venerdì 10 settembre 2010

Messaggio da Vincent Reynouard sulla libertà d’espressione


Non ho dedicato al caso di Vincent Reynouard il tempo e l’attenzione che sarebbe stata necessaria, da quando ho avuto la prima notizia di una nuova inaudita repressione della libertà di pensiero, in terra di Francia. Sono usciti nel frattempo, fortunatamente, in lingua italiana su internet pregevoli articoli che informano su un “caso” come questo, che è vano aspettarsi di trovare quale tema di dibattito in una serata di Bruno Vespa o sulla grande carta stampata. Nella sua prigione Reynouard non è solo, ma sono con lui idealmente prigionieri quanti lottano per la rivendicazione della libertà di pensiero come fondamentale diritto umano e politico. Ricevo nella mia posta da un mittente anonimo il messaggio che segue, per sua natura pubblico. Non esito a dare ad esso ulteriore pubblicità e diffusione e mi riservo uno studio approfondito, appena mi sarà possibile farlo. Nel frattempo, mi giunge notizia di una nuova presa di posizione di Noam Chomsky contro la legge Gayssot. Rinvio qui al blog degli amici di Blanrue per leggere il testo di Chomsky. Di seguito anche il link per firmare una petizione volta a ottenere l’abolizione della legge Gayssot e la liberazione di Vincent Reynouard.

A. C.
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MESSAGGIO DA VINCENT REYNOUARD
SULLA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE

La coraggiosa petizione lanciata in mio favore da Paul-Eric Blanrue pone di nuovo il problema dei limiti alla libertà di espressione. In nome di cosa li si può imporre? Per rispondere a tale fondamentale domanda, chiediamoci: Perché, in generale, si limita la libertà? [1] L’immagine di una barriera con l'avvertenza “Vietato! pericolo!” mi sembra essere la risposta migliore: la libertà viene limitata per proteggere.

In primo luogo viene la protezione della persona, l’integrità del suo corpo, della sua vita, la sua reputazione e, in alcune società ove la religione ha grande importanza, la sua anima. Ne risulta che tutte le leggi reprimono, nel campo dell'espressione, l'invito alla violenza, l'istigazione all'omicidio, l’ingiuria, la diffamazione, la violazione della vita privata (vilipendio) ed anche, in certe società religiose, la bestemmia e l'eresia.

A un livello più generale segue la protezione della società in quanto garante del bene comune, pertanto della pace civile e della vita dei cittadini. Così si giustificano le leggi contro la sovversione, sia diretta (appelli a ribellarsi...) sia indiretta (promozione di idee contrarie all'ideologia regnante).

Naturalmente queste leggi limitative che riflettono la cultura di un popolo possono variare secondo il tempo e il luogo. Si pone, d'altra parte, il problema dell'eccesso di potere. Tuttavia, l'abuso non mette mai in causa il principio. Ecco perché non condanno, in se stessa, l'esistenza di leggi che restringono la libertà, compresa quella di esprimersi. Ma si devono, imperativamente, evitare gli eccessi, cominciando a denunciarli quando avvengono.

Le leggi cosiddette antirevisionistiche sono abusive? Questo è il problema. Alcuni argomenti sono avanzati per rispondere negativamente.

Controbatterò rapidamente il primo, che consiste nel richiamarsi alla “sofferenza” delle vittime, le quali devono essere protette contro oltraggi intollerabili. L’argomento potrebbe avere qualche valore se i revisionisti negassero l’esistenza delle persecuzioni “antisemite” sotto Hitler e paragonassero i campi di concentramento a campi di vacanze. Ma non è affatto così. Contrariamente al messaggio trasmesso dai media, i revisionisti non sono “negatori”; se denunciano le menzogne della tesi ufficiale, tentano, al contempo, di scoprire e spiegare ciò che è realmente accaduto. E in questa storia più vera, le sofferenze delle vittime restano drammaticamente presenti.

