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Sto per uscire e continuerò a scrivere sul tema di questo post al mio rientro. Nel frattempo passerò in libreria per vedere se trovo in commercio il “capolavoro” di pensiero liberale che è annunciato prossimamente nelle librerie italiane. Infatti, chiedo alla commessa Feltrinelli se hanno in commercio il dello spregevolissimo Alain Dershowitz, che nientepopodimeno vuol fare un “
Processo ai nemici di Israele”, per i tipi dell’editore Eurilink. “Ma perché allora compra il libro, se ha una così bassa opinione del suo autore?”, mi chiede la commessa. Le spiego che i libri si comprono anche per criticarli. Ed inoltre come non leggere il libro di uno che espressamente dice dice di volerti fare il “processo”. Mi considero un fiero ed orgoglioso “nemico” di Israele quanto un convinto e fedele “amico” della Palestina e dei Palestinesi. Per quanto dipende da me, Israele non è stato mai riconosciuto e continua ad esistere solo la Palestna. Poiché con questa gente è sempre bene chiarire le proprie espressioni – tanto sono in malafede – spiego che la «spazzatura che nessuno prende sul serio» non è una mia espressione, ma è un virgolettato che Alessandra Farkas, un ebrea sionista collocata al “Corriere della Sera” attribuisce allo stesso Dershowitz, il quale a suo volta se ne serve per esprimere un apprezzamente nei confronti di un suo connazionale o correligionario ebreo, cioè Norman G. Finkelstein, autore del noto e benemerito libro “L’Industria dell’Olocausto”. Ahimé la denuncia di Finkelstein gli ha scatenato tutta la lobby ebraica d’America e di fuori. La storia è nota a chi segue questa problematica e non staremo qui a ripeterla ancora una volta. Ricordiamo che per queste ragioni a Finkelstein è stato negato l’insegnamento. In questa “discriminazione” e “persecuzione” dell’«ebreo» Finkelstein si è particolarmente distinto l’«ebreo» Dershowitz.
E veniamo ora a parlare di liberalismo. A chi si picca di volersi dare aria da liberale è noto il principio «
Disapprovo quel che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo». Per il sedicente “Liberal” Dershowitz vale il principio opposto: «Farò di tutto, proprio di tutto, perché tu non possa dire quel che pensi». Non è una sua caratteristica personale. Vi sono in America e altrove ricchissime associazioni, arricchitesi con l’«industria» di cui ha parlato Finkelstein – per questo odiatissimo dai suo correligionari – , le quali finanziano innumerevoli iniziative, lecite e meno lecite, il cui scopo è di far valere, di promuovere l’immagine di Israele nel mondo ed il senso di colpa degli europei per un evento mitico, che per legge non può essere indagato: la sua veridicità è data non per spontanea convinzione sulla base di una libera ricerca e di approfonditi studi, ma per costrizione di legge. Cosa ciò abbia a che fare con il liberalismo, lo comprende chiunque non si chiami Alain Dershowitz, il cui libro non possiamo criticare perché ancora non entrato nel circuito commerciale. Alla Feltrinelli non ne sanno proprio nulla e ne hanno sentito parlare per la prima volta da me. In rete non esiste nessun annuncio librario. Almeno per Mearsheimer e Walt si sapeva esattamente il giorno di uscita in Libreria: fui il primo a comprarlo e a leggerlo.
Oltre a Finkelstein, apprezzato da
Alan Dershowitz come “spazzatura che nessuno prende sul serio”, i nemici dichiarati sono pure i due politologi americani, insieme a Carter. A proposito di “spazzatura” l’insigne “giurista” Dershowitz dovrebbe sapere ed accettare come in tal modo diventi lecito per la spazzatura un viaggio di ritorno, con valore incrementale. Giusto io mi darò la pena di comprarlo, quando uscirà il libro. Ma per i più una simile “spazzatura” non merità neppure di essere sfogliata. La sua naturale circolazione potrà essere al massimo la comunità ebraica italiana che non conta più di 40 o 45 mila persone. Qui avrà tutto il successo che merità. Alessandra ha un bel da fare a creare il mercato con una recensione sul “Corriere” prima ancora che il libro sia disponibile. È un privilegio di cui tanti autori italiani certamente non godono. I librai sanno bene che una recensione significa automaticamente un certo numero di esemplari venduti. Potenza della lobby ebraica!
