lunedì 16 febbraio 2009

Teodoro Klitsche de la Grange: Chi è custode della costituzione?

1. La polemica sulla costituzione. – Nella polemica sulla Costituzione, seguita alla (abortita) decretazione d’urgenza nel caso Englaro, gran parte della sinistra è saltata su – senza spiegare (come spesso succede) quel che sostiene – a gridare che Berlusconi sta attentando alla Costituzione. Questo perché l’opinione di Berlusconi è differente da quella di Napolitano. S’è visto anche qualcuno, particolarmente in difficoltà con grammatica, sintassi (e quant’altro) dire che il premier sta sfasciando le istituzioni. Cui è lapalissiano rispondere che anche il governo è un’istituzione e quindi o il Berlusconi è masochista (un Tafazzi di centrodestra) oppure in un conflitto di attribuzioni è chiaro che uno dei poteri (o enti o organi) in contesa deve aumentare o perdere parte delle proprie competenze in contestazione. Ma si tratta comunque di una istituzione che acquisisce (o meno) funzioni e non del crollo dell’intera impalcatura, come si vuole far credere, a cominciare dal Presidente della Repubblica per finire a quello della Val d’Aosta.


Ma più che ricordare Lapalice certe esternazioni sono altrettanto evidentemente frutto di spirito partigiano, quello spirito che tanto permea di se la sinistra italiana; intendendo per “partigiano” non un combattente della resistenza, ma proprio com’è definito nel dizionario: un uomo di parte, che non riesce ad afferrare il senso dell’unità, perché perseguendo il proprio fine di diventare, come scriveva Dante, un Marcello (cioè occupare del potere per se e i propri seguaci) fa si che in ogni occasione “parteggiando viene”.

E tale partigianeria si ravviva quando le uscite del governo toccano quelle istituzioni che la sinistra considera a se vicine: la Presidenza della Repubblica e la magistratura (questa neanche tutta e del tutto). Per cui certe reazioni esagerate si rivelano un tentativo di mantenere il potere conquistato in posti e funzioni: cioè in quelle casematte da Gramsci ritenute già quasi un secolo fa, essenziali per la conquista (e la conservazione) dell’egemonia in una società occidentale.

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2. Il custode della costituzione. – Ma il più sorprendente in tale polemica è che nessuno abbia notato come la difesa del Presidente della Repubblica, presentato come primo magistrato, supremo regolatore, custode della Costituzione, sia proprio quella che alcuni dei referenti culturali “storici” di questa sinistra senescente, rifiutavano decisamente.

Ad esempio Hans Kelsen, criticando la tesi di Carl Schmitt il quale sosteneva che “custode della Costituzione” nella Germania di Weimar era il Presidente del Reich, scriveva che questa concezione era un residuo di quella monarchico-costituzionale basata sulla “finzione di notevole audacia” che il monarca sia “titolare di un potere neutrale”. Mentre, secondo Kelsen, tale non era perché secondo quella dottrina “il monarca è, in effetti, l’unico, perché il supremo, organo che esercita il potere statale e, in particolare, è anche titolare del potere legislativo”: non era super partes, ma parte in causa. Per cui passando alla situazione di Weimar scriveva: “Che Schmitt ritenga di poter senz’altro applicare la tesi ideologica del pouvoir neutre del monarca costituzionale al capo dello stato di una repubblica democratica eletto sotto la pressione dei partiti politici è assai strano anche perché, all’occorrenza, egli vede chiaramente le circostanze reali che rendono trasparente il carattere ideologico della dottrina costituzionale del monarca custode della costituzione”. E non aveva tutti i torti. Infatti se il Presidente della Repubblica è elettivo non è, giocoforza, “neutro” rispetto alle forze politiche (lo è sicuramente meno di un re ereditario); e ancor meno lo è, ad avviso di chi scrive, se viene eletto non dal corpo elettorale (come nella Repubblica di Weimar, negli U.S.A., in Francia, ecc. ecc.) ma dal Parlamento suddiviso in partiti, per cui diviene l’espressione della coalizione di partiti maggioritaria al momento. Cosa che, tra l’altro, è capitata proprio per l’attuale Presidente, eletto da una (risicata ed effimera) maggioranza parlamentare di centrosinistra nella legislatura più breve della repubblica, tra due legislature caratterizzate da straripanti maggioranze di centrodestra; e peraltro - dato l’esito delle elezioni del 2006 con il centrosinistra in maggioranza di suffragi popolari in una Camera e il centrodestra nell’altra - probabilmente in minoranza nel corpo elettorale, anche al momento della sua elezione.

Quindi a ratione majus valgono per l’attuale Presidente della Repubblica gli argomenti di Kelsen, sopra ricordati. Onde valutare tuttavia la contrapposta tesi di Schmitt occorre premettere che i due grandi giuristi, com’è noto, partono da concezioni diverse della Costituzione: onde se è diverso il custodito lo deve essere anche il custode. Secondo Carl Schmitt “un concetto di costituzione è possibile soltanto se costituzione e legge costituzionale vengono distinte. Non è ammissibile lo scomporre la costituzione prima in una molteplicità di singole leggi costituzionali e poi definire la legge costituzionale per qualche contrassegno esteriore o addirittura a seconda del metodo della sua revisione” e “l’atto della legislazione costituzionale in quanto tale non contiene determinate singole normative, ma definisce con una sola decisione il complesso dell’unità politica rispetto alla sua forma speciale di esistenza. Questo atto costituisce la forma e la specie dell’unità politica, la cui esistenza è presupposta. Non è che l’unità politica si forma proprio perché «è data una costituzione». La costituzione in senso positivo contiene soltanto la determinazione consapevole della forma speciale complessiva, per la quale l’unità politica si decide” per cui “la costituzione vige in forza della volontà politica esistente di chi la pone. Ogni specie di normazione giuridica, anche la normazione legislativo-costituzionale, presuppone come esistente una simile volontà” mentre le “leggi costituzionali , invece, hanno vigenza proprio sulla base di una costituzione e presuppongono una costituzione”, perciò “prima di ogni normazione c’è una decisione politica fondamentale del titolare del potere costituente, cioè in una democrazia del popolo, nella monarchia pure del monarca”.

