domenica 25 aprile 2010

Questioni linguistiche: come si traduce in italiano l’inglese deportation? – L’occupazione del linguaggio e l’espulsione del senso non gradito.

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IL MONDO PENSATO ALLA ROVESCIA
Paradigmi di «Informazione Corretta»
3.

Il termine inglese “deportation” e la “corretta” traduzione italiana, made in Israel.

La mia attenzione è caduta sulla saccenza con la quale gli anonimi corretti informatori tirano le orecche ad un giornalista da loro assai amato, per non dire odiato, Umberto De Giovannangeli a proposito della traduzione italiana di “deportation” come “deportazione” in un articolo per il cui contenuto, alquanto tragico, si rinvia. Ripeto: l”attenzione è qui concentrata sulla questione linguistica, anche se la gravissima violazione dei “diritti umani”, ancora una volta riscontrata nell’«unica» (fortunatamente) «democrazia del Medio Oriente», richiederebbe ben altri riflessioni e denunce. Ma il linguaggio è una componente essenziale nella propaganda che dal dopoguerra ad oggi è stata capillarmente depositata nelle nostre teste da tutto il sistema educativo ed informativo. La decostruzione della propaganda va fatta quindi proprio svelando le falsità della comunicazione propagandistica. Ma riportatiamo l’«eletto commento», sublime per la sua maestà e per la “carità” di cui trasuda:
«…Il primo appunto è la traduzione dall'inglese che Udg ha fatto della parola "deportation", resa con "deportazione", mentre il termine corrispondente in italiano è "espulsione". Scrivere deportazione richiama i campi di concentramento di nazista memoria, paragone spesso evocato dagli odiatori di Israele. Invitiamo Udg, quando tradurrà di nuovo questa parola, ad usare l'equivalente corretto…» (Fonte, corretta ed eletta).
Abbiamo studiato inglese ed altre lingue quanto basta per riuscire a fare un controllo di vocabolario. Abbiamo anche tradotto non pochi testi in italiano da diverse lingue. Il miglior dizionario bilingue inglese-italino che io conosco il Grande Sansoni diretto da Vladimiro Macchi. Vado a deportation ed ecco cosa trovo:
«deportation, s. 1 [diritto] (of an alien) espulsione f; (of a criminal) deportazione f. – 2. (banishment) bando m, esilio m.»
Ebbene, come ben sa chiunque a a scuola abbia studiato latino o greco, si tratta di scegliere nelle lista dei significati quello più appropriato per la traduzione. Se il significato non è riportato nel vocabolario, si corrono gravi rischi, ma se è riportato ai miei tempi si poteva andare a contrattare con il severissimo insegnante di lingua greca. Intano, malgrado la corretta saccenza il significato “deportazione” per “deportation" esiste. Del resto, il termine originario è chiaramente latino, non inglese o germanico, con tanto di particella "de” e di verbo “portare”, che rende assai facile la costruzione del senso etimologico. È certamente scongiurato il segno della matita “blu”. Si tratta di vedere se può mettersi un segno rosso. E per questo dobbiamo studiarci il contesto.

Leggendo l’articolo di De Giovannangeli, che riporta la presa di posizione di organizzazioni pacifiste israeliane che hanno denunciato la gravissima situazione, che non è nuova, si apprende come la popolazione residente nei “territori occupati” continui ad essere alla mercè di arbitrare “ordinanze” delle forze militari occupanti, che si ergono anche a maestre di diritto. Per ragioni non di umanità, ma del tutto intrinseca al complesso sistema della propaganda sionista, è di essenziale importanza che non vengano mai fatte analogie fra i trattamento inflitto da sempre alla popolazione autoctona palestinese ed il trattamento subito dagli ebrei quale abbiamo visto in innunerevoli fiction televisive ed una narrazione, la cui disamina critica è vietata per legge. Da qui la necessit per i «Corretti Informatori» che non si usi il termine “deportazione” per i palestinesi di Cisgiordania – ribattezzata Giudea e Samaria – perché sarebbe in stridente contrasto con la “deportazione” degli ebrei in Europa.

Si dovrebbe pertanto parlare – secondo i “corretti informatori”, che sono ci insegnano, loro a noi, perfino la nostra lingua madre, noi poveri goym – non di “deportazione” ma di “espulsione”, come si conviene a dei “clandestini” beccati in flagrante sbarco clandestino. Se non ché verso la fine dell’articolo ci capita di leggere di un certo Ahmad Sabbah, «che aveva appena finito di scontare un periodo di 10 anni reclusione in un penitenziario israeliano». “Sopravvissuto” al penitenziario, Ahmad torna finalmente «nella città natale di Tulkharem (in Cisgiordania), dove lo attendevano i familiari. Ma ecco che sulla base delle nuove ordinanze, di cui si parla nell’articolo, il povero Ahmad non fa in tempo a giungere al paese che subito i soldati con la stella di Davide lo acciuffano e lo… deportano verso la Striscia di Gaza. Mi è ancora assai caro il ricordo del mio insegnante di greco e sono certo che non avrebbe potuto mettermi nessun segno rosso, anche perchè è da interpretare e da rendere il senso che l’autore da cui si traduce intendeva dare al termine. Che si tratti di “deportazione” nel “lager” di Gaza è cosa di cui non può dubitarsi. Lasciamo volentieri ai “corretti informatori” il loro italiano “levantino”!

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