Versione 1.2
La polemica che si è accesa a causa del rifiuto del calciatore 21enne Ashkan Dejagah, cittadino tedesco di origine iraniana, mi ricorda un’altro episodio, dove era però mancata la giusta indignazione. Era esattamente il 6 giugno 1991 ed in Roma il Goethe Institut aveva pensato di organizzare una “Serata in onore di Hans Mayer”. Chi era costui? Era un tedesco appartenente alla comunità ebraica, ovvero un ebreo tedesco che aveva una grossa influenza in tutto il sistema organizzativo della cultura tedesca. Sull’episodio scrissi allora una Notizia per la rivista Behemoth da me diretta. Non ne riporto adesso tutto il contesto, e non spiego ora le ragioni per le quali avevo deciso di trovarmi lì, ma mi limito a ricordare quello che è rimasto indelebilmente impresso nella mia memoria ad oltre 15 anni di tempo trascorso. Ancora mi brucia il ricordo e ne parlo ogni volta che se ne presenta l’occasione. L’uomo era intrattabile ed incline all’ira. Rispondeva con malagrazia ad un pubblico che faceva normali domande. Ricordo fra le cose che disse in risposta che per lui la data epocale dell’umanità era il 30 gennaio 1933 e che lui si sentiva non tedesco, ma ebreo. L’insistenza ed il vigore con cui si esprimeva al riguardo era tale che io per un poco pensai che fosse un cittadino israeliano. Capii solo dopo un certo tempo l’intenzione polemica ed offensiva della cruda affermazione. Io certo non ero un tedesco, ma se lo fossi stato mi sarei sentito molto offeso e costasse qualsiasi cosa gli avrei reso il suo, facendomi magari cacciare fuori dalla sala. Mi sentivo io mortificato per i tedeschi offesi in quel modo e senza nessuno che fiatasse. E pensare che il direttore, pur sempre un funzionario governativo tedesco, gli aveva pure organizzato una serata in onore per la quale dall’»onorato« ci si sarebbe aspettati per lo meno un piccolo segno di gratitudine. Il personaggio godeva di tutti i vantaggi ed i poteri dell’apparato culturale tedesco, ma usava chiaramente questo potere per mortificare ed avvilire la coscienza del popolo tedesco.
Umiliata ed offesa fu allora – a mio avviso – la Germania ed il suo popolo. Ma all’umiliazione ed all’offesa in Germania ci hanno fatto ormai il callo tanto che l’umiliazione è divenuta ormai la pelle stessa di quel popolo. Umiliato è ancora oggi il popolo tedesco per la vicenda del calciatore tedesco-iraliano, che in fondo chiede soltanto di esercitare una sua elementare libertà: per fatti miei di coscienza, non voglio giocare in Israele: sono un iraniano di nascita e per ragioni politiche non intendo giocare. Si può fare l’obiettore di coscienza nell’esercito, ma non ci si può rifiutare di giocare una partita di pallone. Ed ecco che interviene la signora Charlotte Knobloch, a nome della comunità ebraica, perdendo una buona occasione per tacere: «Io mi aspetto dalla Federazione di calcio tedesca (Dfb) una decisione sull’esclusione del calciatore Ashkan Dejagah dalla nazionale tedesca. Il suo comportamento è profondamente antisportivo, dal momento che le competizioni sportive si svolgono in uno spirito di rispetto pacifico, al di là delle contrapposizioni politiche». Come a dirgli: “no, tu devi andare a giocare, perché sei cittadino tedesco. Appunto, tedesco! Magari, se eri iraniano, non ti avremmo fatto giocare noi. Ma tu non puoi permetterti di offendere Israele, a cui tanto la Germania ha dato ed ancora ha da dare. Qui comando io!”. Germania ed Iran in una botta sola ai piedi di Israele! Il calciatore dimostra amore per il suo paese di nascita e rispetto per il paese dal quale ha ottenuto la cittadinanza, ma ciò non è compreso in un paese reso ottuso dalla religio holocaustica.
Finché a vergognarsi dell’essere tedesco era Hans Mayer, costui era pure onorato! Il calciatore tedesco-iraniano dovrebbe invece venir punito per non volersi sottomettere al giogo israeliano e per aver mostrato quella dignità di cui un normale tedesco non è capace. Per il suo voler mantenere un legame di nascita e di rispetto per il paese nel quale è nato. Agli ebrei di ogni paese è invece sempre concessa una relazione privilegiata con quella che ritengono la loro prima patria, al punto da poter pensare che la lealtà pende più verso questo stato che non per la Germania, buona soltanto per essere spellata. In realtà, la comunità ebraica tedesca pretende una doppia umiliazione del calciatore: come tedesco e come iraniano. In condizioni normali, sarebbe bastata una semplice dichiarazione. Per rispetto si sarebbe dovuto soltanto prenderne atto. Invece, quasi fosse un buffone si vuol costringere il calciatore a ballare per forza: ridi pagliaccio! Tu non hai diritto a nessuna dignità. La tua volontà è nulla. Israele è sacro!