Queste decisioni politiche fondamentali sono, prosegue Schmitt, quelle per la democrazia, la repubblica, l’ordinamento federale, lo Stato (borghese) di diritto e così via. Per cui “tutto quello che c’è all’interno del Reich tedesco nella legalità e nella normatività, vale soltanto sulla base e nell’ambito di queste decisioni. Esse formano la sostanza della Costituzione”.

È chiaro che se costituzione, come sostiene Schmitt, è la forma e l’esistenza politica (per la verità questa presupposto della costituzione) con i caratteri democratico, federale, repubblicano (e quant’altro) il custode della Costituzione (così inteso) può essere solo chi disponga sia di consenso, che di esercito, polizia, cannoni, questi “bei pezzi di Costituzione” come scriveva Ferdinand Lassalle. Giudici, avvocati e carte bollate sono altrettanto inidonei a difenderla che le supposte contro il terremoto. Ove invece s’intenda per costituzione (un insieme) di norme “primarie” ovvero le cui disposizioni sono cogenti e inderogabili da quelle “gerarchicamente” sottordinate è chiaro che la garanzia dell’osservanza delle prime da parte delle seconde sia affidata a un organo giurisdizionale. Con l’avvertenza che questo è altrettanto inidoneo a difendere le decisioni fondamentali “che fissano la forma dell’esistenza politica del popolo” quanto è adatto a verificare la validità delle norme secondarie rispetto a quelle primarie.

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3. La difesa della costituzione. – È il caso di esaminare la contrapposta tesi di Schmitt che difendere la Costituzione sia compito del potere politico, nello specifico (per Weimar) del Presidente del Reich. Com’è noto Schmitt riprende la teoria del “pouvoir neutre” di Benjamin Constant. L’autorità del Presidente del Reich (come – in genere – del re nelle costituzioni monarchiche del XIX secolo) è “mediatrice, tutelatrice e regolatrice e soltanto in caso di necessità attiva” e prosegue “giacché essa non deve concorrere con gli altri poteri nel senso di un’espansione del suo proprio potere e deve essere nella sua normale applicazione discreta e non assillante. Tuttavia essa esiste e almeno nel sistema di uno Stato di diritto che tenga distinti i poteri è ineliminabile”. E’ da ricordare a tale proposito che Constant in due degli scritti in cui tratta del potere neutro, ossia del potere reale insiste sui suoi caratteri di forza “preservatrice, riparatrice senza essere ostile”; precedentemente aveva sottolineato i vantaggi di un potere che controlla e “sanziona” (gli altri) senza la necessità di perseguirli penalmente. Cioè relativizzando e raffreddando il conflitto politico, che evita l’“alternativa tra il potere e il patibolo”.

In uno Stato borghese di diritto, basato sulla distinzione dei poteri è necessario che vi sia un’autorità in grado di dirimerne i conflitti o evitare le “impasse” costituzionali. Ancor più nello Stato contemporaneo (del XX secolo) in cui il Parlamento è il “teatro di un sistema pluralista” e ha cambiato senso (o è del tutto venuta meno) la distinzione tra Stato e società, base del costituzionalismo del XIX secolo: Lo Stato è divenuto l’autorganizzazione della società. Dopo di ciò che esista un custode indipendente dagli altri poteri è ancor più necessario. Ma perché il custode abbia senso, è necessario un nuovo fondamento, perché “L’indipendenza è il presupposto fondamentale e tutti i progetti di un custode della costituzione si basano sull’idea di creare un’istanza indipendente e neutrale”. E un Presidente eletto non è al di sopra della lotta politico-partitica come un monarca ereditario. La soluzione secondo Schmitt era data dal carattere democratico-plebiscitario del Presidente, scelto dal corpo elettorale: “Il Presidente del Reich sta al punto centrale di un intero sistema di neutralità politico-partitica e di indipendenza, costruito su un presupposto plebiscitario”. Le competenze del Presidente “hanno il senso di creare una posizione partiticamente neutrale, a causa della sua connessione immediata con la totalità statale, la quale in quanto tale è il difensore designato e il custode delle condizioni costituzionali e del funzionamento costituzionale delle più alte istanze del Reich e per il caso d’emergenza è munita di poteri efficaci per una difesa attiva della costituzione”. Così “ la costituzione vigente del Reich cerca di ricavare proprio dal principio democratico un contrappeso al pluralismo dei gruppi di potere sociale ed economico e di difendere l’unità del popolo come totalità politica”.

La concezione di Schmitt si sostiene, chiaramente, sul rapporto tra due unità. L’unità del popolo (uno) che esprime plebiscitoriamente il Capo dello Stato. Le attribuzioni, assai rilevanti, del presidente del Reich, ben più estese e importanti di quelle del nostro Presidente della repubblica sono un argomento, indubbiamente di rilievo, ma comunque secondario rispetto all’unità del popolo che è contrapposto a pluralismo, policrazia e articolazioni di potere ed organi dello Stato di diritto. Di fronte al quale il Presidente responsabile verso il corpo elettorale e cioè verso (l’organo rappresentativo) del popolo si contrappone alle decisioni (e ai conflitti) che possono attentare l’unità, l’esistenza politica e la forma dello Stato.

È chiaro che al Presidente della Repubblica italiana mancano le competenze che facevano del Presidente del Reich un credibile custode della Costituzione. In primo luogo quella sullo stato d’eccezione, di cui all’art. 48 della Costituzione di Weimar, e che in Italia delle anime belle, forse pensando di eliminare dalla realtà le (situazioni di) emergenza hanno cominciato con toglierla dal testo della Costituzione. Onde se un’emergenza si concretizza, non ci resta, per fronteggiarla, ricorrere alla teoria della necessità come fonte di diritto, formulata da Santi Romano. Pochi hanno tratto le debite conseguenze dal fatto che il potere di nominare il Presidente del Consiglio è stato dimezzato con l’indicazione del candidato premier sulla scheda elettorale. Quanto alle altre competenze del Capo dello Stato, importanti, ma tutt’altro che decisive, costituiscono (in parte) un residuato di prerogative “storiche” del monarca (come la grazia, il potere di nomina di funzionari o il comando delle forze armate) in parte sono strettamente vincolate (indire le elezioni o i referendum) in altro, di fatto esercitate quasi mai: quel che di comune hanno tutte, anche quelle non riconducibili alle tre categorie testé ricordate, è che, in concreto, non consentono di esercitare, volendo, quella funzione di neutralità attiva che Schmitt indicava.

