COSTITUZIONE UNGHERESE E STATO DI DIRITTO
La costituzione già
vigente in Ungheria, prima dell’attuale (ossia quella adottata nel 1949
ampiamente modificata dopo il crollo del regime comunista) grazie anche agli
interventi della Corte costituzionale, era stata adattata alla nuova situazione
politica.
Dal 2012 è entrata
in vigore la nuova Costituzione. Il testo è suddiviso in tre parti, con
numerazione diversa: gli articoli della prima parte sui “principi fondamentali”
sono segnati da una lettera (da A a T); la seconda parte sui diritti e doveri
(intitolata Libertà e responsabilità)
porta numeri romani (da I a XXXI); e, infine, la terza parte
sull’organizzazione dello stato ha numeri arabi (da 1 a 54).
La Costituzione
del 2012 nel preambolo fa esplicito riferimento al cristianesimo, e recita:
“Riconosciamo il ruolo del cristianesimo nella preservazione della nazione.
Rispettiamo le diverse tradizioni religiose presenti nel nostro paese”; è
garantita la protezione del feto (art. II). Un altro articolo definisce il
matrimonio come unione tra uomo e donna e dispone la protezione della famiglia
come “la base per la sopravvivenza della nazione”. La “fonte del potere
pubblico è il popolo” dispone l’art. B.
L’art. C (I°
comma) dispone che “il funzionamento dello Stato ungherese si fonda sul
principio della separazione dei poteri”.
Sempre l’art. C
(II° e III° comma) fonda il monopolio della violenza legittima dello Stato, che
appare completato dal diritto ed obbligo (per tutti) di intervenire in modo
legittimo, contro simili pretese (di conquistare o esercitare il potere con la violenza) che pare fondante un diritto
di resistenza “minore”.
Il controllo di
costituzionalità è sia preventivo che successivo (al contrario di quello
italiano che è solo successivo); dato
che precedentemente era possibile l’azione popolare, il ricorso (diretto)
individuale è attribuito (così restringendolo) ai soli soggetti lesi dall’atto
impugnato (v. art. 24).
I giudici e i
magistrati della Procura “sono indipendenti”; non possono essere iscritti a
partiti, né svolgere attività politica. Si noti che i Presidenti della Corte
Costituzionale, della Corte Suprema d’Appello e il Procuratore generale sono
eletti dall’Assemblea nazionale. Tale soluzione era quella già prescritta nella
Costituzione del 1949, tipica degli Stati del socialismo reale, anche se, in
quelli, estesa a tutti i giudici, peraltro revocabili (e quindi non inamovibili)[1].
La regolazione delle garanzie istituzionali dello status e della retribuzione dei magistrati è demandata ad una “legge
organica”.
L’art. L dispone
che “L’Ungheria tutela l’istituto del matrimonio quale unione volontaria di
vita tra l’uomo e la donna, nonché la famiglia come base della sopravvivenza
della Nazione. L’Ungheria sostiene l’impegno ad avere figli”.
L’art. O dispone
che “Ognuno è responsabile di se stesso ed è tenuto a concorrere
all’espletamento delle funzioni statali e comunitarie secondo le proprie
competenze e possibilità”.
L’art. R al comma I°
dispone che la Legge fondamentale (cioè la Costituzione) è “la base
dell’ordinamento giuridico dell’Ungheria”. Al comma III che “le norme della
Legge Fondamentale vanno interpretate in armonia con il loro fine, con la
Professione Nazionale ivi compresa, e con le conquiste della nostra
costituzione storica”.
L’art. S prescrive
le norme per le modifiche costituzionali che ne richiedono l’approvazione con
maggioranza qualificata “dei due terzi dei deputati dell’Assemblea Nazionale”
(è così una Costituzione rigida).
L’art. T (comma IV°) prescrive poi che “le leggi organiche sono approvate con
la maggioranza dei due terzi dei deputati presenti” (tali leggi sono prescritte
dalla costituzione in materia di particolare rilievo, indicate dalla stessa
legge fondamentale).
L’art. I dispone
“I diritti inviolabili ed inalienabili dell’uomo vanno rispettati. È obbligo
primario dello Stato la protezione di essi”, il III comma prescrive “Le norme
che riguardano i diritti e i doveri fondamentali sono stabilite dalla legge. Un
diritto fondamentale può essere limitato, nella misura strettamente necessaria,
allo scopo di far valere un altro diritto fondamentale o di difendere dei
valori costituzionali, in modo proporzionato al fine intenzionato e nel rispetto dei contenuti essenziali del
medesimo diritto fondamentale”. Tale ultimo precetto ricorda, per la
garanzia del contenuto, l’art. 19 (II° comma) della Grundgesetz tedesca.
