INTERVISTA A MACHIAVELLI SUL POPULISMO
L’Italia è tornata
ad essere laboratorio politico. Media,
giornalisti, insegnanti d’università e di liceo, blogger, filosofi, banchieri,
scienziati ed altri s’interrogano sul populismo e sul perché il nostro sia il
primo paese europeo occidentale ad essere governato da un bicolore popul-sovran-identitario.
Certezze scosse e novità impreviste rendono inutili strumenti (ed autori)
usuali fino a pochi anni fa. Dato il carattere di svolta e novità epocale,
abbiamo provato a chiedere lumi a Niccolò Machiavelli. Il quale ci ha
gentilmente concesso questo colloquio.
Qual è la principale causa del successo populista?
Gli è che tutti i reggimenti
politici sono come gli uomini: nascono, crescono, decadono e muoiono.
Il vostro reggimento,
nato da una sconfitta militare, e con una classe divenuta dirigente “per grazia
di chi lo concede” (il potere) è durato tanto: segno che quei governanti,
divenuti tali per fortuna, non erano scarsi d’ “ingegno e virtù”. Ma col
passare dei decenni l’uno e l’altro si sono consunti. I nipoti di quei vecchi,
ossia i governanti di quella che chiamate la seconda repubblica, non potevano
ereditare “ingegno e virtù” né comprarli al mercato.
Quindi i populisti vincono per demerito degli altri?
Non so se quanto per
demerito o per il decorso del ciclo politico (nascita, crescita, decadenza,
fine). Sicuramente un po’ per assenza di ingegno e virtù, un po’ per tale
“regolarità” politica.
E perché nessuno ne parla?
Non sia ingenuo.
Parlare della propria assenza di virtù è come ammettere di essere inadatto a
governare da una parte; dall’altra sminuire i propri meriti di vincitori.
Quanto al ciclo politico, tale idea è contraria a quella di progresso sulla
quale le vecchie elite avevano costruito la propria fortuna. Ammettere che non
avevano la ricetta per realizzarle le “magnifiche sorti e progressive”, è
confessarsi dei Dulcamara, ricchi di parole e poveri d’ingegno. Per gli altri
vale sempre il discorso sui loro meriti; che non sono gli stessi se dipendono
da quella regolarità. Seneca scriveva volentem
ducunt fata, nolentem trahunt: ma se è il fato a decidere, loro di che
possono vantarsi?
Gli sfrattati dal governo dicono che quello populista
durerà poco. Che ci può dire?
Che questi ragazzi
(Salvini, Di Maio) non sono grulli! Forse non mi hanno letto ma hanno capito.
Come ho scritto, quando qualcuno conquista il potere “con il favore degli altri
suoi cittadini” e questi quel favore ce l’hanno perché hanno vinto le elezioni,
l’essenziale è non inimicarsi il popolo: non hanno ottenuto il potere col “favore
dei grandi” ma con quello del popolo e “debbe pertanto uno che diventi
principe”, “mantenerselo amico”.
Ciò è facile,
perché gli basta non opprimerlo. E così sarà sostenuto dal popolo anche nelle
avversità, come quelle in cui vi trovate. Avendolo i loro predecessori
oppresso, caricato di tasse e privato di risorse, non gli è difficile, con
poco, far capire che la musica è cambiata.
Che ne pensa a proposito delle tasse degli italiani?
I predecessori non
avevano capito che i cittadini possono perdonare o meglio sopportare governanti
che gli hanno ammazzato il padre o il fratello, ma non perdonano né dimenticano
chi gli ha tolto la roba. Quelli credevano di imbrogliarli con discorsi
commoventi, ma alla lunga non hanno retto.
Ma i vecchi governanti distribuivano quanto prelevato.
Non è così?
Se anche lo fosse
– e non lo è o non lo è del tutto – hanno trascurato che un principe può essere
liberale quando spende denaro d’altri, ma non quando distribuisce quello
proprio o dei propri sudditi. Chi lo vota non lo dimentica. E c’è altro.
Che cosa?
I vecchi governanti
contavano troppo di tenersi su col favore dei grandi più che del popolo. Grandi
che sono alemani, francesi ed altro. Hanno persino dato la fiducia – loro
eletti dal popolo – ad un governo di persone mai elette neanche in un
condominio, ma graditi ai grandi. I quali hanno governato di guisa da non
scontentare quelli (dal cui favore dipendevano), ma dispiacendo il popolo.
Hanno dimenticato che quando si governa con i grandi, che sono – almeno – pari
a loro, questi non si possono “comandare né maneggiare a suo modo”. E infatti,
i grandi li hanno aiutati poco o punto, quando ne avevano necessità.
Non è che i vecchi pensavano di poter persuadere il
popolo della bontà della loro politica?
Si può governare
con due mezzi: la forza del leone o l’astuzia della volpe. Ma non si può
credere che, ripetendo le stesse cose per anni, e con risultati coì modesti
tutti potessero essere abbindolati per sempre credendo a quei ritornelli. A volte
capita, come a Messer Nicia “Quanto felice sia ciascun sel vede/chi nasce
sciocco ed ogni cosa crede”. Ma si trattava di uno e non di tutti. E lo stesso
Messer Nicia era vittima dei raggiri di Ligurio in quell’occasione specifica.
Questi pretendevano di andare avanti per sempre e con tutti, con le loro azioni
buoniste.
E se le cose
fossero andate bene, forse queste astuzie sarebbero state utili. Orazioni e
cerimonie lo sono, quando c’è tempo buono “ma non sia alcun dì sì poco cervello/
che creda, se la cosa sua ruina che Dio lo salvi senz’altro puntello/ perché
morrà sotto quella ruina”. Cosa, per l’appunto, loro capitato con la crisi.
In definitiva cosa consiglia ai nuovi governanti?
Di tenersi stretto
il popolo, perché non possono contare – o possono poco – sul favore dei grandi.
Non pensa che alemani ed altri possono profittare
della divisione degli italiani? E far cadere il governo?
Di sicuro: e
dividere i nemici è la prima regola per il successo della lotta. Ma attenzione:
“la cagione della disunione delle repubbliche … è l’ozio o la pace, la cagione
della unione è la paura e la guerra”. A minacciare sempre spread, sanzioni ed altro, il consenso del popolo al governo viene
ad essere rafforzato. Come capitato nella guerra tra Roma e Veio.
La ringrazio. Mi concederà un’altra intervista?
Certo. Sa qui sto
bene come a S. Casciano tra una briscola e una scopetta con i beati. Ma son
tutti così buoni! E io mi annoio un po’. Meglio così tornare di quando in
quando con i viventi, tutti intenti a sporcarsi le mani con la politica.
Teodoro
Klitsche de la Grange
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