Ma, al fine di escluderla, è più importante l’elezione parlamentare del Presidente: quale indipendenza può avere dal Parlamento, dalle coalizioni di partiti (e dalla “rappresentanze d’interessi” che nel Parlamento trovano brodo di cultura e attenzione costante) un Presidente che di quel teatro (o teatrino) è l’espressione o la conseguenza?

Come scriveva Schmitt “è di notevole importanza che tanto l’indipendenza dell’impiegato professionale quanto l’indipendenza del deputato parlamentare ed infine anche la posizione del Capo dello Stato, protetta con speciali privilegi e con una destituzione aggravata, sia assai strettamente legata con la rappresentazione della totalità dell’unità politica”: in effetti non potendoci essere un’ “indipendenza” nel senso di una depolitizzazione e neanche nel senso di una superiorità che sottragga del tutto la nomina del Presidente al placet delle fazioni in lotta, l’unico modo per salvaguardarla, almeno in parte, è far si che il Presidente venga eletto (e sia responsabile) nei confronti del corpo elettorale. Per cui le fazioni vengano stemperate nel corpo elettorale e non concordino tra loro, come nel sistema dell’elezione parlamentare, il Presidente eligendo. In questo senso, minore, il Presidente plebiscitato è garanzia d’indipendenza, comunque superiore a quello che può offrire un Presidente eletto dal Parlamento.

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4. Il ruolo della Corte Costituzionale. – Quel che bisogna escludere è che il “custode” della Costituzione possa essere la Corte costituzionale. Non solo perché, a prescindere da considerazioni di dottrina dello stato - in particolare relative al “presupposto” immediato della Costituzione, cioè (l’esistenza) del potere costituente - il potere di revisione consente di introdurre modifiche anche importanti alla Costituzione (per cui la Corte si trova, in caso d’esercizio giuridicamente corretto del potere di revisione, nella stessa condizione del giudice ordinario rispetto al legislatore); ma ancor più perché è idonea, come detto, solo a garantire contro le violazioni di norme (leggi) costituzionali. Basta leggere i dispositivi di quasi tutte le sentenze della Corte. Oltretutto, tenendo presente che l’ipertrofia legislativa ha fatto si che si promulghino con legge disposizioni che in altri ordinamenti sono affidate a regolamenti, provvedimenti ad efficacia generale (o meno) o più semplicemente, lasciate all’autonomia privata.

Ad esempio possiamo ricordare che la Corte si è occupata del “diritto di precedenza dei lavoratori stagionali nelle assunzioni presso la medesima azienda e con la medesima qualifica” (Corte Cost., 04/03/2008, n. 44): ovvero dei requisiti del personale dei gruppi consiliari della Regione Abruzzo: “È incostituzionale l’art. 1, 22º comma l.reg. Abruzzo 8 giugno 2006 n. 16, nella parte in cui, abrogando le parole «in possesso dei requisiti per l’accesso alla categoria D» nell’art. 6, 3º comma, l.reg. Abruzzo 9 maggio 2001 n. 18, prescinde, per l’assegnazione della qualifica di responsabile delle segreterie dei gruppi consiliari e con riguardo ai soggetti esterni all’amministrazione, dal possesso dei suddetti requisiti, richiesti invece per i dipendenti interni” (Corte cost., 21/02/2008, n. 27), del registro regionale (marchigiano) degli amministratori di condominio “Sono incostituzionali gli art. 2, 1º comma, e 3, 1º e 3º comma, l.reg. Marche 9 dicembre 2005 n. 28, nella parte in cui prevedono l’istituzione, presso la struttura competente della giunta regionale, del registro regionale degli amministratori di condominio e di immobili in cui possono iscriversi coloro che siano in possesso di determinati requisiti professionali” (Corte cost., 02/03/2007, n. 57) e del personale in esubero da inserire nei ruoli del S.S.N. (regione Marche): “Sono incostituzionali gli art. 1, 2 e 3 l.reg. Marche 24 febbraio 2004 n. 4, nella parte in cui disciplinano l’inserimento nei ruoli del ssn del personale, già assunto con contratto a tempo indeterminato da unità operative o strutture sanitarie private, che risulti in esubero a seguito dei processi di riconversione o disattivazione o soppressione delle predette unità e strutture” (Corte cost., 10/05/2005, n. 190).

E così via: quanto sopra citato è una minima parte della minutaglia che costituisce il lavoro quotidiano della Corte Costituzionale.

Viene naturale la domanda: cos’ha di costituzionale il registro degli amministratori di condominio o gli esuberi del personale delle cliniche marchigiane (e così via)? È chiaro che la ragione di tanto lavoro è soltanto la presenza nel testo della Costituzione di molte norme che hanno il carattere (e la forza) di legge costituzionale, ma “costituiscono” poco o niente.

E il ragionamento si può fare anche partendo dall’altro corno del dilemma: quante sono le sentenze della Corte in cui ci si occupa delle decisioni politiche fondamentali (nel senso di “costituire” le forme e il tipo dell’unità politica)? Praticamente (quasi) nessuna. Più si sale verso il fondamento, il nocciolo duro della forma politica, più gli interventi della Corte Costituzionale si rarefanno: ad avvicinarsi, e nemmeno tanto, all’Empireo, cessano del tutto.