Gli articoli dal
II al XXX proteggono i diritti di libertà e proprietà garantiti in ogni Stato
borghese, con particolare attenzione alla famiglia e ai minori (articoli XVI e
XVIII). L’art. XXXI prevede, tra l’altro obblighi e limiti dello Stato
d’eccezione, che sono destinati a essere disciplinati dettagliatamente dagli
artt. 48-54.
Quanto
all’organizzazione dello Stato, l’art. 15 prescrive il principio di legalità per
gli atti del Governo, l’art. 21 la sfiducia al Primo Ministro eletto
dall’Assemblea Nazionale (con indicazione del sostituto “suggerito” il che ne
fa una “sfiducia costruttiva”).
L’art. 30
istituisce il Commissario dei diritti fondamentali che “svolge l’attività di
protezione dei diritti fondamentali. Chiunque può richiedere il suo intervento.
Il Commissario dei Diritti Fondamentali esamina e fa esaminare gli abusi
relativi ai diritti fondamentali dei quali è stato informato, e per risolverli
intraprende provvedimenti speciali o generali”; è eletto (con i sostituti dello
stesso) dall’Assemblea nazionale, e non può essere (come i sostituti) membro di
partiti né svolgere attività politica. Altre norme disciplinano i “governi
locali” (artt. 31-35); la finanza pubblica (artt. 36-44); la forza pubblica e
le operazioni militari (artt. 45-47).
2. Com’è noto si è
dubitato da parte di organi dell’Unione Europea che, non tanto la Costituzione,
ma soprattutto alcune leggi approvate successivamente dall’Assemblea Nazionale,
siano lesive dello Stato di diritto.
Occorre
previamente fare un breve cenno alla precedente Costituzione dell’Ungheria (del
1949 – in pieno stalinismo) per notare le (enormi) differenze con quella del
2012.
La Costituzione
“stalinista” inizia con un entusiastico plauso alla sconfitta e all’occupazione
militare dell’Ungheria da parte dell’URSS[2];
prosegue col disporre (art. 4) “Nella Repubblica popolare di Ungheria la
massima parte dei più importanti mezzi di produzione è proprietà dello Stato,
delle organizzazioni pubbliche o delle cooperative. Mezzi di produzione possono trovarsi anche in mani private” (il
corsivo è mio) l’art. 5 dispone la pianificazione; l’art. 6 la “proprietà del
popolo” di (quasi tutto); l’art. 9 il diritto (e il dovere) al lavoro.
Il praesidium dell’Assemblea nazionale,
come in altre costituzioni degli Stati del “socialismo reale” faceva un po’ di
tutto, dalla rappresentanza (internazionale), alla normativa d’urgenza,
all’annullamento degli atti degli organi statali per illegittimità (o perché
contrastanti con “gli interessi dei lavoratori”)[3].
I giudici erano
elettivi (art. 39), come il Procuratore generale. Gli artt. 45-58 tutelavano i
diritti dei cittadini e dei lavoratori; gli artt. 59-61 i doveri dei cittadini.
Poi l’art. 66 poneva sotto riserva di legge “l’elezione e la revoca” dei
deputati.
Si capisce che,
data la storia dell’Ungheria nel secondo dopo-guerra e la dura resistenza del
popolo all’occupazione sovietica, il costituente del 2012 abbia proclamato
nella “Professione nazionale” (cioè il “preambolo”) che “Onoriamo le conquiste
della nostra costituzione storica e la Sacra Corona, la quale incarna
dell’Ungheria la continuità costituzionale dello Stato e l’unità della nazione.
Non riconosciamo la sospensione della nostra costituzione storica avvenuta
sotto occupazione straniera. Neghiamo la prescrizione dei crimini disumani
commessi contro la nazione ungherese ed i suoi cittadini durante le dittature
nazionalsocialista e comunista. Non
riconosciamo la Costituzione comunista dell’anno 1949, perché fondamento di
tirannia e ne dichiariamo perciò
l’invalidità (il corsivo è mio). Concordiamo con i deputati della prima
Assemblea Nazionale libera, i quali, con la loro prima delibera, dichiararono
che la nostra odierna libertà germogliò dalla nostra rivoluzione del 1956. La
ricostituzione dell’autodeterminazione statale della nostra Patria, persa il
diciannove marzo 1944, la consideriamo avvenuta il 2 maggio 1990, data
dell’inaugurazione della prima rappresentanza nazionale a seguito di elezioni
libere. Riteniamo tale data l’inizio della nuova democrazia e del nuovo
ordinamento costituzionale della nostra patria”.
