È un classico
del pensiero politico liberale il discorso di Benjamin Constant su “La libertà
degli antichi paragonata a quella dei moderni” dove il pensatore svizzero
distingueva i due generi di libertà “le cui differenze sono passate sino ad ora
inosservate, o per lo meno non sono state rimarcate a sufficienza. La prima
libertà è quella il cui esercizio era così sentito presso i popoli antichi;
l’altra è quella il cui godimento viene considerato particolarmente prezioso
all’interno delle nazioni moderne”. La prima “libertà” “consisteva
nell’esercizio, in maniera collettiva ma diretta, di molteplici funzioni della
sovranità presa nella sua interezza, funzioni quali la deliberazione sulla
pubblica piazza della guerra e della pace” ed aveva il grave difetto che gli
antichi “ammettevano come compatibile con questa libertà collettiva
l’assoggettamento completo dell’individuo all’autorità dell’insieme” di guisa
che “In tal modo, presso gli antichi, l’individuo, praticamente sovrano negli
affari pubblici, è schiavo all’interno dei rapporti privati”. Mentre “Tra i
moderni, al contrario, l’individuo, indipendente nella vita privata, anche
negli Stati più democratici non è sovrano che in apparenza” e nel mondo moderno
“la libertà è il diritto di essere sottoposti soltanto alla legge, il diritto
di non essere arrestati, detenuti, condannati a morte, maltrattati in alcuna
maniera, per effetto della volontà arbitraria di uno o più individui”, di
esprimere il proprio pensiero, scegliere la propria occupazione, disporre dei
propri beni, di andare dove si vuole, di culto religioso (e così via). Ed è
anche il diritto “di influire sull’amministrazione del governo, sia nominando
per intero o in parte certi funzionari, sia attraverso rappresentanze,
petizioni, domande”.
Tale distinzione
ha influito sul pensiero politico e giuridico moderno, tra gli altri su quello
di I. Berlin e Carl Schmitt.
È interessante
riprendere tale concezione in ispecie quando si riaccende il dibattito sullo
“Stato di diritto” made UE e la
concezione di Orban sulla “democrazia illiberale”; che tanto scandalizza la
stampa mainstream. È vero che senza
un certo rispetto di principi di libertà, lo stesso formarsi della volontà
pubblica negli organi di governo viene ad essere falsata, se non in tutto,
almeno in parte. Ma è anche vero che se poi questa una volta espressa ha un
chiaro senso, ma viene corretta in senso contrario, come capitato in Italia
nell’ultimo decennio (se non prima), è la democrazia ad essere mistificata.
Prendersela con Orban perché controllerebbe buona parte della stampa e della
televisione ungherese, avrebbe la mano pesante con gli immigrati e così via,
può avere qualche ragione; resta il fatto che, con le elezioni della passata
primavera, Orban ha ottenuto per la quarta volta la maggioranza. In quest’ultima,
assoluta.
Scrivo questo
perché Constant, pur avendo evidenziato la distinzione tra le due “libertà” e
come potessero, in certi casi, contrapporsi (in particolare durante la Rivoluzione
e la dittatura giacobina) non ebbe un concetto negativo della Rivoluzione,
definendola provvida “malgrado i suoi
eccessi perché guardo ai risultati”, ancor più trovava il punto di mediazione tra le due libertà nel
governo rappresentativo.
Proprio per
permettere ai cittadini di dedicarsi alle attività private, occorreva che
avessero il diritto di delegare quelle pubbliche. Cioè il sistema
rappresentativo. Il quale “altro non è che un’organizzazione per mezzo della
quale una nazione scarica su alcuni individui ciò che non può e non vuole fare
da se”. Ma il pericolo che incombe, secondo Constant “è che, assorbiti dal
piacere della nostra indipendenza privata e dall’inseguimento dei nostri
interessi particolari, noi rinunciamo troppo facilmente al nostro diritto di
partecipare al potere politico”. Per cui occorreva che fosse garantito dalle
istituzioni il diritto dei “cittadini a concorrere con le loro decisioni e i
loro suffragi all’esercizio del potere; esse devono garantire loro un diritto
di controllo e di sorveglianza con la manifestazione delle loro opinioni”.
Qual è la
conclusione che si può ricavare da queste considerazioni del pensatore svizzero
nell’attuale situazione italiana? Se è vero quanto dicono i sondaggi che,
malgrado la crisi degli ultimi due anni, gli astensionisti domenica prossima
saranno circa il 40% degli elettori, significa che la democrazia italiana non è
né liberale né illiberale: semplicemente è in via di estinzione. Votare sarà
pure un diritto, ma inutile: tanto poi le decisioni vengono prese altrove. È
questo a costituire la maggiore preoccupazione per la tenuta del “sistema
rappresentativo” (come, mutatis mutandis
di ogni regime politico) assai più del “tasso di Stato di diritto”. Perché
anche gli Stati di diritto possono finire per inedia, come il comunismo è
cessato per implosione.
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