Tempo addietro abbiamo letto un’incredibile notizia, facile da reperire in rete. Un ambasciatore israeliano si era recato nella sede del Corriere della Sera per spiegare ai giornalisti di quella primaria ditta come dovessero informare gli italiani sul massacro, sul genocidio di Gaza. Posso immaginarmi che
Alessandra Farkas fosse seduta al primo banco. «In Italia Alan Dershowitz è di casa dal 1974»: così inizia Alessandra il suo articolo. Ma chi lo dice che è di casa? Alessandra! E cosa significa propriamente? Ricordo che decenni orsono, certamente dopo il 1974, lessi di una visita in Italia di David Irving, il quale avrebbe dovuto tenere una conferenza all’Hotel Parco dei principi. La cosa mi incuriosiva e sarei andato ad ascoltare le sue controverse teorie. Non potei. Il giorno dopo lessi sullo stesso giornale la notizia che lo storico era stato fermato all’aeroporto e rispedito indietro in quanto non si voleva non già che collocasse bombe in qualche banca, ma che tenesse una semplice conferenza. Allibii e mi chiesi se l’Italia fosse un paese libero e democratico. Certamente, per me italiano al 1000 per mille, Dershowitz non è “di casa” nella “mia casa” e volentieri lo caccerei fuori dalla “mia casa” con un cordiale accompagno sul di dietro.
Costoro sono gli apostoli della menzogna. Poiché possono disporre di grandi mezzi di comunicazione come il “Corriere della Sera” sono arciconvinti di poterci dare a bere ogni cosa. È da ascrivere alla maturità del popolo italiano quello di non essere un grande lettore di giornali. Con simile carta stampata a non leggerli ci si salvaguarda la salute mentale ed al tempo stesso si amministra più saggiamente la propria tasca. Meglio un caffè con gli amici a fare quattro chiacchiere che non comprare quotidiani che sono soltanto mezzi di propaganda, anzi di questi tempi anche mezzi di sterminio e di genocidio, se si accetta l’idea che nel genocidio tuttora in corso a Gaza la nostra stampa è complice a pieno titolo. Potrei continuare a commentare il disgustoso articolo di Alessandra Farkas, che cerca di creare affabulazione su un lpoco raccomandabile figuro che pretende di essere un “vero liberale” e che vuol convincerci ad essere complici di un vero e proprio genocidio. Ma noi rispondiamo con le parole evangeliche riformate: lasciando stare i tuoi figli, il sangue degli innocenti che da cento anni a questa parte viene versato in Palestina, ricada tutto su di te e sui tuoi complici.
RASSEGNA STAMPA COMMENTATA
1.
La fiera della corbellerie. – Mi sono risparmiato la tournée del “visitatore apostolico”, anche perché fortunatamente martedi 5 maggio era altrove, sia pure a poche centinaia di metri distante in Roma. Ero alla presentazione di un altro libro, quello di Filippo Giannini, su “Gli ebrei nel ventennio fascista”. Se fossi stato allo spettacolo ebraico-americano offerto dal compaesano Nucara difficilmente avrei potuto sopportare in silenzio l’accostamente fra Mazzini e il Risorgimeno con il sionismo e Alan Dershowitz. Francesco Nucara è un calabrese, come me. Mi dispiace che si sia messo sulla scia del sionismo. È un politico marginale e mi auguro che resti marginale. Se pensa di raccogliere i suoi voti fra gli ebrei di Roma, poco più di 10.000, credo che faccia male i suoi calcoli. Questi votano altrove. Quanto poi ai 400.000 calabresi residenti nella capitale si tratta di un voto non organizzato, che io sappia. Certamente, io non voterò mai per Nucara e non chiederò a nessuno di votare per lui. Se legge queste righe, sappia regolarsi. Anche io mi do da fare per organizzare i calabresi romani, ma i fondamenti “sionisti” di Nucara sono decisamente improponibili e indigeribili. Nucara, non a Sderot doveva andare, dove al massimo ha potuto trovare qualche vaso rotto, ma doveva andare a Gaza, dove si consuma un genocidio fra fa rivoltare dalla tonba Giuseppe Mazzini, se qualcuno pensa di usare il suo nome a beneficio dei vasi rotti di Sderot ed in dispregio dell’«Olocausto» palestinese, cioè la Nakba.
