Anche nelle
recenti norme per i sostegni al COVID-19 abbiamo avuto la conferma, perfino da
un governo non cosi scrauso come
quelli che l’hanno preceduto (da Monti in poi), di quanto la “parità delle armi”
tra cittadini e pubbliche amministrazioni sia invisa alle burocrazie italiane (e
non solo a loro).
Vi si legge
infatti che qualora sia richiesto ed ottenuto dal privato un contributo non
spettante l’Agenzia delle Entrate recupera il contributo irrogando le sanzioni
in misura corrispondente a quelle previste dall’art. 13, comma 5 del D.lgs. n. 471/1997,
e applicando gli interessi dovuti dall’art. 20 del D.P.R. n. 602/1973 (interessi
nella misura del 4%); ma se il contributo è percepito in misura superiore a €
3.999,30, è sanzionato anche penalmente con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Fin
qui nihil novi; come al solito, la
p.a. fruisce del privilegio di autotutela (e autodichia), cioè di accertare (tra
l’altro) che il fatto sia avvenuto, che sia un illecito, nonché la misura della
sanzione da applicare. Tutte cose che ad un privato – e giustamente – sono inibite,
di guisa che è costretto a pagare all’uopo l’avvocato per rivolgersi al
giudice.
L’enorme
disparità tra le parti è evidente: al privato che sbaglia (o imbroglia) si
applicano le sanzioni; ma se a farlo è il funzionario non c’è una sanzione
specifica che il legislatore si sia preoccupato di istituire nel decreto
sostegni. Ne è facile ricondurre la consueta pigrizia della p.a., a specifiche ipotesi di reato.
A tale proposito
è il caso di ricordare quanto scriveva Gaetano Mosca sull’Habeas Corpus. Sosteneva che tale legge “tutela i cittadini inglesi
contro gli arresti arbitrari e contro le lunghe detenzioni preventive in attesa
di giudizio in modo così pratico ed efficace che non è stato possibile in
nessun altro paese, e neppure nel secolo XIX, fare di meglio” e la norma di
chiusura dell’Habeas corpus sanziona “ogni
ufficiale di polizia, magistrato o carceriere, che violi in qualunque modo l’Habeas corpus, deve pagare, ognuno per contro
proprio, un indennizzo di cinquecento sterline alla parte lesa”[1]. E
notava come “efficacissimo strumento di tutela della libertà individuale si è
sempre dimostrata la disposizione contenuta nel comma quarto, che stabilisce la
responsabilità diretta e pecuniaria dei pubblici funzionari”.
Tale
considerazione del grande scienziato politico è da valutare seriamente anche
oggi: se proprio non è possibile (ma almeno in parte lo è) evitare, o almeno
ridurre, le sanzioni (unilaterali) a
carico dei privati; almeno ne siano previste di corrispondenti per comportamenti analoghi dei dipendenti
pubblici. In fondo, scriveva Carnelutti, la funzione della sanzione nel diritto
è “rendere inviolabile e perciò avvalorare qualche cosa; ciò che viene
avvalorato, in quanto si cerca di impedirne la violazione, è il precetto, in
cui l’ordine etico si risolve”. Per cui a
contrario se non si sanziona il comportamento del funzionario ciò significa
che non lo si vuole disincentivare,
o, quanto meno che il problema non interessa (ai governanti).
Anzi, preme il
contrario: il funzionario che non risponde della proprie azioni od omissioni, è
più incline a comportamenti “in linea” con il vertice politico che non sempre
sono conformi al diritto vigente.
D’altra parte ci
sono voluti secoli per abolire la tutela del funzionario attraverso la “garanzia
amministrativa” (su cui ironizzava Tocqueville), cancellata dalla Corte Costituzionale
solo negli anni ’50 del secolo passato; e non aspettiamoci che norme così
favorevoli ai governanti e al loro aiutantato
(Miglio), possano essere abolite o ridimensionate senza una lotta dura (e lunga).
La quale deve
partire dalle idee; ho ricordato Mosca, come in altri articoli Orlando o Pareto,
e non a caso. Se Mosca e Pareto sono considerati (o almeno tra) i padri della
scienza politica moderna, sarebbe il caso di seguirne i consigli. E soprattutto
non cadere nel sacco delle argomentazioni contrarie (usuali in casi del genere):
che così non si può più governare, che i funzionari non firmeranno niente, ecc.
ecc.
Non si capisce,
se fosse vero ciò (fino ad un certo punto lo è, e l’ho spiegato altrove), per quale
ragione stiano ottimamente in forma altri Stati, in primis la Gran Bretagna che delle disparità tra governanti e governati hanno fatto un uso tutto
sommato moderato.
A sentire certi
sermoni - e se questi fossero veri – la Gran Bretagna avrebbe dovuto essere da
secoli una provincia della Francia (o della Spagna), perché impossibilitata a
mantenersi come Stato (indipendente). Invece, malgrado l’Habeus corpus e il Bill of
rights ha costruito e gestito un grande impero ed è sempre stata
in-dipendente. Anche negli ultimi anni con la Brexit ha dato prova di volere un destino nazionale. E che gli
istituti a tutela delle libertà individuali non impediscono – almeno nel lungo
periodo – indipendenza nazionale ed efficienza pubblica.
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