Un secondo argomento avanzato per giustificare le leggi antirevisionistiche consiste nel pretendere che l’«impresa negazionista […] rientra nel campo dell’antisemitismo, il quale non è un’opinione ma un reato». [2]

In primo luogo, risponderò che se il legame tra il revisionismo e l’«antisemitismo» fosse così evidente, così ovvio, non ci sarebbe stato bisogno, ad esempio in Francia, di una legge antirevisionistica; il dispositivo giuridico del 1972, reprimendo il razzismo (e quindi l’«antisemitismo»), sarebbe bastato.

Infatti, il legame è tanto poco evidente che ci vuole un abile ragionamento per volerlo stabilire. Il ragionamento l’ho sentito più volte, dalla bocca degli avvocati che nei processi patrocinano contro di noi (penso in particolare ai signori Lorach e Korman). Eccolo, riassunto:
«Da secoli, gli antisemiti veicolano l’immagine degli ebrei come di individui che mentono e trafficano in manovre disoneste per rubare soldi e diventare, in tal modo, il popolo più potente della terra (vedi i Protocolli dei Savi Anziani di Sion). Questo è il messaggio dei negazionisti, dato che dicono che si mente con le storie della Shoah, che si è abbastanza potenti da imporre questa menzogna al mondo intero e che se ne approfitta per rubare denaro alla Germania, alla Svizzera, all’Austria, etc. Conclusione: il negazionismo è una forma attualizzata dell’antisemitismo tradizionale. Oggi non si dice più: Morte agli ebrei!, ma: Gli ebrei non sono morti! L'obiettivo finale è, tuttavia, il medesimo».
In questo ragionamento, una frase è di fondamentale importanza: «Dicono che si mente con le storie della Shoah». Certo. Ma se, in effetti, la Shoah fosse un mito? Che dire di quelli che da trent’anni fuggono ogni dibattito per continuare a raccontare le loro storie? Non sono forse bugiardi di conoscenza? Cosa dire sulle leggi votate un po’ dovunque per proteggere questa menzogna storica, e solo essa? Non è forse la prova del potere di certe lobby ebraiche? E cosa dire sui miliardi pagati dalla Germania a Israele a titolo di «risarcimento» per il (presunto) genocidio? Non è un enorme imbroglio?

Si vede: la tesi sviluppata dagli avvocati ebrei poggia interamente sulla realtà del (presunto) Olocausto. Se tale realtà è controversa, la tesi crolla come un castello di carte. Prima, quindi, di usarla, si dovrà consentire la libera ricerca e il libero confronto dei punti di vista. Si dovrà consentire il dibattito aperto e leale sul (presunto) Olocausto.

Ora, questo è proprio l’argomento – decisivo – utilizzato per vietare non solo ogni dibattito, ma anche ogni espressione pubblica delle tesi revisioniste. Di conseguenza, la situazione è questa. Ci dicono: l’Olocausto è una verità storica, dunque negarlo rientra nel campo dell’antisemitismo. Ma l’antisemitismo è un reato, dunque la contestazione della realtà dell’Olocausto va vietata.

Spogliato dei passaggi intermedi, il ragionamento diventa «L'Olocausto è una realtà, non occorre discuterlo, quindi quelli che vogliono discuterne devono essere condannati». Nuotiamo nel più orrido arbitrio.

Un terzo argomento a favore delle leggi antirevisionistiche consiste nel dire che la contestazione dell’Olocausto mira a ripristinare il nazionalsocialismo.

Probabilmente. Ma se, in effetti, la Shoah è solo calunnia, allora le persone che ne vengono accusate e più in generale il regime che ne è accusato devono essere riabilitati su questo punto. Si tratta solo di giustizia.

Mi si risponderà che l’impresa revisionistica cerca infine una riabilitazione globale del nazionalsocialismo per riaprire la strada a questa ideologia.