Anche se l’
“invalidità” può creare dei problemi di carattere giuridico, allorquando si
cerchi di assicurare una continuità giuridico-normativa a cambiamenti della
forma di Stato e del regime politico, è comprensibile politicamente che un
popolo, così geloso della propria indipendenza, abbia voluto rimarcare la
(radicale) discontinuità della nuova Costituzione rispetto al regime di
“occupazione straniera”, che è la sostanza di quanto capitato all’Ungheria nel
XX secolo. Se il tutto può apparire “politicamente scorretto” è altrettanto storicamente esatto.
In sostanza la
“Professione nazionale” afferma sul punto due principi: che la libertà politica
è, in primo luogo, quella del popolo di determinare autonomamente la forma
della sua esistenza, politica in primo luogo; e che se la volontà del popolo è
coartata il prodotto di tale coercizione - coerentemente al principio democratico
– non è riferibile al popolo e alla sua volizione, ma all’occupante straniero[4];
onde è invalido.
L’art. B della Carta
ungherese proclama che “l’Ungheria è uno stato di diritto, indipendente e democratico” (il corsivo è mio); al comma III che la
“fonte del potere pubblico è il popolo”.
Ciò stante occorre
vedere se le disposizioni e il preambolo della Costituzione ungherese sono
riconducibili al “tipo ideale” dello Stato borghese di diritto.
I principi dello
Stato borghese di diritto sono enunciati nell’art. 16 della Dichiarazione dei
Diritti dell’uomo e del Cittadino del 1789: “Toute Sociétè dans laquelle la
garantie des Droits m’est pas assurée, ni la séparation des Pouvoirs
déterminée, n’a point de Constitution”
(il corsivo è mio). Di tale asserzione “non avere una costituzione “è un errore
evidente, perché ogni Stato per il solo fatto di esistere è una Costituzione
(Santi Romano); ma è sicuramente esatto che, distinzione dei poteri e garanzia
dei diritti fondamentali sono le “cartine di tornasole” che distinguono lo
Stato di diritto da quello che non lo è.
Su ciò la migliore
dottrina concorda. A citare soltanto maestri del diritto pubblico come Vittorio
Emanuela Orlando, il quale individuava tra le caratteristiche del “governo
rappresentativo” (cioè lo Stato borghese di diritto) la distinzione dei poteri
e la tutela giuridica[5];
lo stesso sosteneva Carl Schmitt [6]
e, attualizzandolo alla “Stato sociale” Ernst Forsthoff[7].
Applicando tal
criterio distintivo è sicuro che la Costituzione dell’Ungheria è quella di uno
Stato di diritto: la separazione dei poteri c’è, la tutela dei diritti
fondamentali pure. Anche attraverso autorità che in Italia non abbiamo come il
“Commissario dei diritti fondamentali”. Se qualcuno può rilevare che la nomina
dei magistrati apicali è demandata al potere politico, si può replicare che il
tutto risulta anche da altre Costituzioni, come quella USA (la Corte Suprema di
nomina presidenziale); peraltro in USA la gran parte dei giudici sono di nomina
o elezione da parte di insiemi politici, e nessuno ha, che risulti, dubitato
che la Costituzione degli Stati Uniti non fosse riconducibile ad uno Stato di
diritto.
Le costituzioni
moderne riconducibili allo Stato di diritto hanno diverse forme di governo
(presidenziale, parlamentare, del “primo ministro”, federale, e cosi via) ma nessuno
– che mi risulti – ha revocato in dubbio che ad esempio, la Costituzione
francese (della III e IV Repubblica), parlamentare e centralizzata non fosse di
democrazia liberale perché quella degli USA è presidenziale e federale, o
viceversa.
4. Il Parlamento
europeo, nel settembre 2018 ha approvato una risoluzione “sull’evidente rischio
di violazione grave da parte dell’Ungheria dei valori su cui si fonda l’Unione”
(tra cui, v. testo, “il rispetto della democrazia, dello Stato di diritto e dei
diritti umani”). Sulla stampa il tutto è stato riassunto, per lo più, come
“violazione dello Stato di diritto”. L’elencazione, nel testo della risoluzione
(e dell’allegato), delle “preoccupazioni” del Parlamento, ne indica dodici, dal
funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale ai diritti economici e
sociali.
