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Agli organizzatori della nave che dall’Italia partirà con la “Freedom Flotilla 2” suggerisco di optare nella scelta del nome in «Per la Verità, per Gaza» anzichè quello annunciato di «Stefano Chiarini», che in pochi sanno chi sia. Naturalmente, nessuno vuol qui togliere meriti a Stefano Chiarini! Ma per farli conoscere credo sia meglio aspettare altra occasione. «Stefano Chiarini» come nome di una nave non è la stessa cosa che «Rachel Corrie». A chi chiedesse chi fosse Rachel Corrie si può subito e facilmente rispondere: una giovane americana di 23 anni uccisa da un soldatino israeliano, mentre con il suo corpo faceva scudo alla distruzione delle case dei palestinesi. Ed è subito e presto detto l’essenziale: non occorre sapere e spiegare altro. Inoltre, dando per nome alla nave «Per la Verità, per Gaza» si potranno rimbeccare sul loro stesso terreno i media che hanno già strombazzato e strombazzeranno a più non posso la kermesse della signora Nirenstein, che ha certamente dimostrato la potenza della Israel lobby in Italia organizzando uno spettacolo di fiction storico-politica, al Tempio di Adriano, recante per titolo: «Per la Verità, per Israele». Già! Ma quale verità? Quello di uno Stato che si autodefinisce «ebraico e democratico» e pretende con la sua nuova legge sulla cittadinanza che ogni suo cittadino, anche non ebreo o perfino ateo, debba giurare fedeltà ad un siffatto stato, «ebraico e democratico», ma saldamente fondato sulla «Pulizia etnica della Palestina» e sull’apartheid.
Alle loro sfacciate pretese, che magari per legge, venga proibita anche la denominazione di «Terra Santa» da parte dei cattolici si dovrebbe rispondere, almeno sul piano morale e intellettuale, ripristinando il nome di Palestina e rifiutando il concetto di «Stato di Israele», che merita tutti i connotati di quello «Stato criminale», che Karl Jaspers aveva pensato per lo Stato nazista. Se Jaspers avesse avuto occhi filosofici poteva volgere lo sguardo verso Oriente e vedere cosa lì succedeva: ad esempio, l’eccidio di Khan Younis nel novembre del 1956, così orribile da far impallidire i propagandisti nostrani delle “Fosse Ardeatine”. Ma si sa, lo si è sempre detto: i vincitori scrivono la storia e chi ha il potere, pretende perfino di fissare per legge quale possa e debba essere la nostra Memoria e cosa ci è permesso o non permesso pensare. I docenti di ogni ordine e grado di istruzione sono fatti ridotti ope legis dalla condizione di educatori a quelli di agenti di propaganda di regime. Solo degli incauti ed ingenui docenti conservano la dignità della loro funzione, ritenendo che sia loro composto addestrare i loro allievi alla conoscenza critica, tale da poter confutare e contraddire gli stessi maestri, la cui più grande ambizione è quella di essere superato dagli allievi. Qui invece la situazione evolve passando da una classe docente, minacciata affinchè non osi pensare, ad allievi il più possibile resi incapace di pensare.
Al limite, se è già stato deciso irrevocabilmente il nome «Stefano Chiarini», si potrebbe aggiungere da qualche parte, in bella evidenza il nome: «PER LA VERITA’, PER GAZA». Non credo che ci siano limiti di caratteri per la titolazione di una nave, che probabilmente cesserà la sua funzione appena giunta a destinazione, augurandoci che la marina e le forze armate israeliane lo consentano. Su una nave così intitolata si potrebbero offrire tanti posti in classe turistica ad ognuno dei 60 oratori che al Tempio di Adriano hanno fatto conoscere la loro percezione della Verità. Se anche su questa nave, come già sulla “Mavi Marmara”, si caleranno incappucciati i tiratori scelti israeliani, che sparano nel buio su ogni cosa che si muova, gli Onorevoli Deputati potranno recitare la loro verità al suono delle artiglierie israeliane e potranno sapere cosa si prova e cosa possono aver provato i nove morti della Flotilla 1. E se mai giungeranno a Gaza, si potrà far loro dono di una copia del volume di Joe Sacco, «Gaza 1956. Note in margine», portandoli a Khan Younis, che bisognerebbe mettere a confronto ogni volta che da noi le stesse persone, gli stessi “Amici di Israele” celebrano le “Fosse Ardeatine”, sempre pronti alla commozione e indignazione a senso unico, sprangando le porte del cuore per i mille morti prodotto dai loro “amici” per ogni morto israelo-sionista, in nome della Santa “Sicurezza di Israele”: un’espressione sempre in bocca al ministro Frattini. Potremmo efficacemente contraccambiare ogni spot di Saviano, vero “eroe di carta”, con una sola pagina di Sacco: per un Saviano un Sacco! Viviamo nell’epoca della globalizzazione e la cultura è fatta di comparazioni e di scambi, fino a quando ci consentiranno di comunicare liberamente. Ancora non sono riusciti a metterci il bavaglio, anche se la signora Fiammetta sta lavorando alacremente a questo scopo, in omaggio ad una sua idea di verità che non ammette contraddittorio, se è vero che 200.000 persone nella sola Germania, dal 1994 ad oggi, hanno sperimentato cosa vuol dire pretendere di avere un pensiero libero e indipendente.