– Devo dedurne che, sgombrato dall’accusa n.1 portatagli contro, l’hitlerismo eserciterebbe un’attrattiva irresistibile sulle masse, tanto che si tratterebbe di un’ideologia positiva?

– Mio Dio, no!, mi verrebbe ribattuto. Con o senza Shoah, il nazismo rimane un’ideologia odiosa a causa del suo imperialismo, del suo disprezzo degli altri e della sua negazione assoluta della libertà individuale.

– Allora, cosa temete? Dal momento che questa ideologia è un orrore, perché avete paura di vederla ripristinata? E, soprattutto, dal momento che, con o senza Shoah, il nazionalsocialismo resta indifendibile, perché questa legge che vieta di contestare l’esistenza di crimini contro l’umanità?

Lo si vede, lungi dal giustificare l’esistenza della legge Gayssot, il terzo argomento si rivolge contro coloro che lo usano. Perché mostra, infine, che per gli antirevisionisti non si tratta di difendere una verità storica, ma una «verità» politica che serve loro come arma nella lotta ideologica. Il preteso Olocausto è l’assicurazione che mai sarà possibile un dibattito sereno e leale che permetterebbe di paragonare oggettivamente la pertinenza degli ideali liberali e quella degli ideali fascisti. Rinchiudendo la storia, si rinchiude la discussione politica. Lampante esempio di abuso di potere!

Resta un quarto argomento, di natura sionista: «Negando la Shoah», ci viene detto, «volete minare la legittimità di Israele e, così, permettere un nuovo Olocausto».

In primo luogo, sottolineerò che queste considerazioni geopolitiche non devono intervenire in una controversia che, per natura, dovrebbe restare sull’esclusivo terreno della storia. I tedeschi hanno o non hanno sterminato gli ebrei tra il 1941 e il 1945? Certo, entrambe le opzioni sono possibili, e la risposta giusta non dipende dagli attuali eventi in Medio Oriente. In questo dibattito, è lo storico che deve rispondere, non il geopolitico, ancora meno il sionista.

Vorrei aggiungere che la verità sul preteso “Olocausto” avrà necessariamente delle ripercussioni nel Medio Oriente. Dal 1945 (in effetti, anche dal 1942) i sionisti hanno utilizzato le menzogne di guerra “alleate” per appoggiare i propri progetti. Non è un caso che Israele sia nato meno di due anni dopo la fine del grande processo di Norimberga, che ufficializzò il mito. Senza la Shoah, Israele non avrebbe visto la luce. Pertanto, col crollo del mito lo Stato ebraico dovrebbe necessariamente crollare.

Ci sarà per questo un nuovo «Olocausto»? Non credo, per quanto certo si verificheranno inevitabili eccessi. Ma cosa volete? Non si può mantenere impunemente una situazione d’ingiustizia per oltre sessant'anni... Un giorno o l’altro, si dovrà pagare. Personalmente, penso che gli ebrei guadagneranno molto dall’evacuare Israele pacificamente, piuttosto che accanirsi per rimanervi fino al giorno, inevitabile, nel quale ne avverrà l’espulsione.

Anche se può sembrare cinico, dichiaro che, tutto sommato, la vittoria del revisionismo sarebbe un male minore per i sionisti.

La conclusione? È che niente, assolutamente niente, giustifica le leggi antirevisionistiche. Esse non sono che abusi di potere perpetrati da individui che temono le discussioni politiche e geopolitiche, individui che sperano di mantenere il più a lungo possibile uno stato di cose voluto da loro stessi.

Per il momento, i popoli del mondo occidentale approvano, consapevolmente o meno, questo mito. Lo accettano perché vedono o sentono vagamente che il Nuovo Ordine Mondiale, garante delle loro impulsi edonistici, trova nell'«Olocausto» un’arma che impedisce radicalmente una discussione imbarazzante, dunque una straziante rimessa in questione.

