sabato 5 gennaio 2019

Teodoro Klitsche de la Grange: «Stato ungherese e stato di diritto».


COSTITUZIONE UNGHERESE E STATO DI DIRITTO

La costituzione già vigente in Ungheria, prima dell’attuale (ossia quella adottata nel 1949 ampiamente modificata dopo il crollo del regime comunista) grazie anche agli interventi della Corte costituzionale, era stata adattata alla nuova situazione politica.
Dal 2012 è entrata in vigore la nuova Costituzione. Il testo è suddiviso in tre parti, con numerazione diversa: gli articoli della prima parte sui “principi fondamentali” sono segnati da una lettera (da A a T); la seconda parte sui diritti e doveri (intitolata Libertà e responsabilità) porta numeri romani (da I a XXXI); e, infine, la terza parte sull’organizzazione dello stato ha numeri arabi (da 1 a 54).
La Costituzione del 2012 nel preambolo fa esplicito riferimento al cristianesimo, e recita: “Riconosciamo il ruolo del cristianesimo nella preservazione della nazione. Rispettiamo le diverse tradizioni religiose presenti nel nostro paese”; è garantita la protezione del feto (art. II). Un altro articolo definisce il matrimonio come unione tra uomo e donna e dispone la protezione della famiglia come “la base per la sopravvivenza della nazione”. La “fonte del potere pubblico è il popolo” dispone l’art. B.
L’art. C (I° comma) dispone che “il funzionamento dello Stato ungherese si fonda sul principio della separazione dei poteri”.
Sempre l’art. C (II° e III° comma) fonda il monopolio della violenza legittima dello Stato, che appare completato dal diritto ed obbligo (per tutti) di intervenire in modo legittimo, contro simili pretese (di conquistare o esercitare il potere con la violenza) che pare fondante un diritto di resistenza “minore”.
Il controllo di costituzionalità è sia preventivo che successivo (al contrario di quello italiano che è solo successivo); dato che precedentemente era possibile l’azione popolare, il ricorso (diretto) individuale è attribuito (così restringendolo) ai soli soggetti lesi dall’atto impugnato (v. art. 24).
I giudici e i magistrati della Procura “sono indipendenti”; non possono essere iscritti a partiti, né svolgere attività politica. Si noti che i Presidenti della Corte Costituzionale, della Corte Suprema d’Appello e il Procuratore generale sono eletti dall’Assemblea nazionale. Tale soluzione era quella già prescritta nella Costituzione del 1949, tipica degli Stati del socialismo reale, anche se, in quelli, estesa a tutti i giudici, peraltro revocabili (e quindi non inamovibili)[1]. La regolazione delle garanzie istituzionali dello status e della retribuzione dei magistrati è demandata ad una “legge organica”.
L’art. L dispone che “L’Ungheria tutela l’istituto del matrimonio quale unione volontaria di vita tra l’uomo e la donna, nonché la famiglia come base della sopravvivenza della Nazione. L’Ungheria sostiene l’impegno ad avere figli”.
L’art. O dispone che “Ognuno è responsabile di se stesso ed è tenuto a concorrere all’espletamento delle funzioni statali e comunitarie secondo le proprie competenze e possibilità”.
L’art. R al comma I° dispone che la Legge fondamentale (cioè la Costituzione) è “la base dell’ordinamento giuridico dell’Ungheria”. Al comma III che “le norme della Legge Fondamentale vanno interpretate in armonia con il loro fine, con la Professione Nazionale ivi compresa, e con le conquiste della nostra costituzione storica”.
L’art. S prescrive le norme per le modifiche costituzionali che ne richiedono l’approvazione con maggioranza qualificata “dei due terzi dei deputati dell’Assemblea Nazionale” (è così una Costituzione rigida). L’art. T (comma IV°) prescrive poi che “le leggi organiche sono approvate con la maggioranza dei due terzi dei deputati presenti” (tali leggi sono prescritte dalla costituzione in materia di particolare rilievo, indicate dalla stessa legge fondamentale).