E se poi si va a vedere quello che la Corte può fare in caso di reale pericolo per la costituzione, non si può che sorridere: non si fermano con le sentenze o gli ufficiali giudiziari golpe o rivoluzioni. Gli uni e gli altri si possono arrestare con quei “bei pezzi di costituzione” che sono i reparti di polizia e militari. Così la Corte serve di più laddove il suo intervento è meno importante e decisivo. Il che non significa non apprezzarne la funzione: di grande utilità, data la frenesia d’iperlegislazione che possiede (nel senso demoniaco) lo Stato “sociale”; ma non è il caso di aspettarsi da essa quel che non può dare, e che molte anime belle credono che possa. Mentre invece, per tali aspettative finisce con l’essere come la natura di Leopardi: che “non rende poi ciò che promette allor” o che le anime belle credono che abbia promesso. Né, anche se è più vicino alla difesa della costituzione nel senso precisato, è granché rilevante la competenza della Corte a decidere dei conflitti di attribuzione tra “poteri dello Stato” o tra Stato e regioni (o tra regioni). Infatti essendo limitata (in senso oggettivo) alla tutela “della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali”, non ricomprende né quei conflitti che nascono dall’applicazione di norme di legge ordinaria, né quelli (e sarebbero i più importanti e decisivi) originati da disposizioni non esternate nella Costituzione.

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5. Il concetto di costituzione. – La distinzione di Schmitt tra costituzione e leggi costituzionali è “doppiata” da quella tra istituzione e norme e dalla concezione che vede in quella e non in queste l’essenza del diritto; onde, come scriveva Santi Romano “ai tratti essenziali di un ordinamento giuridico le norme conferiscono quasi per riflesso: esse, almeno alcune, possono anche variare senza che quei tratti si mutino, e, molto spesso, la sostituzione di certe norme con altre è piuttosto l’effetto anziché la causa di una modificazione sostanziale dell’ordinamento”, e sempre a seguire il Romano “Costituzione in senso materiale e diritto costituzionale sono espressioni equivalenti. Costituzione, infatti, significa, come si è detto, assetto o ordinamento che determina la posizione, in sé e per sé e nei reciproci rapporti che ne derivano, dei vari elementi dello Stato e, quindi, il suo funzionamento, l’attività, la linea di condotta per lo stesso Stato e per coloro che ne fanno parte o ne dipendono” onde “Il diritto costituzionale è perciò, come si vedrà meglio più avanti, il diritto che segna la stessa esistenza dello Stato, il quale comincia ad aver vita solo quando ha una qualche costituzione; gli dà una forma e, per dir così, una determinata fisionomia”; e dato che “Ogni Stato è per definizione, come si vedrà meglio, in seguito, un ordinamento giuridico, e non si può immaginare, quindi, in nessuna sua forma fuori del diritto”, il “diritto costituzionale (cioè la costituzione in senso materiale N.d.R.) può in breve definirsi l’ordinamento supremo dello Stato”.

Ove si parta dalla concezione istituzionista del diritto nella formulazione di Santi Romano è chiaro che la costituzione non è l’insieme delle norme ordinate nel testo costituzionale, e che quindi il custode della costituzione non è il giudice che esamina, ed eventualmente annulla le disposizioni legislative contrarie alla normativa costituzionale, ma è chi garantisce che l’assetto, la posizione e i rapporti tra i vari elementi dello Stato permangano in un tutto ordinato. A questa totalità ordinata aggiunge o toglie poco – in misura quindi da non compromettere l’ordine – che singole norme siano violate: tant’è che nessuna delle tante leggi annullate dalla nostra Corte ha mai provocato una “crisi costituzionale” (e neppure una modifica) cui il giudice costituzionale abbia rimediato. Di converso importanti cambiamenti della costituzione materiale sono seguiti a disposizioni legislative (neppure contrarie a norme costituzionali): in particolare alle leggi elettorali maggioritarie che dal ’94 hanno (ripetutamente) cambiato il sistema per l’elezione del Parlamento. Proprio perché queste incidevano sui rapporti tra i massimi organi dello Stato e all’interno (e sulla formazione) dei medesimi. Le norme, come le pedine della scacchiera (v. sopra) sono mosse e non muovono.

In definitiva alle concezioni di Schmitt e Romano si può accostare quella di Hobbes sulla distinzione tra leggi fondamentali e non fondamentali.

Thomas Hobbes dopo aver confessato di non aver letto in nessuno scrittore cosa significhi “una legge fondamentale” (il che vuol dire – anche – di non aver letto alcuna “definizione normativa” della stessa) sicchè, in assenza di scriptura, ne da una definizione di ratio : la legge fondamentale è quella “la quale se è tolta, lo Stato viene meno e si dissolve del tutto”, mentre non fondamentale è la legge “che se abrogata, non porta con se la dissoluzione dello Stato”. La quale può adattarsi, mutatis mutandis, alla distinzione tra ciò che è costituzione e ciò che è legge costituzionale: alla prima pertiene ciò che essenziale perché vi sia la costituzione di una specifica forma di Stato e di governo; all’altra quanto essenziale non è. E conferma l’insufficienza di pervenire a una definizione di costituzione partendo da un criterio procedurale ossia come ciò che è modificabile solo col procedimento di revisione costituzionale; il che è il contrario di gran parte delle tante definizioni date in qualche millennio di pensiero occidentale, a partire dalla Politica di Aristotele, le quali connotano e denotano il concetto in base a caratteri propri e all’estensione del medesimo (tipica la notissima definizione della Stagirita “la costituzione è l’ordinamento delle cariche in uno Stato, in che modo sono distribuite, qual è il potere sovrano della costituzione, quale il fine di ogni comunità”, al quale dobbiamo anche la distinzione tra costituzione e leggi – Politica IV, 1, 1289a).

Col risultato che il “criterio della revisione” ci dice solo ciò che è soggetto alla procedura di revisione e non ciò che è costituzionale.

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6. Potere costituente e potere costituito. – Se si va poi a individuare chi è il custode della Costituzione, occorre partire da un’altra distinzione, che dobbiamo a Sieyés: quella tra potere costituente e potere costituito. Perché è chiaro che al potere costituente, non foss’altro perché può annullare, abrogare, cambiare la costituzione, pertiene anche la funzione – minore – di custodirla.

Il problema quindi si pone se la custodia venga conferita a un potere costituito, e ove lo stesso non sia anche costituente (come si riteneva per le monarchie assolute, anche se fino al XVIII secolo non vi era consapevolezza del concetto di potere costituente).

La costituzioni che prevedono un custode della Costituzione, indicano anche i casi in cui si attiva la delimitazione delle competenze e dei poteri dell’organo costituito che esercita la funzione; e, in genere, tali disposizioni trattano in un unico contesto difesa dello Stato (da un’aggressione esterna o interna), difesa della costituzione, misure per fronteggiare eventi eccezionali (naturali o anche economici): onde la materia tende a confondersi con la disciplina dello stato d’emergenza.