Quanto a quelle
“preoccupazioni” che riguardano lo Stato di diritto, le più importanti sono quelle
costituzionali in relazione alle insufficienze del dibattito nella fase
costituente[8]; e alla
limitazione dei poteri e dell’accesso alla Corte costituzionale[9].
Seguono
preoccupazioni sulle garanzie istituzionali dei giudici e di altre autorità,
con particolare riguardo al ruolo del Presidente del consiglio nazionale della
magistratura ungherese rispetto all’organo collegiale[10].
Quanto alla
“libertà di espressione” sono censurati (tra l’altro) le nomine “che
disciplinano l’elezione dei membri del Consiglio dei media”. Seguono
preoccupazioni su alcuni diritti generalmente riconosciuti (libertà di
associazione, diritto delle minoranze, libertà religiose).
Tra i fatti
suscitanti preoccupazione c’è che la polizia locale di un villaggio infliggeva
multe “per infrazioni stradali minori” soltanto ai rom. Quanto ai migranti, ai rifugiati
e ai richiedenti asilo il documento in esame sottolinea situazioni di
privazione arbitraria della libertà, maltrattamenti e “periodi di detenzione
lunghi e indefiniti” nelle zone di transito dove sono trasferiti i richiedenti asilo.
Nel complesso un
insieme di contestazioni che, nella stragrande maggioranza possono ricondursi a
tre classi distinte.
La prima in cui si
possono riscontrare mende analoghe a quelle accertate per l’Ungheria nei
confronti di altri paesi dell’Unione, ma che non hanno dato occasione all’UE di
attivare procedure d’infrazione per violazione dei principi nello Stato di
diritto. Così, se la polizia ungherese tratta duramente i migranti, quella
italiana è stata condannata dalla Corte EDU per i fatti di Genova (della
caserma Diaz) per violazioni compiute nei confronti di cittadini italiani
(soprattutto) e stranieri, non meno gravi. Ma nessuno che ci risulti ha
attivato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, e non è dato
intendere le ragioni di tale discrezionalità.
L’altra classe è
di “infrazioni” relative ad istituti che sono tranquillamente applicati da
altri Stati membri dell’UE.
Così quella sull’actio popularis alla Corte Costituzionale ungherese, dato
che, sempre a far paragoni con l’Italia, nel nostro ordinamento l’actio popularis non c’è. Né quanto al
“funzionamento del sistema elettorale” risulta che la UE abbia trovato alcunchè
da ridire sul fatto che, avendo la Corte Costituzionale italiana, dichiarato
incostituzionale la legge elettorale in base alla quale era stato eletto il
Parlamento nella legislatura 2013-2018, il Parlamento stesso, e tutti gli atti
dello stesso, (elezione del Presidente della Repubblica e fiducia al Governo
compresi) erano invalidi per invalidità
derivata.
Alla terza classe
appartengono mende di rilievo assai modesto e non incidenti sui principi dello
Stato di diritto: così il contenuto dei sussidiari
degli scolari ungheresi o l’atteggiamento nei confronti delle unioni tra
persone dello stesso sesso. Lo Stato di diritto era la risposta della borghesia
rivoluzionaria allo Stato di polizia monarchico, onde sono a quello riconducibili
limiti e discipline relative alla modellazione e all’esercizio dei poteri
pubblici. Nei casi citati sopra si tratta di rapporti tra privati, che possono
essere riconosciuti o no da uno Stato sia di diritto che di altro tipo e forma.
Pertanto atteso
che non molto del contestato all’Ungheria mette in forse lo Stato di diritto e
che per questo paese si esprimono preoccupazioni che sono taciute per altri,
occorre vedere in cosa (e perché) la Costituzione e le leggi ungheresi sono
così invise agli organi dell’UE; tenuto conto che le violazioni contestate dei
principi dello Stato borghese di diritto non sono tali, o comunque non sono più
preoccupanti di quanto capita in altri Stati dell’Unione.
5. Il proprium (l’ “originalità”) della Costituzione
ungherese è non nello scostamento dallo Stato di diritto, ma nell’abbondanza di
asserzioni – più che di norme – le quali contraddicono alcuni degli idola condivisi a partire dal secondo
dopoguerra del XX secolo, in Europa e nel mondo occidentale – o almeno in parte
di questo.