L’art. I dispone “I diritti inviolabili ed inalienabili dell’uomo vanno rispettati. È obbligo primario dello Stato la protezione di essi”, il III comma prescrive “Le norme che riguardano i diritti e i doveri fondamentali sono stabilite dalla legge. Un diritto fondamentale può essere limitato, nella misura strettamente necessaria, allo scopo di far valere un altro diritto fondamentale o di difendere dei valori costituzionali, in modo proporzionato al fine intenzionato e nel rispetto dei contenuti essenziali del medesimo diritto fondamentale”. Tale ultimo precetto ricorda, per la garanzia del contenuto, l’art. 19 (II° comma) della Grundgesetz tedesca.
Gli articoli dal II al XXX proteggono i diritti di libertà e proprietà garantiti in ogni Stato borghese, con particolare attenzione alla famiglia e ai minori (articoli XVI e XVIII). L’art. XXXI prevede, tra l’altro obblighi e limiti dello Stato d’eccezione, che sono destinati a essere disciplinati dettagliatamente dagli artt. 48-54.
Quanto all’organizzazione dello Stato, l’art. 15 prescrive il principio di legalità per gli atti del Governo, l’art. 21 la sfiducia al Primo Ministro eletto dall’Assemblea Nazionale (con indicazione del sostituto “suggerito” il che ne fa una “sfiducia costruttiva”).
L’art. 30 istituisce il Commissario dei diritti fondamentali che “svolge l’attività di protezione dei diritti fondamentali. Chiunque può richiedere il suo intervento. Il Commissario dei Diritti Fondamentali esamina e fa esaminare gli abusi relativi ai diritti fondamentali dei quali è stato informato, e per risolverli intraprende provvedimenti speciali o generali”; è eletto (con i sostituti dello stesso) dall’Assemblea nazionale, e non può essere (come i sostituti) membro di partiti né svolgere attività politica. Altre norme disciplinano i “governi locali” (artt. 31-35); la finanza pubblica (artt. 36-44); la forza pubblica e le operazioni militari (artt. 45-47).
2. Com’è noto si è dubitato da parte di organi dell’Unione Europea che, non tanto la Costituzione, ma soprattutto alcune leggi approvate successivamente dall’Assemblea Nazionale, siano lesive dello Stato di diritto.
Occorre previamente fare un breve cenno alla precedente Costituzione dell’Ungheria (del 1949 – in pieno stalinismo) per notare le (enormi) differenze con quella del 2012.
La Costituzione “stalinista” inizia con un entusiastico plauso alla sconfitta e all’occupazione militare dell’Ungheria da parte dell’URSS[2]; prosegue col disporre (art. 4) “Nella Repubblica popolare di Ungheria la massima parte dei più importanti mezzi di produzione è proprietà dello Stato, delle organizzazioni pubbliche o delle cooperative. Mezzi di produzione possono trovarsi anche in mani private” (il corsivo è mio) l’art. 5 dispone la pianificazione; l’art. 6 la “proprietà del popolo” di (quasi tutto); l’art. 9 il diritto (e il dovere) al lavoro.
Il praesidium dell’Assemblea nazionale, come in altre costituzioni degli Stati del “socialismo reale” faceva un po’ di tutto, dalla rappresentanza (internazionale), alla normativa d’urgenza, all’annullamento degli atti degli organi statali per illegittimità (o perché contrastanti con “gli interessi dei lavoratori”)[3].
I giudici erano elettivi (art. 39), come il Procuratore generale. Gli artt. 45-58 tutelavano i diritti dei cittadini e dei lavoratori; gli artt. 59-61 i doveri dei cittadini. Poi l’art. 66 poneva sotto riserva di legge “l’elezione e la revoca” dei deputati.
Si capisce che, data la storia dell’Ungheria nel secondo dopo-guerra e la dura resistenza del popolo all’occupazione sovietica, il costituente del 2012 abbia proclamato nella “Professione nazionale” (cioè il “preambolo”) che “Onoriamo le conquiste della nostra costituzione storica e la Sacra Corona, la quale incarna dell’Ungheria la continuità costituzionale dello Stato e l’unità della nazione. Non riconosciamo la sospensione della nostra costituzione storica avvenuta sotto occupazione straniera. Neghiamo la prescrizione dei crimini disumani commessi contro la nazione ungherese ed i suoi cittadini durante le dittature nazionalsocialista e comunista.  Non riconosciamo la Costituzione comunista dell’anno 1949, perché fondamento di tirannia e ne dichiariamo perciò l’invalidità (il corsivo è mio). Concordiamo con i deputati della prima Assemblea Nazionale libera, i quali, con la loro prima delibera, dichiararono che la nostra odierna libertà germogliò dalla nostra rivoluzione del 1956. La ricostituzione dell’autodeterminazione statale della nostra Patria, persa il diciannove marzo 1944, la consideriamo avvenuta il 2 maggio 1990, data dell’inaugurazione della prima rappresentanza nazionale a seguito di elezioni libere. Riteniamo tale data l’inizio della nuova democrazia e del nuovo ordinamento costituzionale della nostra patria”.