La polemica che si è accesa a causa del rifiuto del calciatore 21enne Ashkan Dejagah, cittadino tedesco di origine iraniana, mi ricorda un’altro episodio, dove era però mancata la giusta indignazione. Era esattamente il 6 giugno 1991 ed in Roma il Goethe Institut aveva pensato di organizzare una “Serata in onore di Hans Mayer”. Chi era costui? Era un tedesco appartenente alla comunità ebraica, ovvero un ebreo tedesco che aveva una grossa influenza in tutto il sistema organizzativo della cultura tedesca. Sull’episodio scrissi allora una Notizia per la rivista Behemoth da me diretta. Non ne riporto adesso tutto il contesto, e non spiego ora le ragioni per le quali avevo deciso di trovarmi lì, ma mi limito a ricordare quello che è rimasto indelebilmente impresso nella mia memoria ad oltre 15 anni di tempo trascorso. Ancora mi brucia il ricordo e ne parlo ogni volta che se ne presenta l’occasione. L’uomo era intrattabile ed incline all’ira. Rispondeva con malagrazia ad un pubblico che faceva normali domande. Ricordo fra le cose che disse in risposta che per lui la data epocale dell’umanità era il 30 gennaio 1933 e che lui si sentiva non tedesco, ma ebreo. L’insistenza ed il vigore con cui si esprimeva al riguardo era tale che io per un poco pensai che fosse un cittadino israeliano. Capii solo dopo un certo tempo l’intenzione polemica ed offensiva della cruda affermazione. Io certo non ero un tedesco, ma se lo fossi stato mi sarei sentito molto offeso e costasse qualsiasi cosa gli avrei reso il suo, facendomi magari cacciare fuori dalla sala. Mi sentivo io mortificato per i tedeschi offesi in quel modo e senza nessuno che fiatasse. E pensare che il direttore, pur sempre un funzionario governativo tedesco, gli aveva pure organizzato una serata in onore per la quale dall’»onorato« ci si sarebbe aspettati per lo meno un piccolo segno di gratitudine. Il personaggio godeva di tutti i vantaggi ed i poteri dell’apparato culturale tedesco, ma usava chiaramente questo potere per mortificare ed avvilire la coscienza del popolo tedesco.
Umiliata ed offesa fu allora – a mio avviso – la Germania ed il suo popolo. Ma all’umiliazione ed all’offesa in Germania ci hanno fatto ormai il callo tanto che l’umiliazione è divenuta ormai la pelle stessa di quel popolo. Umiliato è ancora oggi il popolo tedesco per la vicenda del calciatore tedesco-iraliano, che in fondo chiede soltanto di esercitare una sua elementare libertà: per fatti miei di coscienza, non voglio giocare in Israele: sono un iraniano di nascita e per ragioni politiche non intendo giocare. Si può fare l’obiettore di coscienza nell’esercito, ma non ci si può rifiutare di giocare una partita di pallone. Ed ecco che interviene la signora Charlotte Knobloch, a nome della comunità ebraica, perdendo una buona occasione per tacere: «Io mi aspetto dalla Federazione di calcio tedesca (Dfb) una decisione sull’esclusione del calciatore Ashkan Dejagah dalla nazionale tedesca. Il suo comportamento è profondamente antisportivo, dal momento che le competizioni sportive si svolgono in uno spirito di rispetto pacifico, al di là delle contrapposizioni politiche». Come a dirgli: “no, tu devi andare a giocare, perché sei cittadino tedesco. Appunto, tedesco! Magari, se eri iraniano, non ti avremmo fatto giocare noi. Ma tu non puoi permetterti di offendere Israele, a cui tanto la Germania ha dato ed ancora ha da dare. Qui comando io!”. Germania ed Iran in una botta sola ai piedi di Israele! Il calciatore dimostra amore per il suo paese di nascita e rispetto per il paese dal quale ha ottenuto la cittadinanza, ma ciò non è compreso in un paese reso ottuso dalla religio holocaustica.
Finché a vergognarsi dell’essere tedesco era Hans Mayer, costui era pure onorato! Il calciatore tedesco-iraniano dovrebbe invece venir punito per non volersi sottomettere al giogo israeliano e per aver mostrato quella dignità di cui un normale tedesco non è capace. Per il suo voler mantenere un legame di nascita e di rispetto per il paese nel quale è nato. Agli ebrei di ogni paese è invece sempre concessa una relazione privilegiata con quella che ritengono la loro prima patria, al punto da poter pensare che la lealtà pende più verso questo stato che non per la Germania, buona soltanto per essere spellata. In realtà, la comunità ebraica tedesca pretende una doppia umiliazione del calciatore: come tedesco e come iraniano. In condizioni normali, sarebbe bastata una semplice dichiarazione. Per rispetto si sarebbe dovuto soltanto prenderne atto. Invece, quasi fosse un buffone si vuol costringere il calciatore a ballare per forza: ridi pagliaccio! Tu non hai diritto a nessuna dignità. La tua volontà è nulla. Israele è sacro!
Friedbert Pfluegler, leader berlinese della CDU, ha già chiesto una sanzione ufficiale per il giocatore: ''Se una partita contro Israele costituisce per lui un problema politico, allora non puo' far parte della Nazionale tedesca. Deve essere escluso''.Il problema politico avrebbe dovuto porselo non il calciatore, ma il leader berlinese, se mai avesse avuto il senso della dignità nazionale e del ruolo che esercita. Per coerenza, mi sarebbe piaciuto che il deputato berlinese avesse privato Hans Mayer di una cittadinanza tedesca, della quale proprio la sera 6 giugno 1991 in Roma al Goethe Institut l'onorato dimostrava di avere scarsa considerazione. Il leader berlinese deve apprendere da un ragazzo tedesco-iraniano quel senso della dignità e dell’onore nazionale che ormai è sempre più difficile trovare in Germania, soprattutto nella sua classe politica.
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