Che i Repubblicani italiani siano sempre stati quattro gatti, che hanno ben saputo beneficiare del sistema proporzionale, lo si è sempre saputo. È forse giunto il momento buono perché scompaiano del tutto. Mazzini fu repubblicano, ma non basta questo per collegarlo ad un qualsiasi partito che si dica repubblicano. Restano moltissimi elementi che fanno la differenza. La “somiglianza culturale” di cui parla Nucara è tutta e soltanto nella sua testa. L’Italia nasce come stato unitario attraverso una tormentato unificazione di stati e popolazioni autoctone preesistenti. Israele nasce su fondamento coloniale, sulla “cacciata” dei palestinesi che sono sono gli unici legittimi, naturazizzati da millenni, abitanti del territorio. Bisogna essere del tutto digiuni ed ignoranti di storia per non capire la differenza fra chi a casa propria ci sta da sempre e chi viene per cacciarti da casa tua.
Non voglio andare sul pesante, ma lascio all’interessato la valutazione politica di chi si mette dalla parte dell’aggressore e contro l’aggredito. Mazzini ed Herzl sono distanti l’uno dall’altro come la notte e il giorno. Di “visionario” non è il caso di parlare né per Mazzini né per Herzl: sapevano cosa volevano e volevano cose diverse. Sto percorrendo altrove tutta l’opera di Mazzini (ahimé 100 volumi!) per cercare di capire su quali basi scientifiche o politiche vengano propositi simili accostamenti da parte di autentici irresponsabili, i quali evidentemente contano sul fatto che Mazzini siano un “cane morto”, cioè che del suo non profondissimo pensiero siano assai pochi ad interessarsene. In realtà, non lo legge nessuno e per questo gli si può far dire di tutto, anche cose che contrastano con le basi stesse del suo elementarissimi pensiero politico: l’Italia era divisa in tanti stati e staterelli. Bisognava farne un solo stato, un solo popolo, una sola Repubblica. Ma non ha mai detto andiamo in Libia e buttiamo al mare i libici, o i tunisini, o gli eritrei, ed occupiamo il loro territorio, le loro case, magari appellandoci al diritto imperiale degli antichi romani, di cui ben si sa siamo i legittimi eredi. Di queste corbellerie ben si nutre in sionismo, che è una dottrina sorta non già all’interno della buriana nazionalista del XIX secolo quanto del colonialisno europeo che dal 183o in poi (occupazione coloniale dell’Algeria) ebbe una recrudenscenza che portò ad immani disastri. Questo è il dna del sionismo. Mazzini non c’entra.
Rosselli e Nathan erano ebrei. Mazzini morì da esule a casa loro. Ecco dunque il grande legame logico! Come a dire che se io a scuola ho avuto per compagni degli ebrei, e magari sono stato pure a casa loro, divento per questo anche io un ebreo ed un sionista. Grande, proprio Grande Logica! Già, «come non ricordare?» Cosa? Mah! Le corbellerie si accompagnano ad altre corbellerie. Il Nostro ci dice che fra i 1000 vi erano 8 ebrei. E allora? Erano “sionisti”? Le brigate “ebraiche” che sbarcarono in Sicilia? Nucara lo ha letto il recente libro del suo collega Augiello? Sulla “liberazione” portata dalle “brigate ebraiche” io esprimo qui tutte le mie riserve, ma prima di me è stato fatto dagli stessi invasori americani, essendo stato finora i nostri politici troppo votati alla loro “cupidigia di servilismo”.
A Basilea Herzl fondò uno Stato Ebraico di cui ancora non sapeva quale sarebbe stato il territorio. Meno che mai si chiedeva, in termini liberali e democratici, coma comportasse l’aggettivo “ebraico” accanto a Stato. Noi oggi sappiamo che significa “razzista”. E meglio di noi lo sanno i palestinesi che dal 1882, anno in cui moriva anche Garibaldi che l’Italia l’aveva fatta non meno di Mazzini, hanno incominciato a sperimentare la pulizia etnica, o “transfer”, come usano dire in Israele.