La “professione
nazionale” ungherese nelle prime affermazioni (siamo orgogliosi…) è una sintesi
delle radici etno-culturali e della storia ungherese: in primo luogo
l’esistenza della nazione dal momento della “costituzione” da parte di Santo
Stefano; il ruolo della religione cristiana nella “preservazione della nazione”;
la difesa del fianco sud-orientale dell’Europa (intesa in senso carolingio, cioè la comunità dei popoli
formata dal cristianesimo occidentale).
Passa poi a una
serie di dichiarazioni (dichiariamo….) di valori a cominciare dalla dignità
umana, la libertà la quale “può svilupparsi solo nella collaborazione con gli
altri, nel valore dato alla famiglia e
alla nazione, quali “quadro principale della nostra convivenza…; l’obbligo
di assistenza; da notare l’affermazione con cui si chiude questa parte della
“professione nazionale” “Dichiariamo che la sovranità del popolo esiste solo là
dove lo Stato è al servizio dei suoi
cittadini, e gestisce i loro affari con equità, senza soprusi né parzialità”
(i corsivi sono miei) che sembra indirizzata contro l’uso predatorio, improprio
e mistificante del potere (e del lessico) politico. Dopo la parte sopra ricordata
si può leggere questa asserzione, sorprendente per un documento costituzionale
“Dichiariamo che, in seguito a decenni del XX secolo che hanno portato ad una
decadenza morale abbiamo inevitabilmente bisogno di un rinnovamento spirituale
e intellettuale” e, subito dopo, la “Legge Fondamentale è la base del nostro
ordinamento giuridico: un patto tra gli
ungheresi del passato, del presente e del futuro, Un quadro vivo che esprime la
volontà della nazione, la forma secondo la quale vorremmo vivere” (i corsivi
sono miei). Volontà e forma: due termini posti in assoluto risalto e che, in
altri documenti costituzionali sono usati, se lo sono, in modo non “fondativo”
ossia come direttive di “organizzazione” del mondo d’esistenza nazionale. La
protezione – elemento essenziale dell’obbligazione politica - è prescritta
dall’art. G: “l’Ungheria tutela i suoi cittadini” (v. anche l’art. I, sopra
riportato). Per i cittadini – si noti – è più generica – e quindi più estesa –
che per i “diritti umani” (art. I), spettanti anche ai non-cittadini.
Nel complesso il
testo della Costituzione ungherese vigente risulta valorizzare elementi che non
risultano presenti – o lo sono in misura assai minore – in altre costituzioni
contemporanee. Li si esamina (con l’opposto) per coppie di opposizioni.
Esistente/normativo.
Se il primo era normale in una concezione costituzionale
pre o anti moderna (da Aristotele a
de Bonald), è stato progressivamente eliminato o ridotto successivamente (nei
testi, s’intende, non nella realtà). Nella costituzione dell’Ungheria la comunità nazionale è il termine a quo e quello ad quem della Costituzione, che serve all’esistenza ordinata della stessa. L’istituzione politica (lo Stato)
è al servizio di quella e provvede a tutelarla. La comunità non è un aggregato
d’individui consenzienti, ma è un soggetto della Storia, da questa modellata in
oltre un millennio di esistenza. Ha un futuro perché ha un passato – ed è
consapevole di ciò. Preamboli di altre Costituzioni si sono incaricati
d’indicare i principi dell’ordinamento, altri ancora sono espressione di
volontà politica (nel momento costituente); ma – che ci risulti – nessuno ha un
così ampio riferimento alla “durata” storica della comunità nazionale: con la
conseguenza che è questa – esistente e reale da mille anni – a darsi una forma
politica. Sempre a ricordare i “preamboli” o le “dichiarazioni”, quelle dei
paesi del socialismo reale, prendevano le mosse dalla Rivoluzione d’ottobre
(URSS) o dall’esito della seconda guerra mondiale e delle lotte di liberazione
(DDR, Jugoslavia, Cina, Polonia, Romania; Albania e Cecoslovacchia erano
parzialmente differenti) per procedere all’edificazione di una società
socialista. Tanto futuro e poco o punto passato; in genere quanto sufficiente a
giustificare il cammino intrapreso per il futuro. Tenuto conto che, in una
prospettiva marxista lo Stato era destinato ad estinguersi (e tale esito
considerato positivo per la libertà umana) è chiaro che il passato era
irrilevante ed il futuro decisivo.