Si potranno poi stabilire perfino comparazioni con l’incomparabile, per vedere innanzitutto se esiste l’Incomparabile. Se rispetto all’Evento Innominabile proviamo a fissare criteri di comparazione come “durata” della sofferenza, “intensità” della sofferenza, “numeri” della sofferenza, “intenzionalità” della sofferenza ad altri inflitta, nonchè sulla “innocenza” delle vittime rigorosamente accertate e sulle “coperture” e “complicità” di cui i carnefici si sono avvantaggiati, e non per ultimo la funzione avuta dai media e dall’informazione in genere, nonché le dichiarazioni di “opinionisti”, “scrittori”, cantanti, attori e ballerine, ecc. ecc., per la verità, ad occhio e croce io non avrei dubbio di sorta su chi assegnare il Gran Premio o Primo Premio per la sofferenza e l’ingiustizia subita. È difficile immaginare che un “genocidio” – ormai normativamente equiparato alla “pulizia etnica”, perché in entrambi i casi si uccide una intera etnia, si fa scomparire un popolo dalla faccia della terra – la cui semplice durata copre un periodo di oltre 100 anni (1882-2010) possa essere inferiore ad una “narrazione” su una sofferenza in ogni caso durata non più di un paio di anni e sulla quale per giunta è proibito indagare, allo stesso modo in cui ai giornalisti non embedded fu preclusa la copertura giornalista di Gaza durante “Piombo Fuso”, per non dire del sequesto di cineprese e filmati fatti dagli stessi aggrediti della Mavi Marmara. Sembrerebbe trattarsi di una stessa politica dell’informazione: giornalistica, storica e memorialistica. Infatti, chi ha in mano il potere controlla il discorso, la memoria, l’informazione, la formazione della cosiddetta “opinione pubblica”, ma in realtà solo opinione “pubblicata” o “pubblicabile”.
Qualsiasi sofferenza inflitta al nostro prossimo non può che essere esecrabile e venire da noi rifiutata, perseguendo noi l’immanine utopica e mai raggiunta di un’umanità che vive in pace e dove vige l’amore anziché l’odio e la ferocia. Ciò però non ci impedisce di interrogarci sul perché mai l’uomo infligge sofferenza al suo simile. Sgombrato il campo da queste nostre riflessioni dell’istituto della “pena” in sé, con la quale ogni sistema penale sanziona singoli soggetti (mai interi popoli!) per singoli atti (furto, omicidio, stupro, abigeato, ecc.) che non possono essere ammessi in un consorzio umano, resta da chiedersi non se certe cose siano o non siano mai avvenute, ma perché sarebbero avvenute. Chi vuol capire, ha già le chiavi per cogliere l’allusione, senza scatenare qui di nuovo una reazione artatamente isterica. Ma non vado qui a scavare oltre per non rischiare di far fuoruscire verità dal sottosuolo, difficili e imbarazzanti da rinchiudere nelle viscere della terra o nelle prigioni degli stati. Preme qui far risaltare l’assoluta innocenza della vittima sacrificale designata per l’«olocausto»: il popolo palestinese!
Se ne stava pacifico sulla sua terra, con i suoi costumi contadini e preindustriali: hanno detto che erano dei “selvaggi” e che bisognava cancellarli per portare il “progresso” e la “modernità”. Quando la Palestina fu formalmente assegnata in “Mandato” alla Gran Bretagna, ciò avveniva all’interno di un istituto giuridico tipicamente coloniale e razzista: il Mandato. Vale a dire questo istituto suppone che esistano popoli selvaggi, minorenni, incapaci di darsi da sé proprie istituzioni, di modellare la loro propria cultura, le proprie leggi, i propri costumi. Occorre che uno stato venuto dall’Occidente li educhi alla “civiltà” ed un giorno forse conceda loro emancipazione ed autonomia, se faranno i bravi e dimostreranno di averlo meritato. Era questo il ruolo della Gran Bretagna, la cui cultura della doppiezza politica e morale prometteva agli uni, ingannando e mentendo agli altri. Non devo qui fare una lezioni di storia per ricordare a chi sa già la genesi e gli svolgimenti della spartizione dell’Impero Ottomano e sulla base di quali menzogne l’Inghilterra abbia spinto gli arabi alla ribellione, promettendo loro un’indipendenza che non avrebbero mai avuto per mano inglese. Il gusto della menzogna è sopravvissuto all’Impero, se dobbiamo a Tony Blair e non solo a lui la menzogna dei falsi armamenti di Saddam, costati fino ad oggi oltre un milioni di vittime e danni materiali incalcolabili.
Si dice: il giudizio ai posteri. Ma adesso siamo noi quei posteri. Possiamo emettere il nostro responso? Ebbene, per il solo Vicino Oriente, o Medio Oriente (come dicono inglesi e americani dal loro punto di osservazione), a fronte di infinite tragedie costate all’umanità guerre infinite e mai tanto feroci e distruttive, non sarebbe stato meglio se l’Impero Ottomano non fosse stato mai smembrato? Conosco la risposta: la storia non si fa con i se. Obiezione: ma noi qui non abbiamo la pretesa di scrivere la storia che non è stata. Noi diamo il giudizio dei posteri. E possiamo anche osservare la fine ingloriosa e turpe che in pochi decenni ha cancellato i grandi imperi coloniali di Inghilterra e di Francia, i cui appetiti coloniali si erano spartiti tutto il Vicino Oriente. Poveretti, l’ultimo tentativo di rivincita coloniale l’hanno tentato nel 1956, con la guerra anglo-francese-israeliana per il canale di Suez. Ma ormai il padrone del mondo era un’altro, che astutamente ha fatto sì che la vecchia Europa si dilianasse dal suo interno, riducendosi ad un condominio russo-americano. Ed i sionisti - prima e dopo Balfour - in tutta questa storia non c’entrano nulla? Non lo si può dire...
Or dunque, fatto sta che gli inglesi con il loro Mandato giocarono sporco, ma sporco assai, preparando di fatto quello “stato ebraico” che poi diede loro il classico calcio dell’asino, per passare a nuovo padrone: gli Usa, dove una forte Lobby ebraica è in grado di influenzare e condizionare la “politica estera americana” non meno di come la Lobby nostrana è in grado di determinare la “politica estera italiana”, dimostrandolo proprio l’altro ieri, in una sala a ridosso di palazzo Montecitorio, dove il ministro degli esteri, se ancora ve ne era bisogno, ha dimostrato anche ai ciechi di essere uno di loro: non diversamente da quella funzione di terzietà che pretendeva di avere, per gli ingenui e i fessi, l’Alto Commissario inglese nel Mandato britannico di Palestina!
