mercoledì 2 giugno 2010

Verso Gaza 6: Riflessioni etico-politiche sulla strage israeliana a bordo della nave civile turca Marmara.

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Ho trascorso tutta la giornata di ieri a rincorrere le notizie sulle sorti delle persone, dette giornalisticamente “attivisti filopalestinesi”, che animate da impulsi etici e morali hanno messo a repentaglio la propria vita per soccorrere altre persone, cioè esseri umani, che in numero di circa un milione e mezzo vivono dal 2007 sotto stretto assedio da parte di antichi coloni e immigrati, clandestini e non graditi, che dopo avere scacciato dai loro villaggi e dalle loro case i padri degli assediati estendono ora ai figli le vessazioni della “pulizia etnica” del 1948, equiparata al “genocidio” dalla più recente normativa internazionale originata dagli eventi della ex-iugoslavia: si vedano al riguardo le pagine dell’ebreo israeliano Ilan Pappe, costretto a fuggire da Israele a seguito di minacce in conseguenza delle sue note tesi.

Avverto subito che in queste mie libere righe non vi è nessuna pretesa di aver ragione, di voler convincere qualcuno. Non mi sognerei neppure di rivolgermi ai parà che con una fune si sono calati sulla nave turca, lasciando per terre non meno di dieci morti ed un numero imprecisato di feriti, secondo le stessi dichiarazioni israeliane ordinariamente mendaci. Neppure penso lontamente di rivolgermi al direttore de il Giornale, che in un titolo inequivoco, ha plaudito all’assassinio di stato. Costoro appartengono ad un universo morale che non è il mio e con il quale non ritengo né possibile né utile il frustro “dialogo”. Credo nell’utilità della riflessione, di una riflessione informata dei fatti. Siamo noi stessi i principali destinatari della nostra riflessione. Se poi qualcuno, si vuole unire per riflettere insieme cercando una verità che non è né dell’uno né dell’altro, ma di tutti ed ognuno, è qui il benvenuto. I Troll sono invece pregati di girare al largo. Al pari di spiriti maligni non recano con sé nulla di buono, ma solo il male che gli uomini cercano sempre di evitare.

1. Cenni storici sul sionismo. –Nella letteratura ormai copiosa che ho esaminato e vado esaminando sui conflitti nel Vicino Oriente, ma anche sulla guerra civile europea del 1914-1945, ritorna sempre centrale la questione della legittimità della fondazione dello Stato di Israele ovvero di un Focolare che avrebbe dovuto realizzarsi a spese di terzi, incomodi per la loro stessa esistenza, che in vari modi si è sempre tentato e si tenta tuttavia di negare: i palestinesi ovvero gli autoctoni del territorio che si vuol loro togliere uccidendoli tutti, espellendoli, disperdendoli, facendoli ammalare con malattie da contaminazione ambientali produttive a medio e lungo termine di tumori e mutazioni genetiche, distruggendo le elits naturali o sostituendoli con kapò e fantocci, diffamandoli sistematicamente con menzogne che spesso non resistono neppure all’analisi logica, mediante l’impiego di una copertura mediatica capillare e di uomini politici e giornalisti probabilmente al libro di paga di appositi uffici israeliani o della diaspora. Le tecniche sono molte e non sempre facili da riconoscere e studiare. Ma il problema ridotto alla sua essenzialità è ineludibile.

Per fare un esempio che tutti possono comprendere basta qui rinviare all’esperienza che noi stessi abbiamo degli immigrati clandestini e del modo in cui i nostri politici, ma noi stessi ci rapportiamo verso di loro. Li vediamo nelle strade agli incroci, dove si offrono di lavare i vetri delle macchine. Dormono sotto i ponti o per strada. Quando trovano lavoro, accettano prezzi e condizioni che un italiano non accetterebbe. Non devo diffondermi per dare una descrizione dell’immigrato. Vengono per chiedere aiuto e cercare lavoro, spinti dalla fame e dal bisogno. Cercano il nostro aiuto e la nostra pietà. Vi è fra di noi forte dibattito se questo aiuto può essere loro dato e a quali condizioni. Ebbene, immaginiamo che tutte queste persono giungano da noi non da supplici, ma armati e fortemente determinati a cacciarci dalle nostre case e dalle nostre città. Come la prenderemmo? Come reagiremmo?

L’esempio non è astratto né inutile. Serve per dire come ciò sia esattamente successo in Palestina non in ragione dell’«Olocausto», che nel 1948 in ogni caso non esisteva più, ma già all’epoca del primo insediamento sionista nel 1882, quando si sosteneva che tutta la Palestina fosse un deserto, una terra senza popolo che stava giusto aspettando un popolo senza terra. Non discuto adesso la questione se gli ebrei siano un “popolo”: rinvio per tutti al noto libro di Shlomo Sand, Come fu inventato il popolo ebraico, dove è ricostruito il dibattito della seconda metà del XIX secolo dove si forgia l’ideologia sionista e si creano i miti di cui ogni ideologia ha bisogno. Fra i vari titoli di legittimità della presenza ebraica (o sionista?) sono ricorrenti alcune narrazioni che passiamo qui rapidamente in rassegna.

Abbastanza fragile la tesi della presenza continua degli ebrei in Palestina. È vero. Ma si tratta di comunità di poche migliaia di persone, presenti in Palestina come altrove, raggruppate in loro comunità religiose, dentro una più ampia comunità statuali alle cui leggi sono tenute. Quando nel 1882 arrivarono in Palestina i primi insediamenti sionisti (Hitler, al quale tutto si riconduce, deve ancora nascere, nel 1889), a vedere di cattivo occhio i nuovi arrivati furono proprio gli ebrei residenti, i quali intuivano – come osserva Rabkin – che essi poco o nulla avevano a che fare con il giudaismo religioso. Esiste una posizione autenticamente ortodossa (Neturei Karta), la quale sostiene che il sionismo è l’antitesi del giudaismo e che perfino sia del tutto travisato il tema del “ritorno in Israele”, da doversi ortodossamente intendere come un luogo dello spirito e della mente piuttosto che un concreto luogo fisico, cui peraltro giungere estromettendo e massacrando i legittimi abitanti autoctoni, peraltri e veri ed autentici discendenti degli abitanti della Palestina in epoca romana.

Rischio di dilungarmi troppo in questioni che ho trattato altrove e per le quali basta un rinvio ad autori che ne trattano egregiamente: Rabkin per i rapporti del giudaismo con il sionismo, Sand per l’invenzione del popolo ebraico e la formazione dell’ideologia sionista. Rapidamente accenno alla Dichiarazioni Balfour e a trattati di pace, per lo più segreti, che con disprezzo coloniale disponevano di territori e popoli come se fossero oggetti di diritto, anziché soggetti. All’inizio della prima guerra mondiale, nel 1914, le potenze coloniali europee disponevano dell’85 % di tutte le terre emerse. Il loro “impero” di puro sfruttamento non aveva nullo a che fare con l’Impero romano che fondò una civiltà mediterraneo di cui noi siamo ancora figli. Negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso tutti gli imperi coloniali crollarono miseramente lasciando dietro di sè solo discredito e nessuno istituzione che possa esibire titoli di legittimità: non la tratta dei negri, non il razzismo etnico, niente di niente e meno che mai la Dichiarazione Balfour e i trattati segreti. Dunque, la Dichiarazione Balfour non può essere accettata come un titolo di legittimazione della fondazione dello stato di Israele, che peraltro si verificò in netta dissociazione con la Gran Bretagna, la quale subì non pochi attentati terroristici da parte del sionismo armato.

(segue)

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