È inutile
aggiungere che non solo l’accento posto sull’esistente rispetto al normativo e
del passato rispetto al futuro esaurisce l’eterodossia
della costituzione ungherese, caratterizzata da una visione comunitaria – al contrario
di altre che possono apparire accordi di associazione tra apolidi; nonchè di un
approccio superindividuale in
equilibrio con quello individualistico.
6. In questo la
Costituzione ungherese, è originale non solo rispetto ad altri documenti
costituzionali ma anche rispetto ai referenti ideali – o almeno a molti di
questi che sono generalmente condivisi dalle cosiddette èlite.
In primo luogo, a
prendere quale pietra di paragone il dibattito di qualche anno fa sulle “radici
giudaico-cristiane” della “costituzione” europea e sull’opportunità di ivi dichiararlo
(risolta in senso negativo) la Costituzione ungherese è - al contrario - tutto
un richiamo alle radici storiche del popolo ungherese.
In secondo luogo
la prevalenza dell’esistenza comunitaria sulla normatività (consista sia in
norme che nella “tavola dei valori”), in un periodo che privilegia le norme –
mutevoli – e i valori (meno mobili), tale
riferimento alla comunità (che dura da più di mille anni) e quindi, una costante rispetto alle variabili: norme, valori e le stesse
forme di Stato e di governo (da monarchia feudale a duplice monarchia a
repubblica socialista). È quindi eterodossa se non eretica[11].
Il popolo nella
costituzione ungherese ha sicuramente una posizione centrale. Ma non più di quanto lo abbia in altre costituzioni
moderne, quella italiana compresa. In primo luogo perché il popolo è, nella
Costituzione del 2012, non preso nella sua accezione naturalistica, come in
alcune ideologie e concezioni a sfondo (anche) razziale, connotate dal fatto
che il popolo prescelto è per natura superiore (migliore, più dotato) di altri
e quindi destinato a dominare (in se rapporto
e concetto politico).
L’assenza di
qualsiasi riferimento naturalistico e il precetto sul rapporto collaborativo
alla “cultura e libertà degli altri popoli”, quello dell’adesione all’UE, la funzione
dell’esercito di protezione dell’indipendenza e dell’integrità territoriale oltre
allo svolgimento delle missioni di pace ed umanitarie, escludono esplicitamente
(o implicitamente) la volontà di aggressione e dominio. Se invece si fa
riferimento al “popolo” in senso culturale, indubbiamente, questo emerge con forza dalle disposizioni costituzionali:
ma non è nulla di diverso da come era concepito da teorici dello Stato moderno
e della democrazia politica: da Sieyès a Renan, da Mazzini a Gioberti (tra
tanti).
Se poi si va a
considerare il popolo come attore politico, se è sicuramente titolare del
potere costituente e della sovranità, non esercita però competenze diverse da
altre repubbliche parlamentari nel determinare
i poteri costituiti. A differenza degli USA il corpo elettorale non elegge
(gran parte) dei giudici e dei P.M.; a differenza degli USA e della Francia non
sceglie il Presidente della Repubblica, quindi non condiziona direttamente il
governo; elegge solo il Parlamento (e le autorità locali), come in Italia.
Quello che
sicuramente compete al popolo è la sovranità: quindi prima che il potere nello Stato, il potere sopra lo Stato, nel determinarne la
forma e il diritto per assicurare l’ordine[12].
Ma questa affermazione di sovranità popolare risulta quanto mai invisa, anche
se, nella forma di governo, configura soluzioni e istituti simili alle altre
costituzioni europee.
7. Ad Orban,
nell’attirarsi le “preoccupazioni” dell’UE deve aver contribuito quel suo
affermare ripetutamente di volere una democrazia “illiberale”. Indubbiamente se
si definisce il liberalismo in base a quanto si può leggere su (tanta) stampa,
e vedere nei talk-show ad audience
elevata, ossia come governance di un
mondo globalizzato, l’espressione di Orban corrisponde alla realtà: di fronte
ad un liberalismo depolicizzato e anche de-democratizzato, la sua posizione è
antitetica. Ma se, di converso, si va alla concezione del liberalismo
“classico”, come dottrina della limitazione del potere, della tutela delle
libertà politiche e civili, la conclusione è inversa. Anche se non si può dire,
crocianamente, che Orban è liberale e non lo sa, è comunque meno illiberale di
quanto pensi.