In questo senso – di difesa dell’assetto e distribuzione dei poteri, e in particolare di quello sovrano, e dei fini della comunità politica – nella costituzione italiana vigente non c’è alcuna indicazione sull’organo costituito a ciò deputato. Solo la Corte costituzionale, nel caso decida su conflitti d’attribuzione, esercita un potere riconducibile (anche se assai limitato) a parte di quanto può sussumersi al concetto di “custodia della Costituzione”. Resta da vedere se da considerazioni non “letterali”, ma logico-sistematiche si possa identificare l’organo a ciò deputato.

In effetti l’unico organo che potrebbe essere (e fino ad un certo punto) un credibile ed efficace custode della Costituzione è il governo sia perché ha la disponibilità di quei bei “pezzi di costituzione” (quali sono le forze armate e quelle di polizia) sia per il carattere, ormai plebiscitario (di “fatto”) della sua designazione, e delle correlative responsabilità di fronte al corpo elettorale; sia per l’attribuzione costituzionale (art. 77) del potere di decretazione d’urgenza. È chiaro però che, diversamente da altre costituzioni, quella italiana non consente misure di sospensione dei diritti costituzionali, né, attraverso il controllo parlamentare della decretazione d’urgenza, un esercizio completamente autonomo di una simile funzione.

Dato però che questa rientra nelle funzioni naturali dell’istituzione statale (come tutto ciò che attiene all’essenza del politico), in particolare alle decisioni fondamentali per l’esistenza – che comporta che esista un ordine e una (capacità di) azione comunitaria – quello di custodia della costituzione è una funzione che non ha bisogno di una norma perché esista (e sia esercitabile): dipende dalla natura delle cose e non dalla scrittura dei documenti costituzionali. È riconducibile alla saggezza politica romana (salus rei publicae suprema lex) e tra i tanti giuristi che se ne sono occupati, basti ricordare Santi Romano e la sua teoria della necessità come fonte di diritto: che esiste anche se nessuna norma la prevede. E se anche la costituzione vigente non la disciplina, questo non significa che non esiste, ma solo che l’attuale costituzione è (anche in questo) carente.

Quello che sicuramente manca, è l’attribuzione a un organo: ma nel silenzio non rimane che ritenere la difesa della Costituzione conferita a una pluralità di organi e poteri, tutti aventi carattere rappresentativo esplicito (il Presidente della Repubblica e il Parlamento) o implicito (il Governo): onde la custodia della Costituzione appartiene a tutti, secondo le rispettive competenze conferite dalla Costituzione. Per cui a un decreto-legge emanato a quel fine concorrono il Governo che lo delibera (e lo esegue), il Capo dello Stato che lo emana, il parlamento che lo converte (o meno) in legge.

Rispetto ad altre soluzioni, questa può risultate incongrua perché farraginosa: ma è nella natura compromissoria e sostanzialmente diffidente verso poteri (e responsabilità) nettamente individuati (ed autonomamente esercitati) della nostra costituzione che sia così. Per cui anche per “custodire” la Costituzione occorre l’accordo tra i più “politici” tra i poteri costituiti.

E ritornando all’occasione di questo breve scritto: contrariamente a quanto dicono a sinistra, Il presidente della Repubblica non è più custode della Costituzione di quanto lo sia il premier o il Parlamento: lo sono tutt’e tre; e tutti sono politici; non c’è un potere neutro, nel senso che Constant attribuiva a tale espressione, contrapponendolo ai poteri politici “attivi”. E anche questo occorre mettere nel paniere delle (future?) rielaborazioni della Costituzione.

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Teodoro Klitsche de la Grange

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Costituzione e vita.



mercoledì 11 febbraio 2009

Lati grotteschi e mostruosi dell’«operazione piombo fuso» sul Vaticano: le denuncie, le offese e le punizioni contro il vescovo Williamson!

Versione 2.1
Status: 26.2.09

Non dubito che possa esservi chi gioisce alla notizia che un vescovo, un uomo di chiesa, venga incriminato e rischi fino a tre anni di carcere per avere espresso una mera opinione su un fatto storico di oltre 60 anni fa. Io inorridisco. Poco mi interessa l’accertamento di una verità fattuale controversa rispetto alla sola ipotesi che per una mera opinione chiunque possa venire incriminato. Lo slogan dei forcaioli è “la negazione della Shoah non è un’opinione, ma un crimine”. Ma cosa è propriamente un’opinione? E come può essere conosciuta la Shoah se non facendosene una libera opinione? Ma cosa è ancora una “negazione” se non un’opinione negativa? E come si fa ad accertare la verità della Shoah? È data come presupposta? E chi ha il potere di fissare le verità? Perfino le verità di fede non possono essere assunte che... per fede! Hobbes diceva a proposito della fede che la sua natura è tale che se uno la possiede per davvero non gli può essere tolta da nessuna tortura, ma vale anche l’opposto: non si possono imporre con la forza le verità di fede. Se ne può imporre un mero rispetto formale. Si può costringere con la tortura e il carcere ad affermare verità nelle quali non si crede. Alle origini del cristianesimo la testimonianza della verità era detto “martirio” e i santi cristiani sono detti “martiri” per aver testimoniato la verità del Cristo.

È grottesco e quanto mai barbarico e antigiuridico il voler costringere con il carcere un prelato ad ammettere non già la resurrezione di Cristo, ma la verità della Shoah. Che a questa operazione si sia unito anche il Vaticano pone inquietanti interrogativi sulla dottrina delle fede uscita dal Vaticano II. Essendo stato avviato un procedimento penale, la faccenda avrà i suoi tempi processuali. Sarà cosa lunga, ma proprio per questo materia di riflessione e discussione. Il mio augurio è che vi saranno un sempre maggior numero di persone che prenderanno coscienza della barbarie giuridica dei nostri tempi, che pretendono di essere un superamento di fascismo e nazismo, ma lo sono solo nel senso che hanno superato in gravità ed intensità la barbarie alla quale dicono di volersi opporre. Seguiremo in questo post in forma enciclopedica tutte le notizie che via via attingeremo dalla rete.