La nascita dello stato di Israele coincide con la Nakba e con la vergogna di un sistema internazionale, la cui logica è quella della sopraffazione, della depredazione delle risorse altrui, del colpo di stato indotto, delle rivoluzioni colorate ed eterodirette, nella menzogna istituzionizzata. Beninteso, il Presidente non si tocca! Ma quando si parla si parla del suo “pensiero” sorge il problema e lo scrupolo filologico di poter distinguere quale sia il suo proprio pensiero e quale sia il pensiero dei suoi consulenti, ebrei pure loro, con tutto il rispetto! Si tratta di capire e di sapere a quale pensiero a quale pensiero richiamarsi. Io ho ancora in casa gli atti del Congresso del partito comunista del 1956, dove si può leggere un intervento, non propriamente liberale, dell’allora comunista Giorgio Napolitano. Il suo passaggio al sionismo è un capitolo che sto meticolamente studiando, desideroso di capirci qualcosa. Ho l’impressione però che la sua famosa dichiarazione sull’equivalenza fra antisemitismo e antisionismo sia il risultato di un lavorio analogo a quello fatto per la “Nova Aetate”. Qualcosa che deve essere spiegato nella sua genesi, diventa un dato di fatto, un assioma, su cui si costruiscono poi interi castelli concettuali-propagandistici. Non con parole mie, ma con le parole di Ilàn Pappe, ebreo ed israeliano, ma per noi soprattutto storico, ebbe a commentare su richiesta la dichiarazione del signor Napolitano, che lui confondeva con Berlusconi, dicendo che
si è antisemiti se non si è antisionisti. E meglio non poteva esser detto.
Proseguendo nell’analisi delle corbellerie repubblicane nucarariane viene fuori anche Moses Hess, che a me è noto per il costante dileggio che ne faceva un altro e ben diverso ebreo: Karl Marx. “Gerusalemme e Roma” significa tutto e nulla. Intanto, significa che Roma distrusse Gerusalemme. Oggi vale il contrario: Gerusalemme minaccia di distruggere Roma. È da chiedersi da che parte stia qui Nucara.
Di Spadolini ancora non sapevo, ma certamente la sua banalità pronunciata all’incontro organizzato dall’associazione Italia-Israele è tutta da verificare nella suo contenuto adulatorio di circostanza e soprattutto è giunto il tempo per togliere loro dalle mani il pupazzo Mazzini, con il cui pensiero giocano pericolosamente, giungendo a rendere inviso e sospetto quello che era finora apparso ai più come un innocuo “visionario”, che l’«ebreo» Marx ebbe a definire come una sorta di cretino l’unica o le rare volte cui ebbero ad incontrarsi. Non ci importa se di destra o di sinistra, ma un “repubblicano”, ossia un “mazziniano” che osi definirsi “sionista”, per noi non ha nulla a che fare né con Mazzini né con il Risorgimento italiano né con il liberalismo né con i diritti umani e neppure con la Calabria.
In attesa del libro una recensione della tournéé
Il libro, anzi il “libraccio” non sembra proprio voler uscire. Ne ho già chiesto almeno una mezza dozzina di volte alla Libreria Feltrinelli che ho vicino casa. Mi dicono che dall’editore è annunciato per settembre. Addirittura. E qui si aprono una serie di considerazioni generali che raccolgo qui senza iniziare un nuovo apposito post. Mi allargo per poi recensire tutte le altre pagine, oltre a questa sulla quale scrivo, dove il motore di ricerca Googlie offre risultati alla voce “processo ai nemici di Israele”. Non so quanti leggerano questa pagina, ma non importa: si scrive per uno, per nessuno, per centomila. La traccia della riflessione che abbozzo ha il titolo
La Israel lobby nei suoi rapporti con l’editoria e l’industria mediatica. Voglio ancora una volta ricordare il momento in cui Gianni Vattimo perse le staffe, quando infastidito dall’azione fraudolenta dei media ebbe a sbottare: ma insomma forse i “Protocolli” non avevano tutti i torti, quando evidenziavano il possesso ebraico dei mezzi di comunicazione. Ed eravano agli inizi del Novecento. E la cosa era vera in sé,
Protocolli o non
Protocolli. Fi guriamoci oggi. Ne abbiamo le prove che più prove non si può.