Anche se l’ “invalidità” può creare dei problemi di carattere giuridico, allorquando si cerchi di assicurare una continuità giuridico-normativa a cambiamenti della forma di Stato e del regime politico, è comprensibile politicamente che un popolo, così geloso della propria indipendenza, abbia voluto rimarcare la (radicale) discontinuità della nuova Costituzione rispetto al regime di “occupazione straniera”, che è la sostanza di quanto capitato all’Ungheria nel XX secolo. Se il tutto può apparire “politicamente scorretto” è altrettanto storicamente esatto.
In sostanza la “Professione nazionale” afferma sul punto due principi: che la libertà politica è, in primo luogo, quella del popolo di determinare autonomamente la forma della sua esistenza, politica in primo luogo; e che se la volontà del popolo è coartata il prodotto di tale coercizione - coerentemente al principio democratico – non è riferibile al popolo e alla sua volizione, ma all’occupante straniero[4]; onde è invalido.
L’art. B della Carta ungherese proclama che “l’Ungheria è uno stato di diritto, indipendente e democratico” (il corsivo è mio); al comma III che la “fonte del potere pubblico è il popolo”.
Ciò stante occorre vedere se le disposizioni e il preambolo della Costituzione ungherese sono riconducibili al “tipo ideale” dello Stato borghese di diritto.
I principi dello Stato borghese di diritto sono enunciati nell’art. 16 della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del Cittadino del 1789: “Toute Sociétè dans laquelle la garantie des Droits m’est pas assurée, ni la séparation des Pouvoirs déterminée, n’a point de Constitution” (il corsivo è mio). Di tale asserzione “non avere una costituzione “è un errore evidente, perché ogni Stato per il solo fatto di esistere è una Costituzione (Santi Romano); ma è sicuramente esatto che, distinzione dei poteri e garanzia dei diritti fondamentali sono le “cartine di tornasole” che distinguono lo Stato di diritto da quello che non lo è.
Su ciò la migliore dottrina concorda. A citare soltanto maestri del diritto pubblico come Vittorio Emanuela Orlando, il quale individuava tra le caratteristiche del “governo rappresentativo” (cioè lo Stato borghese di diritto) la distinzione dei poteri e la tutela giuridica[5]; lo stesso sosteneva Carl Schmitt [6] e, attualizzandolo alla “Stato sociale” Ernst Forsthoff[7].
Applicando tal criterio distintivo è sicuro che la Costituzione dell’Ungheria è quella di uno Stato di diritto: la separazione dei poteri c’è, la tutela dei diritti fondamentali pure. Anche attraverso autorità che in Italia non abbiamo come il “Commissario dei diritti fondamentali”. Se qualcuno può rilevare che la nomina dei magistrati apicali è demandata al potere politico, si può replicare che il tutto risulta anche da altre Costituzioni, come quella USA (la Corte Suprema di nomina presidenziale); peraltro in USA la gran parte dei giudici sono di nomina o elezione da parte di insiemi politici, e nessuno ha, che risulti, dubitato che la Costituzione degli Stati Uniti non fosse riconducibile ad uno Stato di diritto.
Le costituzioni moderne riconducibili allo Stato di diritto hanno diverse forme di governo (presidenziale, parlamentare, del “primo ministro”, federale, e cosi via) ma nessuno – che mi risulti – ha revocato in dubbio che ad esempio, la Costituzione francese (della III e IV Repubblica), parlamentare e centralizzata non fosse di democrazia liberale perché quella degli USA è presidenziale e federale, o viceversa.