Come scrive
Schmitt lo Stato borghese (democratico-liberale) consiste nell’unione dei
principi di forma politica con quelli dello Stato borghese[13].
È l’effetto sinergico degli uni e
degli altri che ha causato il successo di tale “formula politica” negli ultimi
due secoli. Se si rinuncia o si depotenziano i primi in una visione
spoliticizzata e/o de-democratizzata che prescinde dal popolo, dalla sovranità
e dalle istituzioni democratiche, ciò che ne risulta non ha appeal politico (o ne ha poco). Se il
leader ungherese – come i populisti – pone l’accento più sul principio
democratico, i globalisti di converso lo annichiliscono in una melassa
privatistica, priva o carente del “pubblico”.
Il problema di come
possa reggersi un’istituzione politica
chiamata anche alla protezione giuridica dei diritti “dell’uomo e del
cittadino” se il ruolo pubblico è minimizzato è tema poco frequentato, perché
di soluzione quanto mai difficile.
Chi applica il
diritto garantendo l’ordine comunitario, a tal fine deve avere legittimità ed autorità
nella comunità, cioè un carattere “pubblico” e “politico”. Ma se non lo ha, o
ne ha una versione depotenziata da
altre potestates (neppure indirectae), il ruolo di protezione,
anche delle “obbligazioni-contratto” (Miglio), si riduce; vale pur sempre il
detto di Hegel che “Lo Stato la realtà della libertà concreta”. Senza Stato, politica
e ordine non c’è realtà e concretezza della libertà. Ossia quel che più
interessa di quella.
8. Si potrebbe
obiettare che i testi costituzionali sono spesso “cataloghi di Laparello”,
pieni di seduzioni verbali, destinate ad essere smentite o ridimensionate dalla
realtà dell’applicazione reale. Niente è più facilmente dimostrabile, specie ad
un italiano della decadenza della repubblica, dove parafrasando il giudizio di Tocqueville
sull’ancien règime, abbondano norme
commoventi e altisonanti, ma con una pratica applicativa fiacca[14].
Resta il fatto che, a meno di gravi, manifeste, reiterate e persistenti
contraddizioni dell’applicazione concreta rispetto all’enunciato astratto, si
deve prendere per buono quanto voluto dal costituente. A smentire il quale non
sono idonei i sussidiari degli studenti ungheresi e gli abusi dei vigili
urbani.
9. Piuttosto
l’elemento probabilmente più interessante e aperto al futuro (perché
consolidato dal passato) è la concezione organica
della democrazia che emerge dal documento costituzionale. La democrazia non è
solo né tanto una procedura, ma forma e modo dell’esistenza politica. Come
scrive Giovanni Sessa[15]
“Nel mondo classico il popolo-demos è
custode della cittadinanza, incarna la comunità politica … L’alternativa
possibile all’oligarchia finanziaria e transnazionale della governance, può davvero essere ravvisata
nel concetto greco di democrazia
organica, centrata sulla sovranità popolare e delle identità etno-culturali
…nelle diverse forme di democrazie moderne, la sovranità è dell’individuo o di
gruppi di potere … Il modello prevalente nella prassi politica contemporanea
allinea la direzione degli affari pubblici, alle modalità di gestione tipiche
degli affari privati. Il mercato, vero deus
ex machina del liberalismo, non può accordarsi con la democrazia in senso
classico, in quanto esige la soppressione del limite e della frontiera, mentre
la democrazia è ad essi consustanziale, la si può esercitare solo in seno ad
una politia”.
D’altra parte se
in una democrazia anche rappresentativa i poteri pubblici sono direttamente o
indirettamente dipendenti dal consenso del popolo, dall’altra, i poteri globali
hanno in comune la caratteristica di non
avere un popolo, e di essere poco o punto riferibili anche ai popoli delle
sintesi politiche in cui operano. E questo spiega ostilità ed avversione.
Teodoro
Klitsche de la Grange
[1] L’art. 39 prescriveva “Nella
Repubblica popolare di Ungheria tutti i giudici sono eletti; i giudici eletti
posso essere revocati”.