Naturalmente Gianni Vattimo fu subito messo sotto tiro per questa sua uscita, che per chi ne avesse in buona fede captato lo spirito non aveva nulla a che fare con una dichiarazione di autenticità o meno del “Protocolli”. Non sono io l’avvocato difensore di Vattimo. Non lo conosco neppure. Conosco invece o conoscevo un poco Massimo Cacciari. Non mi piacque un suo sorrisetto, assai poco filosofico, nel commentare in un passaggio televisivo la sortita di Vattimo, a lui probabilmente giunta di terza o quarta mano. E questo forse lo giustifica. Ma del giudizio extra chatedram di Massino appresi a diffidare fin dai tempi della prima guerra irachena. Ricordo poche settimane prima dell’aggressione american all’Iraq una intervista radiofonica, dove prima veniva chiesto a Massimo se fosse un esperto di cose militari. Lui rispose di sì, che se ne intendeva. Dopo diede un giudizio secondo cui gli americani si sarebbero arenati nelle sabbie del deserto o qualcosa di simile. A qualche settimana i fatti smentirono clamorosamente l’«esperto» Cacciari. Da allora, restando invariata la stima o disistima, ho appreso a non prestare credito a valutazioni arbitrarie da chiunque provengano. Resta qui il fatto che Massimo Cacciari si schierò con la lobby negli attacchi a Vattimo.
Torniamo a noi. Mi è giunta notizia in questi giorni di un nuovo clamoroso caso di censura in Francia, patria della rivoluzione francese. Già! La rivoluzione francese con i suoi diritti di libertà, in primis di pensiero, di parola, di stampa. Chiedevo di questo precedente politico al libraio francese, di una libreria francese, dove sono andato a ordinare il libro di
P.-E. Blanrue, Sarkozy, Isräel et les juifs, che il suo distributore con elevato spirito di libertà non vuole distribuire e non vuole far leggere a quanti possono esserne interessati. Il libro descrive anche per la Francia l’esistenza di quella lobby che Mearsheimer e Walt – nemici di Dershowicz – ha denunciato negli Usa. A impedire l’uscito del libro è proprio quella Lobby, di cui Dershowicz è il rappresentante in tourné diplomatica ora presso di noi.
Del tutto chiaro, no? Impedire agli altri di parlare, attraverso la censura di libri o la
diffamazione dei loro autori e lasciare spazio e libertà di parola ai Dershovitz di turno. Tornando a costui, come non notare la propaganda che gli viene fatta ancora prima, molto prima che il libro esca, in settembre, secondo quanto mi dicono alla Feltrinelli. Ma intanto i manutengoli nostrani si danno da fare per battere la grancassa. Mi viene da pensare ad un passaggio televisivo di Maurizio Molinari –buono pure lui! Se ne parlava già nel libro sul B’naï B’rith apparso in Francia oltre 10 anni fa!– Diceba il buon Molinari, non un volgare esagitato alla IC, che il libro di Mearsheimer e Walt sarebbe stato in America “demolito”. Avendo ben letto il libro in ogni sua pagina e ogni sua riga mi chiedevo chi potesse essere un simile “demolitore”. Veniamo a sapere che sarebbe questo Dershowitz, di cui però il libraccio non possiamo leggerlo prima di settembre. Dobbiamo qui accontentarci di esaminare le sparate laudatorie degli imbonitori localizzati su questo nostro disgraziato e occupato paese. Sia Mearheimer e Walt, sia Blanrue, ci ammoniscono sul fatto che non bisogna sottovalutare le lobby. Condizione del loro successo è proprio che gli altri, le vittime designate, non abbiano ad accorgersi di loro. Per questo non dobbiamo stancarci di denunciare le loro mene.
