giovedì 23 aprile 2009

Alle radici della holocaustica religio: 2. Hans Jonas, filosofo della colpevolizzazione altrui.


Considero esaurito e squalificante il monitoraggio di centrali di propaganda sionista come “Informazione Corretta”, “Honest Reporting” (dismesso), “In difesa di Israele” nonché dei numerosi giornalisti, politici, intellettuali, conferenzieri propagandisti che hanno chiaramente un rapporto gramscianamente organico con Israele e l’ebraismo olocaustico. Vogliamo passare ai livelli alti, cioè ai tentativi di fondazione filosofica della “colpa altrui”, non già della colpa in generale dell’umanità in una visione dell’uomo peccatore, bisognoso di una redenzione universale, come sarà poi con il cristianesimo, che nasce da una rottura necessaria ed insanabile con le angustie e le barbarie proprie dell’ebraismo. Il conflitto millenario fra ebraismo e cristianesimo sembra si vada componendo non già con un risibile “dialogo”, ma con i collaudati ed efficaci metodi del B’naï B’rith, la massoneria ebraica che è riuscita ad infiltrarsi fin nel Concilio Vaticano II. Ma di ciò basti qui un solo accenno: ne parliamo altrove. Ora ci preme misurarci e confrontarci con Hans Jonas, la cui produzione interessa le aule dove si insegna o almeno si parla di filosofia. Avevamo già cominciato a farlo con Karl Jaspers. Questo è ora il secondo capitolo di un libro che non verrà mai scritto, ma i cui spunti vengono tracciati in internet, nella forma a me congeniale della “scrittura sull’acqua”.

Sommario: 1. Due parole su Elie Wiesel in Prefazione. –

1. Due parole su Elie Wiesel in Prefazione. – Su Carlo Angelino dovremo tornare ad occuparci a proposito di Carl Schmitt. Per adesso mi soffermo brevemente sulla sua prefazione ad Hans Honas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, edito da il Melangolo. Mentre lo stesso Jonas inizia senza andare oltre con una citazione forte e qualificante, cioè con Kant più o meno lecitamente chiamato in causa, invece Angelino chiama in soccorso Elie Wiesel. Questo personaggio appartiene secondo noi ai livelli bassi della propaganda e merita quel che Norman G. Finkelstein di costui dice e pensa. Ne abbiamo fatto qua e la una critica demolitrice e testuale in alcune interviste rilasciate a quotidiani italiani. Rinviamo a quei testi ed ad occasionali interventi ulteriori sul personaggio. Recentemente su di lui ne abbiamo letta una ancora più grossa senza che sia seguita una smentita. Per non riassumere il testo a cui mi riferisco ne faccio una citazione integrale, aspettando la smentita da parte degli interessati, se una simile smentita vi sarà mai: la si attende da oltre 20 anni. Si vada in questo blog al link su Un sopravvissuto di Auschwiz afferma che Elie Wiesel è un impostore. La persona che lo accusa di essere un “impostore” e un “plagiario” non ha ricevuto smentite, ma solo minacce di morte, di un “omicidio mirato”, secondo la moderna prassi ebraico-israeliana e la corrispondente filosofia della morte, che in Jonas trova le sue sublimazioni filosofiche. Ci soffermiamo un istante su alcune piacevolezze. Dal vero internato Miklos Gruner viene chiesto all’«impostore» Wiesel di mostrare il suo numero di matricola tatuato sul braccio: il numero A-7713 che Gruner conosceva bene per averlo visto sul braccio del suo compagno di prigionia e di cui Wiesel si sarebbe appropriato, usurpando un’identità altrui. L’unica volta che si incontrarono – come si narra nel link citato – Gruner, che non riconobbe Elie, gli chiese però di poter vedere sul braccio il numero di riconoscimento. Vi fu un rifiuto con la motivazione che Elie “non voleva far vedere il suo corpo”. Strabiliante motivazione che potrebbe giustificarsi se si fosse tratto di parti pudiche e pudibonde del corpo, ma il braccio! A questo punto con maggior fondamento Wiesel farebbe meglio a non mostrare più la sua faccia, una faccia a cui Carlo Angelino attribuisce grande credito.

Dell’opera di Elie Wiesel il prefatore cita la “Notte”, i cui brani scelti mi riescono assordanti ma privi di contenuto filosofico. Per giunta non sarebbero neppure opera dello stesso Wiesel, secondo quanto afferma l’inascoltato testimone sopravvissuto.
…Miklos scoprì inoltre che il libro che Elie Wiesel gli aveva dato nel 1986, spacciandolo come opera sua, era stato in effetti scritto in ungherese nel 1955 dal vecchio amico di Miklos Lazar Wiesel, e pubblicato a Parigi col titolo di “A Vilàg Hallgat”, approssimativamente “Il silenzio del mondo”…
E dire che di questi “sopravvissuti”, quando sono a favore, li vanno a pescare in ogni dove, coprendoli di onori e di ricchezze, ma in questo caso oltre al silenzio il poveretto che attende un pubblico confronto dal 1986 ha ricevuto solo “numerose telefonate anonime in cui mi si diceva che mi avrebbero sparato se non stavo zitto”.

(segue)

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