4. Il Parlamento europeo, nel settembre 2018 ha approvato una risoluzione “sull’evidente rischio di violazione grave da parte dell’Ungheria dei valori su cui si fonda l’Unione” (tra cui, v. testo, “il rispetto della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti umani”). Sulla stampa il tutto è stato riassunto, per lo più, come “violazione dello Stato di diritto”. L’elencazione, nel testo della risoluzione (e dell’allegato), delle “preoccupazioni” del Parlamento, ne indica dodici, dal funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale ai diritti economici e sociali.
Quanto a quelle “preoccupazioni” che riguardano lo Stato di diritto, le più importanti sono quelle costituzionali in relazione alle insufficienze del dibattito nella fase costituente[8]; e alla limitazione dei poteri e dell’accesso alla Corte costituzionale[9].
Seguono preoccupazioni sulle garanzie istituzionali dei giudici e di altre autorità, con particolare riguardo al ruolo del Presidente del consiglio nazionale della magistratura ungherese rispetto all’organo collegiale[10].
Quanto alla “libertà di espressione” sono censurati (tra l’altro) le nomine “che disciplinano l’elezione dei membri del Consiglio dei media”. Seguono preoccupazioni su alcuni diritti generalmente riconosciuti (libertà di associazione, diritto delle minoranze, libertà religiose).
Tra i fatti suscitanti preoccupazione c’è che la polizia locale di un villaggio infliggeva multe “per infrazioni stradali minori” soltanto ai rom. Quanto ai migranti, ai rifugiati e ai richiedenti asilo il documento in esame sottolinea situazioni di privazione arbitraria della libertà, maltrattamenti e “periodi di detenzione lunghi e indefiniti” nelle zone di transito dove sono trasferiti  i richiedenti asilo.
Nel complesso un insieme di contestazioni che, nella stragrande maggioranza possono ricondursi a tre classi distinte.
La prima in cui si possono riscontrare mende analoghe a quelle accertate per l’Ungheria nei confronti di altri paesi dell’Unione, ma che non hanno dato occasione all’UE di attivare procedure d’infrazione per violazione dei principi nello Stato di diritto. Così, se la polizia ungherese tratta duramente i migranti, quella italiana è stata condannata dalla Corte EDU per i fatti di Genova (della caserma Diaz) per violazioni compiute nei confronti di cittadini italiani (soprattutto) e stranieri, non meno gravi. Ma nessuno che ci risulti ha attivato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, e non è dato intendere le ragioni di tale discrezionalità.
L’altra classe è di “infrazioni” relative ad istituti che sono tranquillamente applicati da altri Stati membri dell’UE.
Così quella sull’actio popularis  alla Corte Costituzionale ungherese, dato che, sempre a far paragoni con l’Italia, nel nostro ordinamento l’actio popularis non c’è. Né quanto al “funzionamento del sistema elettorale” risulta che la UE abbia trovato alcunchè da ridire sul fatto che, avendo la Corte Costituzionale italiana, dichiarato incostituzionale la legge elettorale in base alla quale era stato eletto il Parlamento nella legislatura 2013-2018, il Parlamento stesso, e tutti gli atti dello stesso, (elezione del Presidente della Repubblica e fiducia al Governo compresi) erano invalidi per invalidità derivata.
Alla terza classe appartengono mende di rilievo assai modesto e non incidenti sui principi dello Stato di diritto: così il contenuto dei sussidiari degli scolari ungheresi o l’atteggiamento nei confronti delle unioni tra persone dello stesso sesso. Lo Stato di diritto era la risposta della borghesia rivoluzionaria allo Stato di polizia monarchico, onde sono a quello riconducibili limiti e discipline relative alla modellazione e all’esercizio dei poteri pubblici. Nei casi citati sopra si tratta di rapporti tra privati, che possono essere riconosciuti o no da uno Stato sia di diritto che di altro tipo e forma.
Pertanto atteso che non molto del contestato all’Ungheria mette in forse lo Stato di diritto e che per questo paese si esprimono preoccupazioni che sono taciute per altri, occorre vedere in cosa (e perché) la Costituzione e le leggi ungheresi sono così invise agli organi dell’UE; tenuto conto che le violazioni contestate dei principi dello Stato borghese di diritto non sono tali, o comunque non sono più preoccupanti di quanto capita in altri Stati dell’Unione.
5. Il proprium (l’ “originalità”) della Costituzione ungherese è non nello scostamento dallo Stato di diritto, ma nell’abbondanza di asserzioni – più che di norme – le quali contraddicono alcuni degli idola condivisi a partire dal secondo dopoguerra del XX secolo, in Europa e nel mondo occidentale – o almeno in parte di questo.
