Non è
confortante la decisione di Putin di mobilitare una parte dei riservisti russi.
Contrariamente
alla previsione dei media mainstream
che le sanzioni avrebbero piegato l’aggressore, il quale era anche una “tigre
di carta”, la tigre ha deciso di usare ambedue le zampe per combattere. Spinto
a ciò dalla resistenza ucraina, superiore (e più determinata) del previsto, al
punto di sviluppare delle controffensive locali che hanno avuto – negli ultimi
tempi - successo. Data la limitatezza delle forze russe già messe in campo, la
decisione – tenuto conto della perdurante volontà russa di perseguire l’obiettivo
politico - è stata quella logica: aumentarle. Anche perché se le sanzioni
riuscissero a piegare la Russia come asserito dai giornaloni, nessuno si
azzarda ad aggiungere quando. E se si
procrastina a qualche anno l’effetto delle stesse, Putin avrà tutto il tempo
per occupare l’Ucraina (ma sembra non volerlo - e giustamente); dopo di che le
sanzioni farebbero probabilmente la stessa fine di quelle degli anni ’30
all’Italia: essere revocate.
Quel che più
interessa (e preoccupa) di tali previsioni à
la carte è d’esser contrarie alla logica
della guerra, per cui era prevedibile che il prosieguo delle ostilità (anche) con la comminatoria delle sanzioni,
avrebbero attizzato e non spento il
conflitto.
L’aveva previsto
due secoli fa Clausewitz, formulando quale “legge” della guerra l’ascesa agli
estremi, ossia la tendenza del conflitto ad aumentare d’intensità. La guerra,
scriveva il generale, è un atto di violenza e non c’è limite alla
manifestazione di tale violenza. Ciascuno dei contendenti detta legge
all’altro, da cui risulta un’azione reciproca che, nel concetto, deve logicamente arrivare agli estremi. Ossia
una guerra logicamente tende a
divenire assoluta, cioè senza limiti
né di spazio né soprattutto di condotta. L’osservanza delle regole è
subordinata al conseguimento della vittoria. Le restrizioni, come il diritto
internazionale “non hanno capacità di affievolirne essenzialmente l’energia”.
Questo della
guerra assoluta tuttavia è, secondo la terminologia weberiana un “tipo ideale”.
Nelle guerre concrete “le probabilità della vita reale si sostituiscono alla
tendenza all’estremo” per cui la condotta della guerra si sottrae (in parte) alla
legge dell’ “ascensione agli estremi”.
Questo effetto moderatore della realtà, di cui scriveva
Clausewitz, funziona; tuttavia può essere controbilanciato dal caricare di
significati ideologici, religiosi, e quanto altro il conflitto, ed in
particolare il nemico dipinto come criminale, pazzo, avido; onde la guerra
diventa un atto di giustizia, volta a castigare un delinquente.
Mentre il fine
della guerra “razionale”, come già scriveva S. Agostino, è la pace “la pace è
il fine della guerra, poiché tutti gli uomini, anche combattendo cercano la
pace… Perfino coloro che vogliono turbare la pace in cui si trovano… Non
vogliono dunque che non vi sia la pace, ma vogliono la pace che vogliono loro”;
presupposto della pace è trattare con il nemico, e quindi il di esso
riconoscimento come justus hostis. La
guerra dei giornaloni (e di parecchi politici) realizza proprio l’effetto
contrario all’avvio di negoziati di pace.
A quanto sopra
si può opporre che le misure prese dalle potenze occidentali, sia le sanzioni
che le forniture militari a sostegno dell’Ucraina possono favorire nel segno
della “guerra reale” lo squilibrio di forze tra i belligeranti e così favorire
i negoziati.
Questi
costituiscono (gran parte) degli strumenti di cui la politica può servirsi per smorzare le guerre. E il “fattore” di
ri-equilibrio è sicuramente da valutare come mezzo per favorire i negoziati. Ma
hanno altresì il difetto di
procrastinare (al limite evitare) la conclusione della guerra per debellatio della parte più debole.
Questo se non ci
sia da una parte e dall’altra la volontà
di voler porre termine alla stessa.
Perché come
scriveva il generale prussiano (e non solo) fare la guerra si fonda sulla volontà dei contendenti, quella
dell’aggressore di realizzare una pace diversa,
e quella dell’aggredito nel
conservare l’ordine preesistente.
Lo squilibrio
dei mezzi, la stessa occupazione totale del territorio dell’aggredito spesso
non ne comportano la cessazione, come provano le guerre partigiane.
E accanto,
occorrerebbe un terzo che favorisse la pace, essendo credibile, autorevole ed
equidistante; il quale nella specie, manca. Ma questa è un’altra storia.
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