E qui ci fermiamo, per non rischiare di dover scrivere un libro di storia, l’ennesimo libro di storia sulla Palestina. Le mie conoscenze al riguardo sono quelle che ricavo dai libri esistenti e dalla mia capacità di interpretazione critica. Le mie ultime letture mi portano a riflettere che la «Pulizia etnica della Palestina» non è da collocare nel 1948, come si può apprendere dal libro ormai fondamentale di Ilan Pappe a questo riguardo. Ma inizia molto prima ed è implicita nell’idea stessa di sionismo, che per davvero è una forma di “razzismo” oltre che di colonialismo, come si disse in Durban I. Che poi questa dichiarazione stata stata fatta ritirare nulla toglie alla sua “verità”. Anzi, ne dà ulteriore conferma nella misura in cui si riesce a ricostruire la storia delle pressioni, dei maneggi, dei ricatti, di tutto ciò che avvenne dietro le quinte per far ritirare il riconoscimento di una verità che resta tale.
Appare come un segno della provvidenza, a 12 giorni esatti dalla “verità” interpretata dalla Israel Lobby del Tempio di Adriano, un ben diverso «momento di verità», contenuto in un documento sinodale redatto in tredici lingue e disponibile da oggi sulla rete, dove i cristiani di Palestina lanciano un grido di dolore al mondo intero... Un grido che la gli agenti della Lobby già cercano di silenziare, ma su cui passiamo oltre: di costoro meno si parla, è meglio è. Almeno finchè non vengano ripristinati per tutti, in modo eguale, i diritti costituzionali di libertà di pensiero e di espressione. È allucinante il lavaggio del cervello che si annuncia come sostitutivo del carcere. Il documento sinodale tuttavia non lascia scampo davanti all’oggettività dei fatti e alla larga gamma di misure repressive e di occultamento davanti ad una violenza chiara e manifesta, che dura da oltre un secolo e che tenta di nascondersi nelle pieghe di ogni evento che la storia produce.
Su “Kairos” è in corso in queste ore una ridda di smentite diplomatiche, dopo che un’agenzia, la Misna, ha riferito di pressioni di Israele sulla Santa Sede per mettere a tacere gli autori del documento sinodale. Naturalmente, noi sappiamo e chi credere e di cosa sia capace Israele, per il quale diritto, giustizia e verità hanno un’accezione tutta propria. Ma ecco una dichiarazione di don Nandino Capovilla:
È divertente notare come abbia concorso allo show del Tempio di Adriano anche l’«ateo devoto» Giuliano Ferrara, per il quale chiaramente la Chiesa ha un suo pregio in quanto possa essere rivolta in funzione antislamica e pro Israel. È rivelatore un pezzo di oggi, dove fa scendere in campo il rabbino Rosen, che come già Pacifici con lo stato italiano, pretende di dettare lui cosa la Chiesa può fare, anzi cosa le “conviene” fare, adottando un linguaggio mercantile là dove normalmente si parla di fede e devozione. Infatti, ogni modesto fedele cattolico – ma non l’opportunista “ateo devoto” – sa che la Santa Sede ovvero lo Stato Vaticano non sono la Chiesa, di cui fanno parte tutti i fedeli cristiani del mondo, anche quelli di Palestina o di Israele, i cui numeri e la cui storia hanno una ben diversa spiegazione da quella fatta passare dalla propaganda israeliana. Numeri e “convenienze” in ogni caso sono ininfluenti rispetto a questioni di giustizia, umanità, carità.
Anche se occorre turarsi il naso, siamo tuttavia giunti alla conclusione che sia opportuno un costante monitoraggio della propaganda sionista ed un osservatorio sui modi, i tempi e gli uomini con cui la Israel Lobby agisce sui nostri governi e sulle istituzioni, agendo per un verso con la mistificazione e con l’altro con l’intimidazione, il ricatto, la violenza. È utile sapere chi sta con chi contro chi. Lo studio e l’analisi consentono di capire dove sta l’inganno ed è sempre più facile in una realtà come quella palestinese e mediorientale, afflitta di oltre un secolo di indubbia oppressione coloniale, che niente può giustificare. È divertente l’imbarazzo che qui traspare da parte dell’«ateo devoto» Giuliano Ferrara, che sembra dover operare una scelta fra Roma e Tel Aviv, non già Gerusalemme cosa il cui nome avrebbe già delle implicazioni e indicherebbe uno schieramento. Si può ben dire che a due settimane dal tentativo propagandistico della Nirenstein, che parla perfino di “negazionismo” sinodale (!), esce forte e chiara la risposta del vescovi. Si chiede la fine all’occupazione israeliana, si invita l’ONU a far rispettare le sue risoluzione ed in primis quella che riconosce il ritorno dei profughi dal 1948 in poi. Forse si apre una nuova epoca e le azioni delle lobbies possono essere contrastate non da un manipolo di persone, ma da ogni coscienza libera, informata e capace di discernere gli inganni e le menzogne.