La “professione nazionale” ungherese nelle prime affermazioni (siamo orgogliosi…) è una sintesi delle radici etno-culturali e della storia ungherese: in primo luogo l’esistenza della nazione dal momento della “costituzione” da parte di Santo Stefano; il ruolo della religione cristiana nella “preservazione della nazione”; la difesa del fianco sud-orientale dell’Europa (intesa in senso carolingio, cioè la comunità dei popoli formata dal cristianesimo occidentale).
Passa poi a una serie di dichiarazioni (dichiariamo….) di valori a cominciare dalla dignità umana, la libertà la quale “può svilupparsi solo nella collaborazione con gli altri, nel valore dato alla famiglia e alla nazione, quali “quadro principale della nostra convivenza…; l’obbligo di assistenza; da notare l’affermazione con cui si chiude questa parte della “professione nazionale” “Dichiariamo che la sovranità del popolo esiste solo là dove lo Stato è al servizio dei suoi cittadini, e gestisce i loro affari con equità, senza soprusi né parzialità” (i corsivi sono miei) che sembra indirizzata contro l’uso predatorio, improprio e mistificante del potere (e del lessico) politico. Dopo la parte sopra ricordata si può leggere questa asserzione, sorprendente per un documento costituzionale “Dichiariamo che, in seguito a decenni del XX secolo che hanno portato ad una decadenza morale abbiamo inevitabilmente bisogno di un rinnovamento spirituale e intellettuale” e, subito dopo, la “Legge Fondamentale è la base del nostro ordinamento giuridico: un patto tra gli ungheresi del passato, del presente e del futuro, Un quadro vivo che esprime la volontà della nazione, la forma secondo la quale vorremmo vivere” (i corsivi sono miei). Volontà e forma: due termini posti in assoluto risalto e che, in altri documenti costituzionali sono usati, se lo sono, in modo non “fondativo” ossia come direttive di “organizzazione” del mondo d’esistenza nazionale. La protezione – elemento essenziale dell’obbligazione politica - è prescritta dall’art. G: “l’Ungheria tutela i suoi cittadini” (v. anche l’art. I, sopra riportato). Per i cittadini – si noti – è più generica – e quindi più estesa – che per i “diritti umani” (art. I), spettanti anche ai non-cittadini.
Nel complesso il testo della Costituzione ungherese vigente risulta valorizzare elementi che non risultano presenti – o lo sono in misura assai minore – in altre costituzioni contemporanee. Li si esamina (con l’opposto) per coppie di opposizioni.
Esistente/normativo.
Se il primo era normale in una concezione costituzionale pre o anti moderna (da Aristotele a de Bonald), è stato progressivamente eliminato o ridotto successivamente (nei testi, s’intende, non nella realtà). Nella costituzione dell’Ungheria  la comunità nazionale è il termine a quo e quello ad quem della Costituzione, che serve all’esistenza ordinata della stessa. L’istituzione politica (lo Stato) è al servizio di quella e provvede a tutelarla. La comunità non è un aggregato d’individui consenzienti, ma è un soggetto della Storia, da questa modellata in oltre un millennio di esistenza. Ha un futuro perché ha un passato – ed è consapevole di ciò. Preamboli di altre Costituzioni si sono incaricati d’indicare i principi dell’ordinamento, altri ancora sono espressione di volontà politica (nel momento costituente); ma – che ci risulti – nessuno ha un così ampio riferimento alla “durata” storica della comunità nazionale: con la conseguenza che è questa – esistente e reale da mille anni – a darsi una forma politica. Sempre a ricordare i “preamboli” o le “dichiarazioni”, quelle dei paesi del socialismo reale, prendevano le mosse dalla Rivoluzione d’ottobre (URSS) o dall’esito della seconda guerra mondiale e delle lotte di liberazione (DDR, Jugoslavia, Cina, Polonia, Romania; Albania e Cecoslovacchia erano parzialmente differenti) per procedere all’edificazione di una società socialista. Tanto futuro e poco o punto passato; in genere quanto sufficiente a giustificare il cammino intrapreso per il futuro. Tenuto conto che, in una prospettiva marxista lo Stato era destinato ad estinguersi (e tale esito considerato positivo per la libertà umana) è chiaro che il passato era irrilevante ed il futuro decisivo.
