Ivan Krastev – Gli
ultimi giorni dell’Unione. Luiss University Press, Roma 2019, pp. 133 € 16,00
L’autore ha
vissuto da giovane il crollo del comunismo, la cui “ragione sociale) era
l’emancipazione definitiva dell’umanità e la durata – nel caso più longevo,
come l’URSS – è stata poco più di settant’anni. In questo saggio Krastev ritiene
assai probabile anche il collasso dell’Unione europea.
Causa principale è
l’esaurirsi dello “spirito” originale. Scrive Saraceno nella prefazione “A
partire dagli anni Ottanta del Ventesimo secolo, le sfide della globalizzazione
hanno messo in crisi questo modello e il suo motore principale, quelle classi
medie ormai impoverite, strette fra un élite globale di plutocrati sempre più
ricchi che di fatto si sono sottratti al patto sociale, e le classi medie dei
Paesi emergenti, che reclamano il posto che compete loro sulla scena globale. A
questo si aggiunge in economia un “Nuovo consenso”, anch’esso sviluppatosi
negli anni Ottanta e che, in nome di una supposta supremazia dei mercati,
rifiuta un ruolo proprio a quello Stato regolatore e al patto sociale che
avevano costituito due dei pilastri del modello sociale ed economico europeo. A
questo si aggiunge che nel nuovo quadro della globalizzazione “è diventato
impossibile effettuare scelte democratiche a livello di Stati nazionali; … essendo
la cessione di sovranità all’Unione Europea una chimera, i popoli europei
maltrattati dalla globalizzazione hanno cercato spazi di democrazia nel
sovranismo e nella protezione dell’interesse nazionale”.
La profezia di
“fine dell’Europa” non è auspicata: è anche (e soprattutto) un monito; “è un
pugno in faccia alle élite compiaciute che soffrono di “disturbo autistico”.
Tuttavia che il
recupero di una piena sovranità nazionale porti alla risoluzione dei problemi
pare non meno utopico all’autore del progetto federale in via di
decomposizione. Certo occorre cambiare (politiche ed élite dirigenti). Il
saggio è pieno di intuizioni originali o poco frequentate: ad esempio il “peso”
della concezione di Fukuyama nell’ideologia
della globalizzazione. O l’emergere di nuovi conflitti. “I conflitti tra
esponenti di visioni Da Ovunque e Da qualche Posto, tra globalisti e nativisti,
tra società aperte e società chiuse influenzano l’identità politica degli elettori
più di quanto facessero le precedenti identità basate sulle classi”; il tutto
mette in crisi, con riduzioni a percentuali sempre più modeste, il consenso ai
partiti di sinistra (e non solo) che sulla scriminante di classe avevano investito.
È costante poi la
stigmatizzazione di Krastev sull’inadeguatezza delle elite politiche ed
economiche europee ad affrontare la crisi; onde hanno in effetti lavorato per i
loro avversari sovranisti e populisti. Chi abbia visto (e sopportato) l’opera
del governo Monti, principale ostetrico del sovran-populismo italiano, non può
che concordare.
Chiudendo tale
recensione (breve per definizione di genere) il crescere del populismo ha
prodotto anche una copiosa produzione di saggi sul medesimo, che ne attribuiscono
l’emergere impetuoso alle cause più varie: dalla decadenza delle élite alla
globalizzazione, da uno stile di propaganda alla crisi economica, dalla difesa
dell’identità nazionale a quella della democrazia. Verosimilmente tutte (o
quasi) compresenti. Se si vuole ascrivere a uno di tali “filoni interpretativi”
il saggio di Krastev, questo è a quello – forse il più antico – che risale al
saggio di C. Lasch sulla “Ribellione delle élite” di oltre vent’anni orsono.
La tesi di Lasch
era che le nuove élite globalizzate, erano separate dalle masse per cultura,
aspirazione, modi di vita. Èlite e masse non condividevano non solo l’idem sentire de republica ma molto di
più. Se quindi basta la non condivisione dell’idem sentire per generare una crisi di legittimità, ancora più facile
e determinante che si produca se quella distinzione è a “tutto tondo”:
coinvolge pubblico e privato, lavoro, tempo libero, famiglia e svago, morale e
scelte religiose. E da una crisi siffatta si esce in un solo modo: ricostruendo
quell’almeno “idem sentire” e,
meglio, anche qualcosa di più.
Teodoro
Klitsche de la Grange
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