martedì 13 aprile 2010

Freschi di stampa: 38. Giano Accame: «La morte dei fascisti» (Mursia, 2010). – Riflessioni in margine al libro postumo di un amico scomparso.

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Vers. 1.0/15.4.10

Quando si ha la frequentazione di amici che scrivono libri capita di credere che la possibilità della conversazione e del dialogo diretto esima dalla lettura dello scritto. Succede così che a leggere i libri dell’amico siano gli altri, magari i nemici, e non gli amici. E quel che mi è capitato anche con Giano, la cui prima conoscenza risale ai primi anni Ottanta. Non che la mia frequentazione fosse particolarmente assidua, anche perché disturbarlo nelle sue occupazioni, ma sapevo comunque che avrei potuto cercarlo ogni volta che lo avessi voluto, essendo certo di trovare sempre la stessa gentilezza e disponibilità, che non era un trattamente a me esclusivamente riservato, ma era nel suo costume, nel suo carattere, nel suo modo di offrirsi agli altri.

Ho acquistato il libro da qualche ora, ma ne ho appreso ieri pomeriggio nel corso di una commemorazione di Giano tenutasi all’Accademia di Romania. Adesso che Giano non è più fra di noi, ne studiamo l’opera e la figura, mettendo insieme la narrazione della propria conoscenza con Giano ed i motivi intellettuali che hanno prodotto l’incontro, suscitando un’amicizia che si è conservata negli anni. Si è trattata a volte di semplici conversazioni, accompagnate da bevute di grappa, ma anche di progetti di lavoro comune e persino di una comune militanza in uno stesso impegno politico. Ne viene così fuori un’immagine vista da angolazione diverse. Sapendo del libro di Giano, del suo titolo, la mia mente ha subito un’associazione con un altro libro: quello di Piero Buscaroli, Dalla parte dei vinti, che ho già iniziato a leggere. Di Buscaroli non sono riuscito ancora a sciogliere un dilemma: se vi sia stata decenni or sono occasione di un incontro ad un convegno di studi. Con Giano il quesito neppure si pone. I due libri offrono entrambi la testimonianzia di una generazione precedente la mia, che inizia la sua avventura nel dopoguerra.

Uno dei concetti centrali che è emerso dalla commemorazione di ieri pomeriggio è come non si possa vivere il recente passato storico, diciamo la storia della generazione precedente alla mia che ne scrivo, sotto le categorie del “male assoluto” e del “bene assoluto”, sulla base delle quali è stata impostata la pedagogia delle generazioni postbelliche. Se la guerra ha portato non poche distruzioni di cui ancora paghiamo le conseguenze, direi che è stato devastastante la diseducazione sistematica della mia generazione, che sono in età matura può rendersi conto del regime di menzogne e mistificazioni a cui ancora ci vogliono costringere.

(segue)

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