È inutile aggiungere che non solo l’accento posto sull’esistente rispetto al normativo e del passato rispetto al futuro esaurisce l’eterodossia della costituzione ungherese, caratterizzata da una visione comunitaria – al contrario di altre che possono apparire accordi di associazione tra apolidi; nonchè di un approccio superindividuale in equilibrio con quello individualistico.
6. In questo la Costituzione ungherese, è originale non solo rispetto ad altri documenti costituzionali ma anche rispetto ai referenti ideali – o almeno a molti di questi che sono generalmente condivisi dalle cosiddette èlite.
In primo luogo, a prendere quale pietra di paragone il dibattito di qualche anno fa sulle “radici giudaico-cristiane” della “costituzione” europea e sull’opportunità di ivi dichiararlo (risolta in senso negativo) la Costituzione ungherese è - al contrario - tutto un richiamo alle radici storiche del popolo ungherese.
In secondo luogo la prevalenza dell’esistenza comunitaria sulla normatività (consista sia in norme che nella “tavola dei valori”), in un periodo che privilegia le norme – mutevoli – e i valori (meno mobili), tale riferimento alla comunità (che dura da più di mille anni) e quindi, una costante rispetto alle variabili: norme, valori e le stesse forme di Stato e di governo (da monarchia feudale a duplice monarchia a repubblica socialista). È quindi eterodossa se non eretica[11].
Il popolo nella costituzione ungherese ha sicuramente una posizione centrale. Ma non più di quanto lo abbia in altre costituzioni moderne, quella italiana compresa. In primo luogo perché il popolo è, nella Costituzione del 2012, non preso nella sua accezione naturalistica, come in alcune ideologie e concezioni a sfondo (anche) razziale, connotate dal fatto che il popolo prescelto è per natura superiore (migliore, più dotato) di altri e quindi destinato a dominare (in se rapporto e concetto politico).
L’assenza di qualsiasi riferimento naturalistico e il precetto sul rapporto collaborativo alla “cultura e libertà degli altri popoli”, quello dell’adesione all’UE, la funzione dell’esercito di protezione dell’indipendenza e dell’integrità territoriale oltre allo svolgimento delle missioni di pace ed umanitarie, escludono esplicitamente (o implicitamente) la volontà di aggressione e dominio. Se invece si fa riferimento al “popolo” in senso culturale, indubbiamente, questo emerge con forza dalle disposizioni costituzionali: ma non è nulla di diverso da come era concepito da teorici dello Stato moderno e della democrazia politica: da Sieyès a Renan, da Mazzini a Gioberti (tra tanti).
Se poi si va a considerare il popolo come attore politico, se è sicuramente titolare del potere costituente e della sovranità, non esercita però competenze diverse da altre repubbliche parlamentari nel determinare i poteri costituiti. A differenza degli USA il corpo elettorale non elegge (gran parte) dei giudici e dei P.M.; a differenza degli USA e della Francia non sceglie il Presidente della Repubblica, quindi non condiziona direttamente il governo; elegge solo il Parlamento (e le autorità locali), come in Italia.
Quello che sicuramente compete al popolo è la sovranità: quindi prima che il potere nello Stato, il potere sopra lo Stato, nel determinarne la forma e il diritto per assicurare l’ordine[12]. Ma questa affermazione di sovranità popolare risulta quanto mai invisa, anche se, nella forma di governo, configura soluzioni e istituti simili alle altre costituzioni europee.
7. Ad Orban, nell’attirarsi le “preoccupazioni” dell’UE deve aver contribuito quel suo affermare ripetutamente di volere una democrazia “illiberale”. Indubbiamente se si definisce il liberalismo in base a quanto si può leggere su (tanta) stampa, e vedere nei talk-show ad audience elevata, ossia come governance di un mondo globalizzato, l’espressione di Orban corrisponde alla realtà: di fronte ad un liberalismo depolicizzato e anche de-democratizzato, la sua posizione è antitetica. Ma se, di converso, si va alla concezione del liberalismo “classico”, come dottrina della limitazione del potere, della tutela delle libertà politiche e civili, la conclusione è inversa. Anche se non si può dire, crocianamente, che Orban è liberale e non lo sa, è comunque meno illiberale di quanto pensi.