Anche se non dismettiamo il nostro monitoraggio della propaganda sionista, sempre più avvelenat e ipocrita, non ci soffermiamo su di essa. Basta soltanto rilevare come costoro si erano ormai abituati all’idea di una “chiesa universale” prona ai diktat del sionismo e delle diaspore, che ormai hanno pienamente di essere agenzie sioniste, portandone quindi tutta la responsabilità. È di una scandalosa e inaudita arroganza la pretesa di stabilire ciò che il papa e la Chiesa possano o non possano dire. Altrettanto scandaloso e irritante il sommo disprezzo per i fedeli cattolici, intesi come “pecore” o “bestiame” che può essere condotto dove si vuole, se appena ci si è lavorato i vertici, i “capi”. Pretendono costoro di riformare loro la dogmatica cattolica di duemila anni e di dire loro cosa i “goym” debbono correttamente credere o non credere! Naturalmente, non vale il reciproco: ché sarebbe “antisemitismo”! È una costante assoluta del lobbismo sionista quella di lavorare sui singoli, facendo loro giungere pressioni dai “superiori”, sui quali si esercitano recondite pressioni, qui - ad esempio – valutazioni mercantili di convenienza circa le sorti del cristianesimo in Medio Oriente da anteporre a semplici ed immocolate valutazioni spontanee di giustizia, umanità, pietà. Il “fedele” cattolico è inteso come un cliente nel supermarket delle religioni e della fede. Da anni viene condotta una propaganda volta a mettere tutto il cristianesimo in uno scontro frontale contro l’Islam: un miliardo nominale di cattolici contro un altro miliardo di islamici, spinti l’uno contro l’altro dal “fratello maggiore”. Un prelato ha però ben detto: la chiesa cattolica non è “minoranza” in Medio Oriente, ma è una parte della Chiesa universale che si trova in quei luoghi. E così sarebbe anche se vi rimanesse una sola persona. È un bellissimo concetto di teologia politica che si contrappone alla logica materialistica dei numeri. Vi è infine da augurarsi che il “momento di verità” che si è rischiarato sul Medio Oriente segni una svolta permanente nella politica religiosa della Chiesa cattolica. Ci troviamo davvero davanti ad una «svolta storica», come si legge nel messaggio conclusivo del Sinodo? Se così sarà – e ce lo auguriamo –, le conseguenze andranno molto più in là dell’ambito strettamente religioso.
Non è ancora trascorso il mese di ottobre, iniziato con una “verità” tutta israeliana, a suo uso e consumo, che ben altro verità si aggiunge ancora: quella della carovano VivaPalestina5, che per via terra ha voluto raggiungere con difficoltà e resistenze enorme il Lager di Gaza, dove si rinnovano e superano quegli orrori che si pretende siano confinati in un passato sempre più remoto e sempre più mistificato. È difficile trovare parole per esprimere la sensazione provata dai pacifisti entrati in Gaza. Forse le più adeguate sono queste: «Quando la libertà si restringe in un posto del mondo, la libertà di tutto il mondo un poco si restringe, per questo ho deciso di unirmi al convoglio». Ed è proprio così! Ma qui si può leggere una cronaca aggiornata del convoglio VivaPalestina5, l’altra verità che non trova spazio sui nostri media sionisti. È come se tutti noi fossimo rinchiusi nella prigione di Gaza. Noi patiamo nei nostri paesi la stessa oppressione, la stessa sofferenza dei palestinesi. Addirittura forse una sofferenza maggiore nella misura in cui si può dire che viene sovvertita la nostra coscienza morale, piegata la nostra autonoma capacità di giudizio, vilipesa la nostra volontà, corrotto il nostro cuore, la nostra spontanea inclinazione al sentimento di equità e pietà. È la potenza della propaganda per un verso e l’occultamento della realtà tangibile per l’altro ciò che ci impedisce la generale comprensione della nostra quotidianità e della nostra epoca. Non siamo soggetti di diritto, ma di noi si dispone come meglio si crede e come ad altri torna utile. I popoli d’Europa e del Vicino Oriente soffrono di un’identica oppressione.
Per concludere, pare indubbio che nel caso di “Israele” si tratti dell’ultimo residuo di avventura coloniale in un mondo che ha rigorosamente respinto tutta l’esperienza storica del colonialismo e del razzismo in esso implicito, impersonato in primo luogo da Inghilterra, Francia, USA. Contro questo residuo odierno di razzismo e colonialismo siamo chiamati ad esprimere il nostro giudizio morale di uomini liberi. È probabile che politicamente saremo sconfitti dalla Israel lobby che si è rivelata l’altra giorno al Tempio di Adriano, ma la nostra forza è tutta nella nostra capacità di resistenza, mantendoci dentro la massima evangelica del “sia il vostro dire: si si no no”.
Per questo propongo alla nave italiana che salperà per Gaza, in nome del popolo italiano, di portare con sé una grande scritta, visibile da lontano, dove si possa leggere a caratteri cubitali:
Agli organizzatori della nave che dall’Italia partirà con la “Freedom Flotilla 2” suggerisco di optare nella scelta del nome in «Per la Verità, per Gaza» anzichè quello annunciato di «Stefano Chiarini», che in pochi sanno chi sia. Naturalmente, nessuno vuol qui togliere meriti a Stefano Chiarini! Ma per farli conoscere credo sia meglio aspettare altra occasione. «Stefano Chiarini» come nome di una nave non è la stessa cosa che «Rachel Corrie». A chi chiedesse chi fosse Rachel Corrie si può subito e facilmente rispondere: una giovane americana di 23 anni uccisa da un soldatino israeliano, mentre con il suo corpo faceva scudo alla distruzione delle case dei palestinesi. Ed è subito e presto detto l’essenziale: non occorre sapere e spiegare altro. Inoltre, dando per nome alla nave «Per la Verità, per Gaza» si potranno rimbeccare sul loro stesso terreno i media che hanno già strombazzato e strombazzeranno a più non posso la kermesse della signora Nirenstein, che ha certamente dimostrato la potenza della Israel lobby in Italia organizzando uno spettacolo di fiction storico-politica, al Tempio di Adriano, recante per titolo: «Per la Verità, per Israele». Già! Ma quale verità? Quello di uno Stato che si autodefinisce «ebraico e democratico» e pretende con la sua nuova legge sulla cittadinanza che ogni suo cittadino, anche non ebreo o perfino ateo, debba giurare fedeltà ad un siffatto stato, «ebraico e democratico», ma saldamente fondato sulla «Pulizia etnica della Palestina» e sull’apartheid.
