrato sull’autoctono.

Insomma, per non perdersi in una casistica e aneddotica infinita, facile da raccogliere e documentare, è preferibile ricordare ciò che il Sionismo è stato ed è: conquista ed immigrazione coloniale violenta, coperta dalla complicità delle grandi potenze di ieri e di oggi, con assoluto disprezzo di ogni diritto della popolazione indigena, il cui torto è di non essere ancora scomparsa e di voler continuare a resistere al tentativo di genocidio che le è stato riservato come “destino”. Lo scorrere del tempo, non è neutro. Mentre la trattativa si protrae, il carnefice continua la sua opera e conta sul fatto che la vittima si vada sfiancando sempre di più ed alla fine soccomba.

Le tecniche abitualmente impiegate richiederebbero un approfondimento a parte. Il fantoccio di turno, si chiama Abu Mazen. Gli si farà firmare quel che si vuole ed in questo modo si gabberà il diritto e gli scrupoli morali degli odierni sepolcri imbiancati. Gli accordi di Oslo docent! Se si osservano sul campo i concreti rapporti di forza, vi sono poche speranze per chi si augura un mondo governato dai principi di giustizia e di solidarietà umana. Resta, però, la potenza disarmata del nostro giudizio morale che può il testimone, da lasciare alla generazione che verrà, se ve ne sarà ancora una.

Ogni cittadino del mondo che volga gli occhi verso quel lembo di terra che si chiama Palestina, può dire semplicemente: no! Che i profughi ed i figli dei profughi ritornino nelle loro case e si impegnino, se possono, a vivere in pace con i loro attuali oppressori, con eguali diritti, e senza distinzione di credo religioso, di appartenenza politica o discriminazioni di sorta. Tecnicamente si chiama Stato unico binazionale, il solo realisticamente possibile anche se estremamente difficile da costruire. Occorrerebbe disarmare non l’Iran o Hamas, ma soprattutto Israele, smantellando il suo arsenale nucleare che è la vera minaccia che incombe sul mondo. Alla soluzione “due stati due popoli” non crede nessuno, neppure chi siede al tavolo dei negoziati. È, in realtà, solo una diversa forma del genocidio in atto, non diversa da quelle che sono state le “riserve indiane”.

Esiste, infine, un problema di cui mi sembra scarsa la consapevolezza anche nei movimenti che pure si schierano a favore della causa palestinese. Il problema ci riguarda in prima persona, poiché è la strutturazione del nostro sistema di poteri che ha reso e rende possibile atrocità e ingiustizie che ormai stanno iniziando a superare in orrore tutte le narrazioni tramandate riguardo il periodo 1914-1945, la moderna guerra dei Trent’Anni che ha tolto l’Europa dalla scena politica globale, riducendola a territorio di confine dell’impero americano, al cui vertice – guarda caso… - si trova, non il potere democratico del popolo americano, ma l’arbitrio di oscure ed ufficialmente inesistenti lobbies che neppure accettano di essere indicate o citate.

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