Come scrive Schmitt lo Stato borghese (democratico-liberale) consiste nell’unione dei principi di forma politica con quelli dello Stato borghese[13]. È l’effetto sinergico degli uni e degli altri che ha causato il successo di tale “formula politica” negli ultimi due secoli. Se si rinuncia o si depotenziano i primi in una visione spoliticizzata e/o de-democratizzata che prescinde dal popolo, dalla sovranità e dalle istituzioni democratiche, ciò che ne risulta non ha appeal politico (o ne ha poco). Se il leader ungherese – come i populisti – pone l’accento più sul principio democratico, i globalisti di converso lo annichiliscono in una melassa privatistica, priva o carente del “pubblico”.
Il problema di come possa reggersi un’istituzione politica chiamata anche alla protezione giuridica dei diritti “dell’uomo e del cittadino” se il ruolo pubblico è minimizzato è tema poco frequentato, perché di soluzione quanto mai difficile.
Chi applica il diritto garantendo l’ordine comunitario,  a tal fine deve avere legittimità ed autorità nella comunità, cioè un carattere “pubblico” e “politico”. Ma se non lo ha, o ne ha una versione depotenziata da altre potestates (neppure indirectae), il ruolo di protezione, anche delle “obbligazioni-contratto” (Miglio), si riduce; vale pur sempre il detto di Hegel che “Lo Stato la realtà della libertà concreta”. Senza Stato, politica e ordine non c’è realtà e concretezza della libertà. Ossia quel che più interessa di quella.
8. Si potrebbe obiettare che i testi costituzionali sono spesso “cataloghi di Laparello”, pieni di seduzioni verbali, destinate ad essere smentite o ridimensionate dalla realtà dell’applicazione reale. Niente è più facilmente dimostrabile, specie ad un italiano della decadenza della repubblica, dove parafrasando il giudizio di Tocqueville sull’ancien règime, abbondano norme commoventi e altisonanti, ma con una pratica applicativa fiacca[14]. Resta il fatto che, a meno di gravi, manifeste, reiterate e persistenti contraddizioni dell’applicazione concreta rispetto all’enunciato astratto, si deve prendere per buono quanto voluto dal costituente. A smentire il quale non sono idonei i sussidiari degli studenti ungheresi e gli abusi dei vigili urbani.
9. Piuttosto l’elemento probabilmente più interessante e aperto al futuro (perché consolidato dal passato) è la concezione organica della democrazia che emerge dal documento costituzionale. La democrazia non è solo né tanto una procedura, ma forma e modo dell’esistenza politica. Come scrive Giovanni Sessa[15] “Nel mondo classico il popolo-demos è custode della cittadinanza, incarna la comunità politica … L’alternativa possibile all’oligarchia finanziaria e transnazionale della governance, può davvero essere ravvisata nel concetto greco di democrazia organica, centrata sulla sovranità popolare e delle identità etno-culturali …nelle diverse forme di democrazie moderne, la sovranità è dell’individuo o di gruppi di potere … Il modello prevalente nella prassi politica contemporanea allinea la direzione degli affari pubblici, alle modalità di gestione tipiche degli affari privati. Il mercato, vero deus ex machina del liberalismo, non può accordarsi con la democrazia in senso classico, in quanto esige la soppressione del limite e della frontiera, mentre la democrazia è ad essi consustanziale, la si può esercitare solo in seno ad una politia”.
D’altra parte se in una democrazia anche rappresentativa i poteri pubblici sono direttamente o indirettamente dipendenti dal consenso del popolo, dall’altra, i poteri globali hanno in comune la caratteristica di non avere un popolo, e di essere poco o punto riferibili anche ai popoli delle sintesi politiche in cui operano. E questo spiega ostilità ed avversione.
Teodoro Klitsche de la Grange


[1] L’art. 39 prescriveva “Nella Repubblica popolare di Ungheria tutti i giudici sono eletti; i giudici eletti posso essere revocati”.