a. –
Una manifestazione vomitevole. – Ho ascoltato per oltre un’ora e mezzo la registrazione di cui al link. Ho fatto ciò mentre eseguivo una lunga seduta di scansione di alcuni testi a stampa. Quindi le impressioni che riporto qui di seguito sono a registrazione conclusa La manifestazione si è tenuta a Roma il 4 maggio. Non ne ho avuto notizia né mi è giunto alcuno nè so se mi sarebbe mai giunto, pur chiedendolo. Credo che il pubblico fosse di giornalisti, le cui domande erano tutte addomesticate e non meno infami dello sproloquio da azzercagarbugli americano del “professor” – così chiamato – Dershowitz, che ha il potere in America di impedire che altri, ad esempio Norman G. Finkelstein, possano portare il titolo di professore. I rilievi che ho qui da fare finché mi resta la memoria della registrazione, che all’occorrenza posso risentire, pur guastandomi il sangue sono di diversa portata. Intanto voglio occuparmi di filologia o meglio di cronologia. Abbiamo detto che il “papa” sionista ed ebreo venuta dall’America, ovvero la “spazzatura” – se per Dershowitz possiamo democraticamente e paritariamente usare la stessa terminologia che lui ha usato per Norman G. Finkelstein – ha parlato in Roma – dove ahimé nella “città sacra” ha insultato il vescovo di Roma, come se fosse a Tel Aviv o in America –, ebbene un simile “papa” ebreo che fa lezioni al papa cattolico ha parlato in data 4 maggio, come si legge nel link alla data della registrazione. Non so quale fosse il luogo, ma credo fosse l’Eurispes. Lo leggeremo da qualche parte. La data, dunque: il 4 maggio.
Qualsiasi azzegarbugli di provincia sa bene ed insegna che quando si vuole offendere, diffamare, infangare qualcuno è bene farlo senza farne il nome, ma parlandone tuttavia in modo che si capisca a chi ci si rifererisce. Si evitano in questo modo fastidiose ed eventuali conseguenze giudiziarie. Non è stato però difficile capire che l’addebito di scarsa professionalità era rivolto a Ilàn Pappe, che noi sappiamo ha dovuto lasciare la sua università in Israele a seguito di minaccie per aver scritto il suo libro sulla “Pulizia etnica della Palestina” per andare in Inghilterra a Exterer, che l’azzeccagarbugli venuto dall’America derubrica a università inglese di terza o quarta categoria. Qui voglio aprire una parentesi, avendone tutta la comodità e non costringendo nessuno ad ascoltarmi o a leggermi.
Di Avraham Burg sappiamo che, conservando il passaporto francese, ha scelto lui di buon grado di andarsene da Israele, dopo aver definito quella realtà politica come uno stato alla nitroglicerina ed pratica assimilandolo al nazismo, anche se personalmente non approvo queste analogie: ogni cosa va contestualizzata nello spazio e nel tempo. Se però si vuol comparare, non definire per analogia, il nazismo e il sionismo, io non ho dubbi che il sionismo sia molto peggio del nazismo. Non sono né un ebreo – mai la mia gens lo è stata in 1000 anni di storia che posso
documentare – né un filogiudaico e meno che mai un sionista, ma per nulla ciò che si dice provocatoriamente e artatamente un “antisemita”, tuttavia io mai e poi mai accetterei o potrei vivere in uno stato come quello di Israele fondato sulla pulizia etnica, sull’aggressione coloniale, sull’apartheid, sull’inganno e l’ipocrisia come filosofia di vita. Che Ilàn Pappe o altri abbiamo trovato il modo di andarsene, trovando luoghi disposti ad accoglierli trattandoli da esseri umani, è a mio avviso una gran fortuna. Se per immaginazione io mi chiamassi Ilan Pappe o Shlomo Sand io sarei ben lieto di scambiare un posto di maestro di scuola elementare in un qualsiasi paese d’Europa, Sud America o Africa con la più prestigiosa cattedra universitaria di Israele in Israele. Se poi Exeter in Inghilterra sia un’università di terza o quarta categoria io non so dirlo e poco mi interessa saperlo. Il quesito deve essere rivolto al rettore di quell’università ed ai suoi docenti. Quel che so è che nella comunità scientifica alla quale appartengo non esistono le categorie razziali e razziste che sembra governare il cervello del “professor” Dershowitz, “professore” quando non fa l’azzegarbugli o il propagandista dello stato “criminale” (leggi Jasper rovesciato) di Israele.