[2] Si legge nel preambolo “Il
glorioso esercito della grande Unione sovietica ha liberato il nostro paese dal
giogo dei fascisti tedeschi, infranto il dominio politico antidemocratico dei
proprietari terrieri e dei grandi capitalisti e schiuso al nostro popolo
lavoratore il cammino dell’evoluzione democratica. Giunta al potere in virtù
delle sue lotte accanite contro i padroni e i difensori dell’antico regime, la
classe operaia alleata ai contadini laboriosi ha ricostruito, con l’aiuto
disinteressato dell’Unione sovietica, il nostro paese devastato dalla guerra …
La Costituzione della Repubblica popolare di Ungheria, indicando il cammino
dell’evoluzione futura, è l’espressione dei cambiamenti fondamentali che hanno
avuto luogo nella struttura economica e sociale del nostro paese, del risultato
di queste lotte e di questo lavoro di ricostruzione”.
[3] V. anche il potere “concorrente”
del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 26 della Costituzione ungherese
abrogata.
[4] Un liberale o un democratico
italiano del Risorgimento non avrebbe pensato nulla di diverso, Per Mazzini o
Cavour pensare che i principi fondamentali dell’ordinamento fossero dettati da
Metternich, indipendentemente dal loro contenuto, sarebbe sembrato il prodotto
di un asservimento non solo materiale, ma anche – e soprattutto – spirituale,
se creduto.
[5] v. Principi di diritto costituzionale p. 64 ss. e per i diritti
fondamentali p. 264 ss.
[6] v. Verfassunslehre trad. it. di A. Caracciolo La dottrina della Costituzione Milano 1984, pp. 212-264.
[7] v. Stato di diritto in trasformazione Milano 1973, segnatamente p. 42.
[8] Si legge nel testo della
risoluzione “La Commissione di
Venezia ha valutato positivamente il fatto che la Legge fondamentale introduca
un ordinamento costituzionale fondato sui principi essenziali della democrazia,
dello Stato di diritto e della protezione dei diritti fondamentali … Le
critiche riguardavano la mancanza di trasparenza del processo, l'insufficiente
coinvolgimento della società civile, la mancanza di una vera consultazione, la
messa in pericolo della separazione dei poteri e l'indebolimento del sistema
nazionale di bilanciamento dei poteri” anche se si da atto della correttezza
delle operazioni elettorali.
[9] “Le competenze della Corte costituzionale ungherese sono state
limitate a seguito di una riforma costituzionale, anche per quanto riguarda le
questioni di bilancio, l'abolizione dell'actio popularis, la possibilità per la
Corte di fare riferimento alla propria giurisprudenza anteriore al 1º gennaio
2012 e la limitazione della facoltà della Corte di controllare la
costituzionalità di eventuali modifiche della Legge fondamentale, eccetto
quelle di carattere esclusivamente procedurale” (v. testo) e si esprime
preoccupazione anche per la procedura di nomina dei giudici.
[10] Si legge che è avvertita “la necessità di rafforzare il ruolo
dell'organo collettivo, il Consiglio nazionale della magistratura (NJC), in
quanto organo di vigilanza, dato che il presidente dell'NJO, essendo eletto dal
parlamento ungherese, non può essere considerato un organo di autogoverno
giudiziario. A seguito delle raccomandazioni internazionali, lo status del
presidente dell'NJO è stato modificato limitandone le competenze, al fine di
garantire un migliore equilibrio tra il presidente e l'NJC” sul pensionamento
dei giudici e il reintegro nelle funzioni; sul trattamento dei magistrati dlla
Procura.
[11] Non era così nella fase ascendente
dello Stato borghese moderno. Sieyès scriveva che “La nazione è tutto ciò che è
in grado di essere per il solo fatto di esistere…Alla volontà nazionale basta
invece soltanto la propria realtà per essere sempre legittima. Essa è la fonte
di ogni legalità”. È evidente nel pensiero dell’abate il perdurare della
comunità nazionale rispetto a norme, costumi, forme politiche come il suo
essere loro superiore, potendoli cambiare, conservando tuttavia la propria
identità: in suo esse perseverari,
applicando il conatus di Spinoza.
[12]
V. tra i tanti, Max von Seydel.
[13]
V. anche sul punto, più estesamente
di recente, il mio lavoro Democrazie
illiberali? V. Civium libertas,
14-12-2018.
[14]
V. sul punto mi si consenta di rinviare a quanto da me scritto in Democrazie illiberali? citato e Themi e dike nel tramonto della Repubblica,
in Italia e il mondo – luglio 2018. Testimoniate da tante condanne dei
Tribunali Internazionali alla Repubblica Italiana.
[15]
V. Saggio introduttivo a L. Rougier La
fine della democrazia?, trad. it. Oaks editore 2018, n. 53.
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