Importa loro ben poco che sia una calunnia lanciata contro milioni di uomini (da Hitler a Pio XII, passando per enti morali come la Croce Rossa); importa poco che questa calunnia sia anche all’origine della tragedia di un intero popolo: il popolo palestinese. «Ho Internet, il mio computer portatile, il mio schermo piatto, etc., ecco dove metto il mio ideale di vita. Per il resto, mi auguro solo che, col tempo, tutto si sistemerà e che tutto il mondo potrà un giorno beneficiare del mio tenore di vita...».

Questa indifferenza pressoché generale non ci deve abbattere. Perché il nostro dovere è di opporci alla menzogna, all’ingiustizia e alla calunnia. Dobbiamo agire senza preoccuparci né del successo né della sconfitta. Dobbiamo ripetere senza pausa: le pretese camere a gas omicide dei campi tedeschi non sono esistite, l’Olocausto è un mito, i Sei Milioni sono una stima delirante e le leggi antirevisionistiche abusi di potere indegni di società illuminate.

Mi si rimprovera di essere un “desperado”, di rivendicare il cattolicesimo tradizionalista e il nazionalsocialismo. La maggior parte di coloro che lo fanno non mi hanno letto. Ignorano ciò che sono il mio cattolicesimo e il mio nazionalsocialismo. Che comincino a leggermi! Poi, si potrà discutere su cose concrete.

Le forze che combattiamo sono certo potenti, ma fondate sulla menzogna. I loro piedi sono d’argilla. Prendiamo l’esempio della repressione: grazie ad una legislazione fatta su misura, i potenti possono darci la caccia, giudicarci, condannarci, rubarci i soldi, strapparci alle famiglie e gettarci fra quattro mura sinistre. In un momento in cui il popolo si fa complice per la sua approvazione o il suo pauroso silenzio, questo modo di agire può sembrare di un’efficienza temibile.

Ma il giorno in cui, a seguito di eventi esterni, le coscienze cambieranno e i tabù vacilleranno, il trattamento che ci sarà stato inflitto testimonierà con forza in nostro favore contro di loro. «Come! Non avevano che le loro penne; chiedevano un dibattito leale per confrontare le loro tesi e voi, voi che avevate milioni, le televisioni, le radio, i giornali, li avete perseguitati, condannati, rovinati, gettati in prigione, strappati alle famiglie! Dite, voi, che erano antisemiti, fascisti, nazisti? Ci siamo! Ma il valore di un argomento non dipende da chi l’avanza; questo valore è intrinseco. Minacciavano la sicurezza? Ci siamo! Nel frastuono dei vostri televisori, le loro voci non erano un grido, neppure un sussurro, ma un mormorio. Ma per voi, questo mormorio, questo era troppo. Dovevate davvero temere la forza del loro messaggio per reagire così. Ora, soltanto la verità è forte. E ciò mi basta per capire chi, in questo affare, diceva il vero».

Ecco perché oggi dobbiamo soffrire. Contrariamente a quanto alcuni credono, le nostre sofferenze non sono vane. Sono semi che seminiamo. Domani, il raccolto sarà abbondante.

Vincent Reynouard

Prigione di Valenciennes (Francia), 21 agosto 2010

[1] Parlo della libertà in senso moderno, vale a dire la libertà individuale, basata sui diritti dell’uomo secondo cui non esiste una natura umana, l’individuo costruendosi giorno per giorno secondo la propria volontà, una volontà che per attuarsi dev’essere assicurata dalle libertà essenziali.

[2] Argomento sviluppato ancora recentemente da un avvocato dell'Associazione dei Figli e delle Figlie di Ebrei Deportati dalla Francia, il signor Didier Bouthors, davanti alla Corte di Cassazione a Parigi (vedi La Croix, quotidiano cattolico francese, 10 maggio 2010).

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Per scrivere al prigioniero:

M. Vincent Reynouard
N° 33034
Maison d’arrêt de Valenciennes
BP 80 455
F - 59322 Valenciennes Cedex
FRANCIA

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