Alle loro sfacciate pretese, che magari per legge, venga proibita anche la denominazione di «Terra Santa» da parte dei cattolici si dovrebbe rispondere, almeno sul piano morale e intellettuale, ripristinando il nome di Palestina e rifiutando il concetto di «Stato di Israele», che merita tutti i connotati di quello «Stato criminale», che Karl Jaspers aveva pensato per lo Stato nazista. Se Jaspers avesse avuto occhi filosofici poteva volgere lo sguardo verso Oriente e vedere cosa lì succedeva: ad esempio, l’eccidio di Khan Younis nel novembre del 1956, così orribile da far impallidire i propagandisti nostrani delle “Fosse Ardeatine”. Ma si sa, lo si è sempre detto: i vincitori scrivono la storia e chi ha il potere, pretende perfino di fissare per legge quale possa e debba essere la nostra Memoria e cosa ci è permesso o non permesso pensare. I docenti di ogni ordine e grado di istruzione sono fatti ridotti ope legis dalla condizione di educatori a quelli di agenti di propaganda di regime. Solo degli incauti ed ingenui docenti conservano la dignità della loro funzione, ritenendo che sia loro composto addestrare i loro allievi alla conoscenza critica, tale da poter confutare e contraddire gli stessi maestri, la cui più grande ambizione è quella di essere superato dagli allievi. Qui invece la situazione evolve passando da una classe docente, minacciata affinchè non osi pensare, ad allievi il più possibile resi incapace di pensare.
Al limite, se è già stato deciso irrevocabilmente il nome «Stefano Chiarini», si potrebbe aggiungere da qualche parte, in bella evidenza il nome: «PER LA VERITA’, PER GAZA». Non credo che ci siano limiti di caratteri per la titolazione di una nave, che probabilmente cesserà la sua funzione appena giunta a destinazione, augurandoci che la marina e le forze armate israeliane lo consentano. Su una nave così intitolata si potrebbero offrire tanti posti in classe turistica ad ognuno dei 60 oratori che al Tempio di Adriano hanno fatto conoscere la loro percezione della Verità. Se anche su questa nave, come già sulla “Mavi Marmara”, si caleranno incappucciati i tiratori scelti israeliani, che sparano nel buio su ogni cosa che si muova, gli Onorevoli Deputati potranno recitare la loro verità al suono delle artiglierie israeliane e potranno sapere cosa si prova e cosa possono aver provato i nove morti della Flotilla 1. E se mai giungeranno a Gaza, si potrà far loro dono di una copia del volume di Joe Sacco, «Gaza 1956. Note in margine», portandoli a Khan Younis, che bisognerebbe mettere a confronto ogni volta che da noi le stesse persone, gli stessi “Amici di Israele” celebrano le “Fosse Ardeatine”, sempre pronti alla commozione e indignazione a senso unico, sprangando le porte del cuore per i mille morti prodotto dai loro “amici” per ogni morto israelo-sionista, in nome della Santa “Sicurezza di Israele”: un’espressione sempre in bocca al ministro Frattini. Potremmo efficacemente contraccambiare ogni spot di Saviano, vero “eroe di carta”, con una sola pagina di Sacco: per un Saviano un Sacco! Viviamo nell’epoca della globalizzazione e la cultura è fatta di comparazioni e di scambi, fino a quando ci consentiranno di comunicare liberamente. Ancora non sono riusciti a metterci il bavaglio, anche se la signora Fiammetta sta lavorando alacremente a questo scopo, in omaggio ad una sua idea di verità che non ammette contraddittorio, se è vero che 200.000 persone nella sola Germania, dal 1994 ad oggi, hanno sperimentato cosa vuol dire pretendere di avere un pensiero libero e indipendente.
Avvertenza
È più volte che questo video, di cui ho copiato e incorporato il codice, non si avvia dopo un certo uso. Ricolloco ogni volta il codice. Non saprei dire se si tratta di un intenzionale sabotaggio. Il messaggio video di Arrigoni si trova riportato in vari siti, che elenco, indicando per il numero di visualizzazioni e gli annessi commenti: 1°) postato da “antimafiamilitante”, con al momento 40.207 visualizzazioni, da una settimana e 356 commenti; 2°) stopthewaritalia, con 35 visualizzazioni e 0 commenti, postato 4 giorni fa; 3°)... Bastano questi dati (visualizzazioni e commenti) per dedurne che la manifestazione sionista di Fiamma Nirenstein sia stato un boomerang che ha rivelato anche ai più distratti l’esistenza di una “Israel Lobby” che ritiene di poterla fare da padrone sulla politica estera italiana. Inutile, cercare traccia di opposizione in parlamento: la Lobby si gloria di essere bipartisan! Ma nel Paese l’opposizione invece esiste ed è consistente. Questo dato la dice lunga sulla democraticità e rappresentatività di questo Parlamento, dove i rappresentanti sionisti sono stati “nominati” ovvero “auto-nominatisi” e giammai eletti dal popolo italiano.Si potranno poi stabilire perfino comparazioni con l’incomparabile, per vedere innanzitutto se esiste l’Incomparabile. Se rispetto all’Evento Innominabile proviamo a fissare criteri di comparazione come “durata” della sofferenza, “intensità” della sofferenza, “numeri” della sofferenza, “intenzionalità” della sofferenza ad altri inflitta, nonchè sulla “innocenza” delle vittime rigorosamente accertate e sulle “coperture” e “complicità” di cui i carnefici si sono avvantaggiati, e non per ultimo la funzione avuta dai media e dall’informazione in genere, nonché le dichiarazioni di “opinionisti”, “scrittori”, cantanti, attori e ballerine, ecc. ecc., per la verità, ad occhio e croce io non avrei dubbio di sorta su chi assegnare il Gran Premio o Primo Premio per la sofferenza e l’ingiustizia subita. È difficile immaginare che un “genocidio” – ormai normativamente equiparato alla “pulizia etnica”, perché in entrambi i casi si uccide una intera etnia, si fa scomparire un popolo dalla faccia della terra – la cui semplice durata copre un periodo di oltre 100 anni (1882-2010) possa essere inferiore ad una “narrazione” su una sofferenza in ogni caso durata non più di un paio di anni e sulla quale per giunta è proibito indagare, allo stesso modo in cui ai giornalisti non embedded fu preclusa la copertura giornalista di Gaza durante “Piombo Fuso”, per non dire del sequesto di cineprese e filmati fatti dagli stessi aggrediti della Mavi Marmara. Sembrerebbe trattarsi di una stessa politica dell’informazione: giornalistica, storica e memorialistica. Infatti, chi ha in mano il potere controlla il discorso, la memoria, l’informazione, la formazione della cosiddetta “opinione pubblica”, ma in realtà solo opinione “pubblicata” o “pubblicabile”.
