IL PRIMO RE
Secondo una
concezione, per lo più condivisa, e che ripetiamo da Vico, il mito è considerato
una forma autonoma di elaborazione di pensiero e di regole di condotta, adatta
a un determinato stadio (“giovanile”) della vita di un popolo. Quindi è – o può
essere - verità, ma espressa poeticamente e fantasticamente.
Il mito rivela
così anche regole, direttive, norme di varia natura. Così il mito della
fondazione di Roma. Dal racconto che ne fa (tra gli altri) Plutarco si desumono
due regole. A seguito del disaccordo sul luogo dove edificare la città, si
decise di rimettere la decisione al “divino” (ossia al numero di uccelli
avvistati). Dato che prevalse Romolo (forse con la frode) lo stesso cominciò a
scavare il solco all’interno del quale edificare le mura della città, mentre
Remo lo derideva ed ostacolava. Ma quando questi attraversò con un salto il
fossato Romolo (o uno dei suoi seguaci) lo uccise. Da tale racconto è possibile
ricavare (almeno) due “costanti” di grande importanza per la saldezza e durata
delle istituzioni (quelle politiche soprattutto): la prima è che il vertice
dell’istituzione deve essere unico e una
la direzione politica. L’altra che il confine - in senso ampio -
differenzia ciò che è interno o esterno alla comunità ed è essenziale per
l'ordine e l'unità della stessa. A trascurare queste regole, o ad indebolirle
s' “impara più presto la ruina che la preservazione sua”.
Questo ad
interpretare il mito della fondazione laicamente,
ossia senza il rapporto tra religione ed istituzioni.
Nel bel film sulla
fondazione di Roma (di Matteo Rovere), da poco uscito nelle sale, la concezione
laica appare (non errata ma) insufficiente:
il film è dominato dal rapporto tra violenza e sacro, e così sul ruolo dominante
del religioso nelle comunità umane, evidente soprattutto in quelle primitive.
Si apre con il disastro provocato dall’esondazione del Tevere, per cui Romolo e
Remo si trovano catturati, con altri pastori, dagli albani, i quali decidono di
sacrificarli alla divinità (triplice dea,
che vi ricorda?), attraverso duelli tra i prigionieri, in cui il cadavere del
perdente finisce nel fuoco sacro custodito dalla proto-vestale. I gemelli si
ribellano con gli altri prigionieri e fuggono, rapendo la vestale e scontrandosi
(e vincendo) contro gli abitanti di un altro villaggio, di cui Remo diventa il
capo.
Ma la sacerdotessa
rapita prevede il futuro dei due fratelli e l’uccisione di uno di essi per mano
dell’altro, per cui è messa a morte da Remo. Il quale con questo ed altro
contesta il volere divino (e il fato) di uccidere (o essere ucciso) dal
fratello. La stessa fondazione della città è connotata dal rapporto tra
violenza e sacro; Remo è ucciso perché oltrepassa il pomerium, ma la violenza è fondatrice
dell’ordine, della civitas destinata
a dominare ed unificare il mondo antico, che si costituisce sotto un potere unico. La violenza (la forza) ha un
carattere nomogenetico, se si accompagna a un nomos comunitario.
Il rapporto tra questa
e il sacro è il carattere peculiare di questo film, bello quanto raro. Scrive
René Girard che di tale rapporto è stato non l’unico, ma l’assertore (forse)
principale, che il pensiero moderno “cerca di rendere conto del giuoco della
violenza e della cultura in termini di differenze” (anzi spesso di
opposizione), mentre, nella storia, l’ordine è sempre connesso alla forza e
alla credenza nel “trascendente” nel non “visibile”: un tempo gli Dei o il Dio
oggi il popolo (o la nazione) come elemento e principio dell’ordine.
E, all’epoca, alla
credenza religiosa e alla volontà divina, e al caso che lo realizza. Nella fondazione
di Roma la scelta fu rassegnata al caso (al volo degli uccelli). Al contrario
di quello che sostiene la vulgata
moderna “nelle interpretazioni religiose è misconosciuta la violenza fondatrice
ma è affermata la sua esistenza. Nelle interpretazioni moderne è negata la sua esistenza. Eppure, è la
violenza fondatrice che continua a governare tutto”, scrive Girard.
Lo stesso Remo,
quando nel film compie atti incompatibili colla credenza nel divino, perde il
rapporto con la comunità; mantenuto invece da Romolo, il quale, anche nel
duello finale, delimita lo spazio della civitas
con il pomerium (il solco sacro) che
Remo, irridente e senza pietas,
scavalca armato.
Il carattere
costitutivo e fondatore del sacro è dato dall’essere sovraindividuale e il destino di non essere compreso in una società
ed un tempo che vorrebbe essere individualistica fino all’irreale. Ma una
dimensione pubblica è per sua natura sovraindividuale e sottratta alla
decisione individualistica. Come sosteneva Mazzini sulla libertà (come assoluto)
non si costituisce nulla (di
esistente politicamente). Tanto meno quindi una comunità. È una dimensione che
un pensiero nichilista come quello corrente ha smarrito o rifiuta, malgrado la
smentita continua del reale.
Perciò ben venga
un film tributario del pensiero politicamente scorretto: da Girard a Dumezil
(la “triplice dea”), passando per De Maistre e Carl Schmitt. Buona visione.
Teodoro Klitsche
de la Grange
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