La data: il 4 maggio Dershovitz parlò in Roma insultando il vescovo del luogo. Se si va a guardare un’altra data, quella del 23 maggio dello stesso anno 2009, si scopre la “fonte” del fango irradiato dai media sionisti. In un infame
commento di “Informazione Corretta”, cui segue l’articolo di Sfaradi su “Liberal” dello stesso giorno, un articolo che noi in termini assai moderato abbiamo inteso fustigare, stando bene attenti a contenere gli insulti ad un grado di intensità inferiore a quello altrui. L’azzegarbugli, il giurista dei miei stivali, ha perfino preteso di fare una lezione sul concetto penalistico di offesa proporzionata. Non ho bisogno delle sue lezioni di diritto penale, ma mi baso sul principio pratico: ti rispondo, offendendoti meno di quanto tu non offendi me stesso o altri che io difendo, senza averne avuto il mandato, ma sulla base di un principio di civiltà e solidarietà umana, in genere estranea alle religio ebraica, di cui il nostro è per sua ammissione fedele, avendo perfino citato la Bibbia, cioè la Torah e il Talmud, fantastici testi di immoralità. I «corretti informatori» e con loro lo “squallido” Sfaradi non sarebbero stati capaci per scienza propria di dare alcun giudizio sull’opera storiografica di Ilàn Pappe, se non avessero potuto attingere alla “spazzatura” venuta dall’America. Non era dunque farina del loro sacco. Peraltro un “sacco” dove al massimo si può trovare qualche “grida” di quelle adoperate alla bisogna dall’Azzeccagarbugli manzoniano. Non avendo specifiche competenze “storiche” il nostro prof. Azzeccagarbugli non ha nessunissimo titolo a proncunciarsi su un libro di storia, fondato su dati archivistici e fonti storiche magistralmente adoperate, come quello di Ilàn Pappe, il cui contenuto può avere solo conferme da ulteriori ricerche e non può certo essere confutato dal fango, dall’immondizia che i suoi detrattori solo sanno gettargli addosso.
Ho citato anche Shlomo Sand, il cui libro sull’«invenzione» del popolo ebraico ho letto in traduzione francese, non certo nella lingua tanto originale quanto artificiale che è l’ebraico moderno, una lingua patologica sorta solo sulla base di una diffusa patologia di massa. Shlomo Sand – se ben ricordo – ebbe a rimproverare Pappe per essere stato incauto, avendo voluto scrivere il suo libro in inglese, anziché in un ebraico che nessuno legge. A sua volta, Shlomo Sand ha anche ammesso di essersi deciso a scrivere il suo libro dopo essersi accertato che ormai in fatto di carriera non avrebbe più potuto venirgli nessuna ritorsione. Ognuno di noi, in qualsiasi ambito egli viva e lavori, sa quale potente fattore di condizionamento è la carriera. I filosofi antichi al riguardo la sapevano lunga.
Ma veniamo ora agli aspetti maggiori dell’obbrobrio che si può sentire in registrazione. Una persona appena un poco esperta di cose mediorentali è subito in grado di riconoscere le colossali menzogne e mistificazioni dette dal nostro Azzeccagarbugli da quattro soldi. Le confutazioni possibili sarebbe a centinaia. Dovrebbe qui attardarci fino a scrivere un libro, cioè un supporto cartaceo di centinaia di pagine che non sarebbero necessariamente un “libro” nel senso proprio e nobile del termine: dubito che di simili libri il nostro Azzeccagarbugli ne abbia mai scritto uno, anche se viene presentato come uno “scrittore”. Leggeremo comunque per intero la porcheria che ha scritto e che Eurilink a pubblicato, appena la si potrà acquistare in Libreria. Per tutte una: ha ripetutamente in Nostro parlato di “scudi umani” che il “demone” – mai più democraticamente eletto – Hamas userebbe. Se mi riesce di estrarre l’immagine del dvd di cui ho parlato appena ieri,
Araba fenice il tuo nome è Gaza, allego qui l’immagine di un soldato israeliano, soldato ad alto indice di moralità, mentre spara da un cantone di strada, tenendosi al riparo di un prigioniero palestinese, bendato, legato, e messo in ginocchio, mentre sopra la sua testa il glorioso soldato israeliano spara ad altri esseri umani indifesi. I “demoni” accreditati, cioè i nazisti o i fascisti, che a loro modo avevano alto il senso dell’onore, anche bellico, mai sarebbero stati capaci di tanta infamia. Il superiore popolo “eletto” e “sopravvissuto”, quindi “sbarcato” nella Terra Promessa da dove dice di essere andato via... duemila anni fa, il popolo “eletto” è capace di tanto. E l’azzeccagarbugli viene a Roma a fare lezione di “morale cattolica” a quello che per noi una volta era la Somma Potestà, superiore perfino all’Imperatore, è che oggi viene insolentito in casa sua da chiunque se lo voglia permettere. Si può non essere più cattolici praticanti, ma è difficile che l’apostasia o il rigetto di tante posizioni della Curia spinga a tanta insolenza. I nostri politici baciapile lo consentono: fra due padroni scelgono quello che ha il “bastone”!