Qualsiasi sofferenza inflitta al nostro prossimo non può che essere esecrabile e venire da noi rifiutata, perseguendo noi l’immanine utopica e mai raggiunta di un’umanità che vive in pace e dove vige l’amore anziché l’odio e la ferocia. Ciò però non ci impedisce di interrogarci sul perché mai l’uomo infligge sofferenza al suo simile. Sgombrato il campo da queste nostre riflessioni dell’istituto della “pena” in sé, con la quale ogni sistema penale sanziona singoli soggetti (mai interi popoli!) per singoli atti (furto, omicidio, stupro, abigeato, ecc.) che non possono essere ammessi in un consorzio umano, resta da chiedersi non se certe cose siano o non siano mai avvenute, ma perché sarebbero avvenute. Chi vuol capire, ha già le chiavi per cogliere l’allusione, senza scatenare qui di nuovo una reazione artatamente isterica. Ma non vado qui a scavare oltre per non rischiare di far fuoruscire verità dal sottosuolo, difficili e imbarazzanti da rinchiudere nelle viscere della terra o nelle prigioni degli stati. Preme qui far risaltare l’assoluta innocenza della vittima sacrificale designata per l’«olocausto»: il popolo palestinese!
Se ne stava pacifico sulla sua terra, con i suoi costumi contadini e preindustriali: hanno detto che erano dei “selvaggi” e che bisognava cancellarli per portare il “progresso” e la “modernità”. Quando la Palestina fu formalmente assegnata in “Mandato” alla Gran Bretagna, ciò avveniva all’interno di un istituto giuridico tipicamente coloniale e razzista: il Mandato. Vale a dire questo istituto suppone che esistano popoli selvaggi, minorenni, incapaci di darsi da sé proprie istituzioni, di modellare la loro propria cultura, le proprie leggi, i propri costumi. Occorre che uno stato venuto dall’Occidente li educhi alla “civiltà” ed un giorno forse conceda loro emancipazione ed autonomia, se faranno i bravi e dimostreranno di averlo meritato. Era questo il ruolo della Gran Bretagna, la cui cultura della doppiezza politica e morale prometteva agli uni, ingannando e mentendo agli altri. Non devo qui fare una lezioni di storia per ricordare a chi sa già la genesi e gli svolgimenti della spartizione dell’Impero Ottomano e sulla base di quali menzogne l’Inghilterra abbia spinto gli arabi alla ribellione, promettendo loro un’indipendenza che non avrebbero mai avuto per mano inglese. Il gusto della menzogna è sopravvissuto all’Impero, se dobbiamo a Tony Blair e non solo a lui la menzogna dei falsi armamenti di Saddam, costati fino ad oggi oltre un milioni di vittime e danni materiali incalcolabili.
Si dice: il giudizio ai posteri. Ma adesso siamo noi quei posteri. Possiamo emettere il nostro responso? Ebbene, per il solo Vicino Oriente, o Medio Oriente (come dicono inglesi e americani dal loro punto di osservazione), a fronte di infinite tragedie costate all’umanità guerre infinite e mai tanto feroci e distruttive, non sarebbe stato meglio se l’Impero Ottomano non fosse stato mai smembrato? Conosco la risposta: la storia non si fa con i se. Obiezione: ma noi qui non abbiamo la pretesa di scrivere la storia che non è stata. Noi diamo il giudizio dei posteri. E possiamo anche osservare la fine ingloriosa e turpe che in pochi decenni ha cancellato i grandi imperi coloniali di Inghilterra e di Francia, i cui appetiti coloniali si erano spartiti tutto il Vicino Oriente. Poveretti, l’ultimo tentativo di rivincita coloniale l’hanno tentato nel 1956, con la guerra anglo-francese-israeliana per il canale di Suez. Ma ormai il padrone del mondo era un’altro, che astutamente ha fatto sì che la vecchia Europa si dilianasse dal suo interno, riducendosi ad un condominio russo-americano. Ed i sionisti - prima e dopo Balfour - in tutta questa storia non c’entrano nulla? Non lo si può dire...
Or dunque, fatto sta che gli inglesi con il loro Mandato giocarono sporco, ma sporco assai, preparando di fatto quello “stato ebraico” che poi diede loro il classico calcio dell’asino, per passare a nuovo padrone: gli Usa, dove una forte Lobby ebraica è in grado di influenzare e condizionare la “politica estera americana” non meno di come la Lobby nostrana è in grado di determinare la “politica estera italiana”, dimostrandolo proprio l’altro ieri, in una sala a ridosso di palazzo Montecitorio, dove il ministro degli esteri, se ancora ve ne era bisogno, ha dimostrato anche ai ciechi di essere uno di loro: non diversamente da quella funzione di terzietà che pretendeva di avere, per gli ingenui e i fessi, l’Alto Commissario inglese nel Mandato britannico di Palestina!