Sommario: 1. «Williamson denunciato per apologia del negazionismo». – 2. La notizia nel lancio dell’agenzia argentina Telam. – 3. “Messo a tacere”. – 4. Ma Wiesel è incontentabile: deve anche cacciarlo! 5. Amen. – 6. Inaudito: Foxman in Vaticano! – 7. Per andare a Gaza il papa non ha tempo. – 8. Una dichiarazione inopportuna. – 9. Il sito ufficiale italiano della Fraternità di San Pio X. – 10. Mostruoso: il vescovo Williamson deve lasciare l’Argentina! – 11. Speculazioni e ferocia.

1. «Williamson denunciato per apologia del negazionismo». – Così recita il titolo da cui traiamo la prima notizia dell’incriminazione del vescovo Williamson. Finora conoscevano l’espressione “apologia del fascismo” o anche “apologia di reato”, ma non ci eravamo mai imbattuti nell’espressione “apologia del negazionismo”. Vi è di che restare allibiti. La denuncia sarebbe stata fatto “presso la procura federale argentina dal responsabile per l’argentina del settimanale americano Newsweek”, tal Sergio Szpolski. Bravo! Merita una medaglia! E meno male che si tratti di un giornalista! O presunto tale. Il fatto ci dice quanto possiamo fare affidamento sui canali di informazione. In effetti mi è trovato di leggere anche l’espressione “guerra informativa”, intendendo evidentemente una forma di guerra che si svolge attraverso l’uso dei media. Nel link si apprende anche dell’esistenza di un «Istituto argentino contro la discriminazione” (Inadi), che non è un istituto di ricerca storica, ma avrebbe chiesto al vescovo «di confermare o smentire le sue tesi». Direttrice di un simile istituto sarebbe una tal Maria Josè Lubertino la quale fa sapere che potrebbe venir presentata una “seconda denuncia” che potrebbe costare al povero vescovo, non sospetto di pedofilia, ma solo per opinioni di carattere storico «una condanna a tre anni di carcere». La voglia di forca non sembra che sia per nulla diminuita in 2000 anni di giudeo-cristianismo. Vedremo gli sviluppi di questa non edificante storia di questo inzio di terzo millennio.

Maggiori articolazioni presenta la notizia data da tgcom. È da osservare anche il modo in cui le notizie vengono date dai media, che non sono per nulla neutri, come abbiamo già spiegato a proposito dell’espressione “territori occupati”, originaria del lessico Onu per condannare Israele per ripetute violazioni e aggressioni. Nella stampa fiancheggiatrice i “territori occupati” diventano semplicemente “territori”, espressione che non significa più nulla. Questa è l’informazione, la stessa informazione che ora si occupa del vescovo Williamson. Il tgcom presenta quella che potrebbe essere una vera e propria calunnia con la seguente formulazione: «Maria José Lubertino, direttrice dell’Istituto, ha detto che in caso affermativo nei suoi confronti sarà presentata una seconda denuncia che potrebbe costargli “una condanna a tre anni di carcere'’». E se il caso fosse “negativo”, Maria Josè la passa franca? Non ci soffermiamo oltre, ma inviamo i nostri lettori a prestare attenzione non solo alla notizia in sé, ma anche e soprattutto alla sua redazione, al suo confezionamento.

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2. La notizia nel lancio dell’agenzia argentina Telam. – Con le agenzie non è diverso da quello che si fa in internet, raccogliendo notizie su un tema. Vi è una fonte della notizia e poi gli altri che vi attingono, redigendo a seconda dei dati che si vogliono maggiormente evidenziare. Il titolo argentino è: «Sergio Szpolski denunció al obispo negador del Holocausto por apologia del delito». Intanto i termini sono maggiormente dubitativi: “podria”. Il nome del magistrato presso cui è stata presentata la denuncia è Julián Ercolini. Quindi si leggono le alte, elevatissime opinioni dello stesso Szpolski, probabilmente invidioso della pubblicità ottenuta suo malgrado dal vescovo Williamson: «Según Szpolski “no se trata de la adopción de una perspectiva de revisionismo histórico” sino “de la negación del mayor genocidio del siglo XX, que ha sido probado incluso ante la justicia penal internacional en el proceso llevado adelante por el Tribunal Penal Internacional de Nuremberg”». Per giustificare una denuncia fatta in Argentina il giornalista così spiega la sua sensazionale trovata: «Subraya el editor en su presentación a la Justicia que “el propio Williamson advierte, en sus palabras finales, que sus manifestaciones negacionistas son consideradas delito en el Estado alemán”, y añade que en la Argentina “existen leyes que sancionan la apología del delito y los actos discriminatorios o de incitación a la discriminación” ». Riesce difficile capire come c’entri la “discriminazione” nelle cose dette dal vescovo. Purate tirata per i capelli è la contestazione di apologia di un reato che fortunatamente non è tale in Argentina. Considerando tutti i sistemi penali di tutti gli stati attualmente esistenti e presenti all’Onu, ognuno di noi è potenzialmente passibile, magari inconsapevolmente, di apologia di reato in qualche angolo del pianeta. Al momento sembra più probabile considerare la cosa come una calcolata forma di propaganda da parte di Sergio e di Maria José, che avrannao certamente la nostra attenzione se era ciò che desideravano.

3. “Messo a tacere”. – È istruttiva l’analisi delle espressioni con cui i media riportano le vicende legate e seguite al caso del vescovo Williamson, che si badi bene non è un prete pedofilo, ma un vescovo che intervistato su argomenti storici, non riguardanti il corpo dottrinale della fede cattolica, ha detto la sua opinione. Che dietro l’intervista vi sia stata una macchinazione del “fratelli maggiori” non pare ormai dubbio. Più difficile immaginare quale fosse lo scopo ultimo dell’operazione “piombo fuso” sul cattolicesimo. Il link rivela gli aggiustamenti avutisi in incontri con esponenti delle organizzazione ebraiche dopo le misure punitive sul vescovo, che però resta riammesso alla Chiesa. È un mistero della fede postconciliare riuscire a capire l’utilità di questi rapporti con il mondo ebraico, che non ha mai fatto nessun “concilio” per rivedere i rapporti con il “fratello minore”, che resta il discolo di sempre. Non potremo però tener conto di tutto ciò che esce nella stampa online. Possiamo solo darne il senso generale ovvero notare alcune specificità. Una di queste specificità sarebbe ad esempio la notizia che le guardie svizzere facessero rotolare per le scale quanti vanno a mettere in croce proprio sul colle vaticano il vescovo Williamson. Se si leggono i testi della stampa online traspare dal modo di redigere le notizie (cacciato, messo a tacere, famigerato...) una voglia di gogna che dà la misura del disordine morale dei lapidatori.