Ma devo chiudere, almeno per adesso. Non si respira un’aria salubre in mezzo a tanta sporcizia morale. Forse l’elemento più fragile di tante frivolezze esposte per un’ora e mezza come fossero argomento è l’assioma del “diritto di Israele” alla sua esistenza. Nessun finto giornalista – erano tutti fra di loro – ha pensato di chiedergli quali siano le basi di legittimità di un simile diritto, quasi che il suo contraltare fosse il dovere alla non esistenza dei palestinesi o il loro obbligo di farsi annientare e perfino sodomizzare in reale e in senso metaforico. Un bambino di scuola elementare, che però non faccia le sue elementari in Israele, è in grado di capire il problema se gli si prospetta poniamo la situazione in cui in Italia sbarcano i cosiddetti clandestini, non come disperati in cerca di lavoro o di qualche pezzo di pane, ma armati fino ai denti ed attrezzati con tutti i mezzi finanziari, militari, politici, mediatici, religiosi perfino, ed il cui scopo fosse di cacciare dalla penisola tutti gli indigeni italiani, parte massacrandoli, parte mandandoli profughi nella vicina Africa, o in Albania, o nel Kossovo, per poi infine rivendicare il proprio “diritto all‘esistenza”. È esattamente quello che è successo in Palestina a far data dal 1882. Il resto è storia. E la storia bisogna conoscerla ed interpretrarla. L’ebreo israeliano Ilàn Pappe lo ha fatto, se è accorto, ma dicono che non sa la storia, che è addirittura un “antisemita”, un “nemico del suo popolo”. Lui però si permette di rispondere a quelli che a Napolitano hanno messo in bocca la famosa dichiarazione sull’antisemitismo e l‘antisionismo, dicendo che in realtà si è antisemita se non si è antisionisti. Lo ha capito perfino Avraham Burg, che non è storico, ma è stato addirittura ai vertici dell’ebraismo. Cosa altro dobbiamo dire? Ascoltando la registrazione si puà dire ancora molto, guastandosi il sangue. Ed occorre dirlo per salvaguardare gli ingenui e i disinformati dall’inganno, dall’industria mediatica della menzogna e dell’inganno, di cui relatori e pubblico ivi convenuto sono parte attiva.
Un’ultima osservazione riassuntiva di questa parte. Non nascondo che avevo avvertito una certa soggezione quando mesi addietro ebbi ad ascoltare un breve inciso di Maurizio Molinari sul fatto che il libro di Mearsheimer e Walt sarebbe stato “demolito”. Avendo letto il libro, oltre 600 pagine note escluse, e trovandolo assai ben costruito e documentato, e perfino assai cauto, volendo chiaramente i due autori prevenire l’accusa scontata quanto strumentale di antisemitismo, mi chiedevo quali argomenti mai i “demolitori” avessero trovato. Se la conferenza e il dibattito di cui in registrazione sono rappresentativi del libro, di cui ci prenderemo intero il disgusto di leggerlo, allora devo concluderne che il “demolitore” Dershowitz ha in realtà demolito se stesso, dando ai due autori americani la migliore conferma delle verità, peraltro assai edulcorate, da essere rivelate ad un grande pubblico. Già il pubblico. Quale pubblico? Era pubblico quello che ha retto il sacco al nostro Azzeccagargli, che gli ha fatto da spalla per poter dire impunemente le bestialità che ha detto, proprio qui in Italia ed a pochi passi dalla dimora del papa cattolico? No! Il pubblico che a noi interessa è la comunità degli “spiriti liberi”, di quanti possono essere sensibili alle ragioni della verità, della giustizia, dell’umanità. Noi siamo certi che presso questo pubblico costoro non hanno udienza. E lo sanno bene. Come sanno bene che il loro potere non si fonda né sulla verità, né sulla giustizia, né sull’umanità.