Aveva la vista
lunga Giustino Fortunato, quando, oltre un secolo fa, sintetizzò il programma
dei socialisti suoi contemporanei nello slogan
“le terre ai contadini, le fabbriche agli operai, gli uffici agli impiegati”.
Nel secolo passato sono venute meno le prime due rivendicazioni. La terra ai
contadini, perché con la riforma agraria dei governi De Gasperi (soprattutto,
ma non solo) il latifondo fu espropriato e le terre distribuite, onde la
rivendicazione è cessata. Anche le fabbriche agli operai non è più d’attualità:
un po’ perché di operai ce ne sono assai di meno, ma soprattutto per scarsità
delle fabbriche le quali in gran parte, nell’ultimo trentennio, sono state delocalizzate in paesi dalla manodopera più
economica e dal fisco meno rapace. Resta, anzi è incrementata, la terza, cioè
la patrimonializzazione surrettizia
degli uffici, non nelle forme delle società feudali,
con le funzioni pubbliche conferite (appaltate, vendute) ai privati (che in
tali casi, almeno, ne sopportavano i costi, oltre a percepirne i benefici); ma
attraverso la riduzione delle responsabilità del funzionario (disciplinare ma
soprattutto patrimoniale) il boicottaggio
legale delle pretese dei cittadini danneggiati da atti illegittimi, la
compiacenza politica e talvolta giudiziaria nei confronti dei comportamenti
delle PP.AA.. Ma soprattutto, come spesso scrivo, dalla disparità – processuale e sostanziale – tra cittadino e P.P.A.A..
Fortunato
avvertiva a cosa avrebbe portato l’andazzo, in gran parte confermato a distanza
di oltre un secolo: che non è solo un problema di diritti lesi, ma anche di
ordinamento dello Stato. Scrive l’economista lucano: “non è punto immaginario,
di avere, un giorno, i pubblici poteri a disposizione de’ funzionari contro
l’interesse della collettività” e “noi, vecchi liberali, crediamo ancora di parlare, come già i
partiti storici della Destra e della Sinistra, in nome del popolo, ossia,
secondo il significato classico della parola, in nome della universalità de’
cittadini” mentre i socialisti impiegano “le maggiori energie a vantaggio
degl’impiegati dello Stato; e assumendone ufficialmente il patrocinio,
mettendosi a capo di tutto il movimento burocratico”. La burocrazia “non
concepì i servizi amministrativi se non immaginandoli pari a quelli di una
macchina, che dovesse agire per solo uso e consumo de’ suoi congegni, nel particolare esclusivo interesse di coloro
che vi fossero addetti, - la macchina per la macchina, l’ultima forma, e la
più bizzarra, di un nuovo assolutismo di classe” (il corsivo è mio); e questo
implica “la tendenza al dominio universale della burocrazia, - il cui trionfo
sarebbe la resurrezione, sott’altra forma, dell’antico assolutismo, o, meglio,
della peggiore delle tirannie, quella della servilità
uniforme e meccanica”.
Dato, quindi,
che tra i principi dello Stato borghese c’è che la funzione pubblica è
nazionalizzata e pertanto tutti i poteri pubblici non sono appropriabili, ottundere
e ridurre, escludere le correlative responsabilità e doveri è difficile.
Ma lo si è
fatto, in particolare in Italia, come constatava (e prevedeva) Fortunato sia attraverso
normative apposite, sia con comportamenti compiacenti ed assolutori.
Per la
prescrizione la normativa non è del tutto favorevole
alla P.A., e comunque la possibilità di sanzionare i funzionati inerti c’è,
anche se di attivazione non facile; pertanto occorre ai burofili, come è stato fatto, cambiare il bersaglio: dal funzionario pigro al contribuente fetente. Proprio
cioè il contrario di quello che succederebbe in un’impresa privata: nella quale
un impiegato che, incaricato di recuperare i crediti, li facesse prescrivere,
sarebbe licenziato subito e magari gli sarebbe richiesto di rifondere i danni. Nella
seconda repubblica, le privatizzazioni hanno imperversato, ma spesso a
chiacchiere, perché in tanti casi, come questo, i comportamenti sono stati
opposti; la burofilia continua ad
imperversare. E il potere non ha di meglio per occultare prassi complici o, nel
migliore dei casi, fiacche e di prendersela, come il re di G.G. Belli con i vastalli buggiaroni, colpevoli di tutto.
E quindi da punire, anche con la forca perché il potere, come il sovrano del
poeta “la vita e la robba ve l’affitto”.
L’unico
tentativo per far cessare queste mistificazioni è non fare come i sudditi nel
sonetto, che rispondono, inconsapevoli, “è vero è vero”.
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