4. Ma Wiesel è incontentabile: deve anche cacciarlo! – La misericordia, la carità e l’amore del prossimo non fanno parte del Vangelo ebraico, per la verità non esiste nessun Vangelo ebraico. Esiste solo il Talmud che è un documento in pratica segreto, che è bene la maggior parte dei cristiani non vengano a conoscere. Vi si legge ad esempio che Gesù Cristo sarebbe in realtà un certo Gesù Pantera, figlia di una Maria adultera e di un centurione romano di nome Panterà. Questo Gesù finì non in croce, ma lapidato perché colpevole di pratiche negromantiche importate dall’Egitto. Questo il fatto con qualche possibile imprecisione, non avendo letto il Talmud, ma avendo attinto da fonte derivata. Ciò che resta irritante nel testo dell’intervista berlinese di Elie Wiesel, «una delle più autorevoli voci della cultura ebraica mondiale» [sic], è l’assunzione di un fatto storico, di per se sempre soggetto a verifica e possibile contestazioni, ad un fatto dogmatico. Nella sua sfacciataggine, impudenza ed arroganza il testo dell’intervista è fin troppo esilarante per astenerci da una sua lettura commentata, secondo un modello già sperimentata. Non avendo molto tempo a disposizione lo facciamo poco per volta. La forma del blog personale lo consente. Ecco dunque l’intervista:
«Sono molto felice delle parole usate da Papa Benedetto XVI, ma purtroppo non basta:
[si noti: ‘non basta’. Per i cattolici la figura del papa è quasi sacrale, se non certamente sacrale. Per secoli la sua maestà era superiore a quella dello stesso Imperatore, che gli doveva obbedienza. Abbiamo studiato tutti di Innocenzo III al culmine della potenza della Chiesa. Nel cerimoniale è pur sempre rimasto qualcosa di questa antica dignità e potenza. Ma arriva un Wiesel, sulla cui figura rinvio al giudizio su di lui dato da Finkelstein, per dirci che “non basta”. Cosa ancora il papa deve fare lo dobbiamo apprendere proprio di un Elie Wiesel. Eccoli gli splendidi frutti del Vaticano II e del “nostra aetate”! L’immagine è quelle di un Elie Wiesel che tira le orecchie a papa Joseph Ratzinger.]
dovrebbe passare dalle pur grandi e nobili parole ai fatti, e cacciare quel vescovo dalla Chiesa".
[Si noti il termine altamente diplomatico e apostolico, anzi ebraico: “cacciare”. Mi viene da pensare al povero Uriel da Costa ed al giovane Spinoza costretto probabilmente a passare con i piedi sul corpo piagato di Uriel. Pare sia stato questo l’inizio della riflessione spinoziana ed il suo congedo dall‘ebraismo. Ma “cacciare” per cosa? Per aver letto dei libri, per non voler prendere per oro colato il libro “storico” del padre degli Olocaustici, Raul Hilberg su cui è fondato il sistema delle Verità Giudaiche. Manco fosse il Vangelo stesso. Al pari del testo di Hilberg anche quello di Pressac è stato fatto oggetto di critica da storici che meritano certamente questo nome che altri vogliono loro negare. Lo meritano per il fatto di avere sfidato i poteri mondiali in ossequi al principio di Verità, una verità che i Wiesel percepiscono nel sonno e che tutta la restante umanità deve direttamente attingere per mera presunzione. Se questa non è barbarie più buia del medioevo profondo, è difficile immaginare cosa altro possa essere. Sì! È così. Basta chiedere ad ogni soggetto che è finora sceso in campo come sappia quello che dice di sapere e si scopre facilmente che nessuno ha scienza diretta di quel che afferma, ma è una atto di fede di un atto di imperio altrui. Il vescovo Williamson al di là delle sue funzioni pastorali ha avuto l’umiltà e l’onesta intellettuale di leggersi dei libri, giungendo ad autonome conclusioni. Perfino Joseph Ratzinger ha riconosciuto libertà di critica ai lettori del suo Gesù di Nararet, ma una simile libertà di critica non è esercitabile verso autori olocaustici come Hilberg o Pressac. Se questa non è barbarie… Si badi bene: qui non si tratta di vero o di falso, ma di quella libertà che tutte le costituzione dicono di riconoscere e proteggere: la libertà di pensiero, di espressione, di ricerca. Gli Ipocriti scendono in questi giorni nelle piazze per difendere la Costituzione, ma non vogliono accorgersi di come calpestano la stessa costituzione ogni volta che torna loro comodo.]
Così il premio Nobel Elie Wiesel, una delle più autorevoli voci della cultura ebraica mondiale e un protagonista del dialogo per la pace, commenta a caldo il discorso di Papa Ratzinger. Repubblica ha raggiunto il professor Wiesel telefonicamente negli Stati Uniti, dove vive e insegna».
A ben voler leggere i testi delle dichiarazioni del pontefice possono ricavarsi interpretazioni di carattere generale e astratto che possono salvare la faccia. Ma gli ebrei non si accontentano di dichiarazioni generali e astratte. Vogliono sempre di più. Vogliono che il papa cacci dalla chiesa il reprobo Williamson, non già perché reo di pedofilia, omicidio, furto, spergiuro e simili, ma perché parlando di storia ha espresso le sue vedute fondate su libri di storia e documenti da lui letti e vagliati. I cristiani non possono pretendere che il Talmud venga emendato alla voce Pantera, ma gli ebrei possono pretendere ogni cosa dalla chiesa cattolica: che non venga canonizzato Pio XII, che venga scomunicato di nuovo Williamson appena riammesso, e così via. I “fratelli maggiori” hanno decisamente la mano pesante. È uno dei nuovi misteri della fede, usciti dal Vaticano II, perché mai i cristiani o semplicemente battezzati e solo per questi aventi titolo canonico-giuridico di cristiani debbano lasciarsi prendere a scoppelletti dai fratelli maggiori, magari di nome Caino.