E qui ci fermiamo, per non rischiare di dover scrivere un libro di storia, l’ennesimo libro di storia sulla Palestina. Le mie conoscenze al riguardo sono quelle che ricavo dai libri esistenti e dalla mia capacità di interpretazione critica. Le mie ultime letture mi portano a riflettere che la «Pulizia etnica della Palestina» non è da collocare nel 1948, come si può apprendere dal libro ormai fondamentale di Ilan Pappe a questo riguardo. Ma inizia molto prima ed è implicita nell’idea stessa di sionismo, che per davvero è una forma di “razzismo” oltre che di colonialismo, come si disse in Durban I. Che poi questa dichiarazione stata stata fatta ritirare nulla toglie alla sua “verità”. Anzi, ne dà ulteriore conferma nella misura in cui si riesce a ricostruire la storia delle pressioni, dei maneggi, dei ricatti, di tutto ciò che avvenne dietro le quinte per far ritirare il riconoscimento di una verità che resta tale.
Appare come un segno della provvidenza, a 12 giorni esatti dalla “verità” interpretata dalla Israel Lobby del Tempio di Adriano, un ben diverso «momento di verità», contenuto in un documento sinodale redatto in tredici lingue e disponibile da oggi sulla rete, dove i cristiani di Palestina lanciano un grido di dolore al mondo intero... Un grido che la gli agenti della Lobby già cercano di silenziare, ma su cui passiamo oltre: di costoro meno si parla, è meglio è. Almeno finchè non vengano ripristinati per tutti, in modo eguale, i diritti costituzionali di libertà di pensiero e di espressione. È allucinante il lavaggio del cervello che si annuncia come sostitutivo del carcere. Il documento sinodale tuttavia non lascia scampo davanti all’oggettività dei fatti e alla larga gamma di misure repressive e di occultamento davanti ad una violenza chiara e manifesta, che dura da oltre un secolo e che tenta di nascondersi nelle pieghe di ogni evento che la storia produce.
Su “Kairos” è in corso in queste ore una ridda di smentite diplomatiche, dopo che un’agenzia, la Misna, ha riferito di pressioni di Israele sulla Santa Sede per mettere a tacere gli autori del documento sinodale. Naturalmente, noi sappiamo e chi credere e di cosa sia capace Israele, per il quale diritto, giustizia e verità hanno un’accezione tutta propria. Ma ecco una dichiarazione di don Nandino Capovilla:
…Con così tante pubblicazioni sul Medio Oriente in circolazione, perché ‘Kairos Palestina’ dà così fastidio? «E’ facile stampare pubblicazioni, parlare sempre e non turbare nessuno - ha detto ieri don Nandino - perché si cerca di far finta di non vedere la realtà e soprattutto di non udire il grido disperato dei palestinesi. ‘Kairos Palestina’ dà fastidio perché ha costituito un momento di verità. Perché quando questa parola, la parola ‘verità’, viene usata per indicare la realtà dell’occupazione militare israeliana che dura da 60 anni, allora essa immediatamente non si può usare».Verità, verità, verità... questa parola è tanto contesa in questi giorni. Ma nel corso di oltre un secolo, dal 1882, anno del primo insediamento coloniale sionista, in poi, ha avuto tanti volti e tante versioni. Il 7 ottobre la Signora Fiamma Nirenstein ha presentato uno show “Per la verità, per Israele”. Da Gaza Vittorio Arrigoni ha mandato un video-verità al suo coetaneo Saviano, mobilitato come una star di grido alla manifestazione sionista del Tempio di Adriano. Ed in ultimo arriva, il 19 ottobre, “Un momento di verità”, in un mare di informazione controllata da Israele, che ancora una volta ha usato i suoi noti mezzi di pressione. È difficile capire dove sta la Verità? Qual è la nostra Verità? E soprattutto qual è la nostra posizione davanti ad essa?
È divertente notare come abbia concorso allo show del Tempio di Adriano anche l’«ateo devoto» Giuliano Ferrara, per il quale chiaramente la Chiesa ha un suo pregio in quanto possa essere rivolta in funzione antislamica e pro Israel. È rivelatore un pezzo di oggi, dove fa scendere in campo il rabbino Rosen, che come già Pacifici con lo stato italiano, pretende di dettare lui cosa la Chiesa può fare, anzi cosa le “conviene” fare, adottando un linguaggio mercantile là dove normalmente si parla di fede e devozione. Infatti, ogni modesto fedele cattolico – ma non l’opportunista “ateo devoto” – sa che la Santa Sede ovvero lo Stato Vaticano non sono la Chiesa, di cui fanno parte tutti i fedeli cristiani del mondo, anche quelli di Palestina o di Israele, i cui numeri e la cui storia hanno una ben diversa spiegazione da quella fatta passare dalla propaganda israeliana. Numeri e “convenienze” in ogni caso sono ininfluenti rispetto a questioni di giustizia, umanità, carità.
Anche se occorre turarsi il naso, siamo tuttavia giunti alla conclusione che sia opportuno un costante monitoraggio della propaganda sionista ed un osservatorio sui modi, i tempi e gli uomini con cui la Israel Lobby agisce sui nostri governi e sulle istituzioni, agendo per un verso con la mistificazione e con l’altro con l’intimidazione, il ricatto, la violenza. È utile sapere chi sta con chi contro chi. Lo studio e l’analisi consentono di capire dove sta l’inganno ed è sempre più facile in una realtà come quella palestinese e mediorientale, afflitta di oltre un secolo di indubbia oppressione coloniale, che niente può giustificare. È divertente l’imbarazzo che qui traspare da parte dell’«ateo devoto» Giuliano Ferrara, che sembra dover operare una scelta fra Roma e Tel Aviv, non già Gerusalemme cosa il cui nome avrebbe già delle implicazioni e indicherebbe uno schieramento. Si può ben dire che a due settimane dal tentativo propagandistico della Nirenstein, che parla perfino di “negazionismo” sinodale (!), esce forte e chiara la risposta del vescovi. Si chiede la fine all’occupazione israeliana, si invita l’ONU a far rispettare le sue risoluzione ed in primis quella che riconosce il ritorno dei profughi dal 1948 in poi. Forse si apre una nuova epoca e le azioni delle lobbies possono essere contrastate non da un manipolo di persone, ma da ogni coscienza libera, informata e capace di discernere gli inganni e le menzogne.
