Tutti dicono di aver
indovinato l’esito delle elezioni politiche: ed in effetti è altamente
probabile che saranno vinte (taluno sostiene stravinte) dal centrodestra. Di
per sé nulla di strano: dopo il decennio (abbondante) passato, avrebbe sorpreso
il contrario.
Interessa notare
come, in particolare nella comunicazione dei messaggi il duo Meloni-Salvini (un
po’ distanziato Berlusconi) abbiano per così dire innovato i parametri, non solo i contenuti.
Spieghiamo un
po’: tutti i partiti si differenziano per “contenuti”; chi vuole più libertà,
chi più uguaglianza; chi più Europa, chi meno; chi più assistenza, chi meno
spesa.
Tuttavia nel
messaggio dei due leaders del
centrodestra (la Meloni è ancor più esplicita) cambia, in ispecie rispetto al
centrosinistra il parametro delle
scelte proposte e, più in generale, dell’azione futura di governo: per i primi
è l’interesse degli italiani, per gli altri (cosa consueta) la bontà delle scelte. Intendendo come
“bontà” la corrispondenza a norme etiche e, in certa misura, anche giuridiche.
L’interesse nazionale
e la “bontà” appartengono entrambi all’idea di Stato – e più in generale – di
sintesi politica. Come non c’è Stato che non abbia l’idea Sdirettiva e la
finalità di proteggere la comunità, così ha anche quello di realizzare certi
valori etici e anche giuridici.
Da sempre, ma
ancor più negli ultimi trent’anni, ha prevalso decisamente il richiamo a
messaggi di elevato contenuto morale, a cui corrispondeva (e ad hoc) l’evidenziazione della deteriore
caratura morale dell’avversario politico. La demonizzazione di Berlusconi (ma
non solo) è stata emblematica. Come aver ha contribuito molto alla
detronizzazione del Cavaliere ed alla intronizzazione di governi che degli
interessi degli italiani se ne sono poco curati. Come è provato dai risultati.
Invece nella
comunicazione del centro-destra l’accento non è tanto sull’appetibilità del
programma (ovvio), quanto sul conseguimento di risultati positivi per
l’interesse nazionale. Di per se questo è un ribaltamento, ma anche un segnale (se,
come probabile, condiviso dalla maggioranza degli elettori) di maturazione politica; mentre l’inverso è
sintomo d’ingenuità e, dato il contesto, di decadenza politica e culturale.
Il primo valuta
in base a fatti e risultati: da Machiavelli (il XV capitolo del Principe) il
realismo ha contrapposto alle “immaginazioni” la realtà dell’analisi dei fatti
valutati razionalmente e in base ai risultati ottenuti. Mentre per il
non-realista il problema è come conformare la realtà alla propria immaginazione.
Hegel scriveva che tale metodo fa la testa gonfia di vento (cioè, diremmo oggi,
di aria fritta).
E che non si
tratti solo di vento, cioè di dabbenaggine ma di astuzia è dubbio costante:
come scrive Machiavelli, prendendo ad esempio Alessandro IV, che il Principe
non deve mantenere le promesse “quando tale observazione gli torni contro e che
sono spente le coazioni che le fecero permettere” anche perché non mancano mai
le giustificazioni per farlo: lo vuole l’Europa, c’è uno spread in arrivo, dobbiamo aiutare l’Ucraina, ecc. ecc. E dati i
precedenti in tal senso, aspettatevi che i piddini lo ripetano.
La conseguenza
di ciò è che nel pensiero politico realista chi si conforma all’ “immaginario”
è un ingenuo; come Pier Soderini che nell’epigramma di Machiavelli Minosse manda al “limbo con gli altri
bambini”.
O Messer Nicia
che collaborando, tutto contento, alla propria cornificazione “Quanto felice
sia esser vede, chi è sciocco ed ogni cosa crede”. E Max Weber che considerava
chi lo fa un bambino.
Per cui cambiare
il parametro o almeno dar più valore ai fatti che alle aspirazioni, ai
risultati più che alle intenzioni, significa maturare politicamente da bambino
ad adulto. E se tale criterio si consoliderà, farà bene anche al centrosinistra
stimolato a conseguire risultati e non a elaborare fantasie.
Perché in
politica chi non fa l’interesse della comunità non è che fa del bene. Realizza
un altro interesse: quello degli altri.
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