[2] Si legge nel preambolo “Il glorioso esercito della grande Unione sovietica ha liberato il nostro paese dal giogo dei fascisti tedeschi, infranto il dominio politico antidemocratico dei proprietari terrieri e dei grandi capitalisti e schiuso al nostro popolo lavoratore il cammino dell’evoluzione democratica. Giunta al potere in virtù delle sue lotte accanite contro i padroni e i difensori dell’antico regime, la classe operaia alleata ai contadini laboriosi ha ricostruito, con l’aiuto disinteressato dell’Unione sovietica, il nostro paese devastato dalla guerra … La Costituzione della Repubblica popolare di Ungheria, indicando il cammino dell’evoluzione futura, è l’espressione dei cambiamenti fondamentali che hanno avuto luogo nella struttura economica e sociale del nostro paese, del risultato di queste lotte e di questo lavoro di ricostruzione”.
[3] V. anche il potere “concorrente” del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 26 della Costituzione ungherese abrogata.
[4] Un liberale o un democratico italiano del Risorgimento non avrebbe pensato nulla di diverso, Per Mazzini o Cavour pensare che i principi fondamentali dell’ordinamento fossero dettati da Metternich, indipendentemente dal loro contenuto, sarebbe sembrato il prodotto di un asservimento non solo materiale, ma anche – e soprattutto – spirituale, se creduto.
[5] v. Principi di diritto costituzionale p. 64 ss. e per i diritti fondamentali p. 264 ss.
[6] v. Verfassunslehre trad. it. di A. Caracciolo La dottrina della Costituzione Milano 1984, pp. 212-264.
[7] v. Stato di diritto in trasformazione Milano 1973, segnatamente p. 42.
[8] Si legge nel testo della risoluzione “La Commissione di Venezia ha valutato positivamente il fatto che la Legge fondamentale introduca un ordinamento costituzionale fondato sui principi essenziali della democrazia, dello Stato di diritto e della protezione dei diritti fondamentali … Le critiche riguardavano la mancanza di trasparenza del processo, l'insufficiente coinvolgimento della società civile, la mancanza di una vera consultazione, la messa in pericolo della separazione dei poteri e l'indebolimento del sistema nazionale di bilanciamento dei poteri” anche se si da atto della correttezza delle operazioni elettorali.
[9]Le competenze della Corte costituzionale ungherese sono state limitate a seguito di una riforma costituzionale, anche per quanto riguarda le questioni di bilancio, l'abolizione dell'actio popularis, la possibilità per la Corte di fare riferimento alla propria giurisprudenza anteriore al 1º gennaio 2012 e la limitazione della facoltà della Corte di controllare la costituzionalità di eventuali modifiche della Legge fondamentale, eccetto quelle di carattere esclusivamente procedurale” (v. testo) e si esprime preoccupazione anche per la procedura di nomina dei giudici.
[10] Si legge che è avvertita “la necessità di rafforzare il ruolo dell'organo collettivo, il Consiglio nazionale della magistratura (NJC), in quanto organo di vigilanza, dato che il presidente dell'NJO, essendo eletto dal parlamento ungherese, non può essere considerato un organo di autogoverno giudiziario. A seguito delle raccomandazioni internazionali, lo status del presidente dell'NJO è stato modificato limitandone le competenze, al fine di garantire un migliore equilibrio tra il presidente e l'NJC” sul pensionamento dei giudici e il reintegro nelle funzioni; sul trattamento dei magistrati dlla Procura.
[11] Non era così nella fase ascendente dello Stato borghese moderno. Sieyès scriveva che “La nazione è tutto ciò che è in grado di essere per il solo fatto di esistere…Alla volontà nazionale basta invece soltanto la propria realtà per essere sempre legittima. Essa è la fonte di ogni legalità”. È evidente nel pensiero dell’abate il perdurare della comunità nazionale rispetto a norme, costumi, forme politiche come il suo essere loro superiore, potendoli cambiare, conservando tuttavia la propria identità: in suo esse perseverari, applicando il conatus di Spinoza.
[12] V. tra i tanti, Max von Seydel.
[13] V. anche sul punto, più estesamente di recente, il mio lavoro Democrazie illiberali? V. Civium libertas, 14-12-2018.
[14] V. sul punto mi si consenta di rinviare a quanto da me scritto in Democrazie illiberali? citato e Themi e dike nel tramonto della Repubblica, in Italia e il mondo – luglio 2018. Testimoniate da tante condanne dei Tribunali Internazionali alla Repubblica Italiana.
[15] V. Saggio introduttivo a L. Rougier La fine della democrazia?, trad. it. Oaks editore 2018, n. 53.

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