Anche se non dismettiamo il nostro monitoraggio della propaganda sionista, sempre più avvelenat e ipocrita, non ci soffermiamo su di essa. Basta soltanto rilevare come costoro si erano ormai abituati all’idea di una “chiesa universale” prona ai diktat del sionismo e delle diaspore, che ormai hanno pienamente di essere agenzie sioniste, portandone quindi tutta la responsabilità. È di una scandalosa e inaudita arroganza la pretesa di stabilire ciò che il papa e la Chiesa possano o non possano dire. Altrettanto scandaloso e irritante il sommo disprezzo per i fedeli cattolici, intesi come “pecore” o “bestiame” che può essere condotto dove si vuole, se appena ci si è lavorato i vertici, i “capi”. Pretendono costoro di riformare loro la dogmatica cattolica di duemila anni e di dire loro cosa i “goym” debbono correttamente credere o non credere! Naturalmente, non vale il reciproco: ché sarebbe “antisemitismo”! È una costante assoluta del lobbismo sionista quella di lavorare sui singoli, facendo loro giungere pressioni dai “superiori”, sui quali si esercitano recondite pressioni, qui - ad esempio – valutazioni mercantili di convenienza circa le sorti del cristianesimo in Medio Oriente da anteporre a semplici ed immocolate valutazioni spontanee di giustizia, umanità, pietà. Il “fedele” cattolico è inteso come un cliente nel supermarket delle religioni e della fede. Da anni viene condotta una propaganda volta a mettere tutto il cristianesimo in uno scontro frontale contro l’Islam: un miliardo nominale di cattolici contro un altro miliardo di islamici, spinti l’uno contro l’altro dal “fratello maggiore”. Un prelato ha però ben detto: la chiesa cattolica non è “minoranza” in Medio Oriente, ma è una parte della Chiesa universale che si trova in quei luoghi. E così sarebbe anche se vi rimanesse una sola persona. È un bellissimo concetto di teologia politica che si contrappone alla logica materialistica dei numeri. Vi è infine da augurarsi che il “momento di verità” che si è rischiarato sul Medio Oriente segni una svolta permanente nella politica religiosa della Chiesa cattolica. Ci troviamo davvero davanti ad una «svolta storica», come si legge nel messaggio conclusivo del Sinodo? Se così sarà – e ce lo auguriamo –, le conseguenze andranno molto più in là dell’ambito strettamente religioso.
Non è ancora trascorso il mese di ottobre, iniziato con una “verità” tutta israeliana, a suo uso e consumo, che ben altro verità si aggiunge ancora: quella della carovano VivaPalestina5, che per via terra ha voluto raggiungere con difficoltà e resistenze enorme il Lager di Gaza, dove si rinnovano e superano quegli orrori che si pretende siano confinati in un passato sempre più remoto e sempre più mistificato. È difficile trovare parole per esprimere la sensazione provata dai pacifisti entrati in Gaza. Forse le più adeguate sono queste: «Quando la libertà si restringe in un posto del mondo, la libertà di tutto il mondo un poco si restringe, per questo ho deciso di unirmi al convoglio». Ed è proprio così! Ma qui si può leggere una cronaca aggiornata del convoglio VivaPalestina5, l’altra verità che non trova spazio sui nostri media sionisti. È come se tutti noi fossimo rinchiusi nella prigione di Gaza. Noi patiamo nei nostri paesi la stessa oppressione, la stessa sofferenza dei palestinesi. Addirittura forse una sofferenza maggiore nella misura in cui si può dire che viene sovvertita la nostra coscienza morale, piegata la nostra autonoma capacità di giudizio, vilipesa la nostra volontà, corrotto il nostro cuore, la nostra spontanea inclinazione al sentimento di equità e pietà. È la potenza della propaganda per un verso e l’occultamento della realtà tangibile per l’altro ciò che ci impedisce la generale comprensione della nostra quotidianità e della nostra epoca. Non siamo soggetti di diritto, ma di noi si dispone come meglio si crede e come ad altri torna utile. I popoli d’Europa e del Vicino Oriente soffrono di un’identica oppressione.
Per concludere, pare indubbio che nel caso di “Israele” si tratti dell’ultimo residuo di avventura coloniale in un mondo che ha rigorosamente respinto tutta l’esperienza storica del colonialismo e del razzismo in esso implicito, impersonato in primo luogo da Inghilterra, Francia, USA. Contro questo residuo odierno di razzismo e colonialismo siamo chiamati ad esprimere il nostro giudizio morale di uomini liberi. È probabile che politicamente saremo sconfitti dalla Israel lobby che si è rivelata l’altra giorno al Tempio di Adriano, ma la nostra forza è tutta nella nostra capacità di resistenza, mantendoci dentro la massima evangelica del “sia il vostro dire: si si no no”.
Per questo propongo alla nave italiana che salperà per Gaza, in nome del popolo italiano, di portare con sé una grande scritta, visibile da lontano, dove si possa leggere a caratteri cubitali:
1 commento:
MI attirerò delle ire , lo so , ma oltre alla posizione filo-israeliane e la posizione anti non è possibile una via di mezzo?
Mi spiego meglio , che ci sia stata lo sterminio degli Ebrei da parte dei Nazisti o meno a i Palestinesi di Gaza non interessa , come è giusto.
Neanche a noi deve interessare , pensiamo pure al passato , interpretiamolo e capiamolo per capire cosa succede, ma è il qui ed ora che è da modificare.
Poi , magari un giorno , se l'Iran diventerà la potenza egemone della zona , come pare abbastanza inevitabile , saremo noi a fare i difensori dei tapini di turno.
D'altro canto chi sta seminando vento come gli Americani e gli Israeliani alla fine raccoglierà tempesta.
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