5. Amen. – Se il Santo Padre si degnasse di volgere il suo augusto sguardo verso Gaza, si accorgerebbe che l’orrore di questo genocidio è non solo maggiore di quello della Shoah, ma lo precede persino nel tempo, potendosene collocare esattamente l’inizio nell’anno 1882, nel quale in Palestina si insediavano i primi 25.000 coloni sionisti il cui scopo era la pulizia etnica della Palestina. L’autorevole ammissione, estorta dagli ebrei venuti dall’America in Vaticano, è foriera di un prossimo aumento della popolazione carceraria d’Italia. I politici italiani che raccolgono voti in sacrestia sono ben lieti di potersi mobilitare, quando si tratta di dare dell’assassino al padre di Eluana o di colpire deboli e disgraziati, immeritevoli della misercordia pontificia, ma per il resto sono di maggiore osservanza ebraica: lo abbiamo visto nell’affare Williamson. Non è difficile immaginare le prossime mosse. Verrà introdotta in Italia – con avallo Vaticano – una legislazione analoga a quella della Germania. I vari docenti che nelle scuole italiane durante il “Giorno della Memoria” tradiranno le loro riserve mentali sull’evento di regime, verrano subito trasferiti nelle patrie galere, dove magari potranno continuare a fare lezione fra i carcerati. Tutto ciò è una vergogna assoluta. Le diversi reazioni che il papa ha suscitato in diversi momenti del suo magistero hanno natura diversa le une dalle altre. È solo segno di superficialità fare di esse tutte un calderone. Nel caso di Williamson o di Pio XII è in gioco la stessa autonomia della chiesa, la sua capacità di autogoverno e di autodeterminazione. La sua azione esterna potrà interessare o meno, potrà essere o non essere condivisa, ma è fuorviante misurare la popolarità di un papa con i meccanismi dei sondaggi e degli indici di gradimento. Chi ragiona così sembra ignori del tutto le ragioni teolologiche e religiose per le quali Cristo finì in croce. Se fosse stato più attento ai sondaggi di opinione dell’epoca, o ai calcoli politici, probabilmente non avremmo avuto il cristianesimo o meglio cattolicesimo che conosciamo e forse il mitraidismo sarebbe stata la religione dell’Occidente europeo fino ai nostri giorni.

6. Inaudito: Foxman in Vaticano! – Tra i personaggi ebraici che hanno affollato le sale del Vaticano sembra fosse presente il capo dell’ADL Foxman, il quale fa sapere che Williamson deve essere spretato. Solo così i cattolici potranno ottenere perdono da parte dell’ebraismo. Di fronte a tanta arroganza tornano in tutta la loro pressante validità le riserve mentali di quanti giudicano rovinose le aperture del Concilio Vaticano II verso il mondo ebraico, dal quale finora il cattolicesimo non ha mai ricevuto nulla. Se poi esistano condizionamento materiale, ad esempio esenzioni fiscali nella Terra Santa occupata da Israele è cosa che non mi è dato sapere e di cui non ho competenza. Posso giudicare l’evento inaudito e deplorevole solo da un punto di vista dottrinale. Se si collega la precedente polemica, anzi il veto ebraico alla canonizzazione di Pio XII, con la pretesa di Foxman di spretare Williamson, si tocca con mano come l’Israel Lobby pensi di regolarsi con il Vaticano allo stesso modo con cui l’AIPAC amministra i parlamentari americani e perfino i presidenti. Stupisce come non si verifica una potente reazione da parte del mondo cattolico di fronte a tanta arrogante e inaziabile ingerenza. Per chi non lo sapesse l’ADL è il braccio della massoneria ebraica, il Bnai Rith o come diavolo si chiama.

7. Per andare a Gaza il papa non ha tempo. – Sono pronto a scommettere che Gesù Cristo sarebbe andato in primo luogo a Gaza e solo dopo – se fosse rimasto del tempo – sarebbe andato negli altri posti. Invece la diplomazia vaticana ci fa sapere che per andare a Gaza non vi è tempo, al massimo ci sarà una delegazione venuta da Gaza per partecipare a qualche messa. Se questo è il cristianesimo del Concilio Vaticano II, allora vuol dire che probabilmente c’è del marcio non nel regno di Danimarca, ma in Vaticano. I media ancora insistono che il papa deve “punire” il vescovo Williamson allo stesso modo in cui ci fu punito Giordano Bruno, che a differenza di Galileo Galilei resta ancora un morto arrostito. A sostegno della nostra oggettività e della nostra idea di giustizia giunge alla mia posta una «Dichiarazione redazionale sulla strage di Gaza» di “Jura Jentium”, una rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale, che riproduciamo qui per esteso quale contraltare all’intervista di Elie Wiesel, pure sopra riprodotta e commentata:
Dichiarazione redazionale sulla strage di Gaza
Jura Gentium

La rivista informatica Jura Gentium Journal, che è la principale espressione della Associazione Jura Gentium, è da tempo impegnata in una riflessione filosofico-politica e filosofico-giuridica sulle vicende internazionali che prescinde da una presa di posizione ideologica e che non ha relazioni con la politica militante.

Questo non significa che la Redazione di Jura Gentium Journal professi una filosofia della neutralità etico-politica. La redazione unanime ha deciso perciò di prendere posizione - con un “ritardo” deliberato - sull’intervento militare Piombo fuso che lo Stato di Israele ha deciso contro il popolo palestinese rinchiuso e assediato nella Striscia di Gaza, un lembo di terra fra i più densamente abitati, poveri e disperati del pianeta. I bombardamenti dal cielo, dal mare e da terra sono iniziati il 27 dicembre 2008 e sinora hanno provocato, anche grazie all’uso ormai accertato di ordigni al fosforo bianco, 1315 morti, fra i quali 100 donne e 400 bambini, oltre a migliaia di feriti e alla devastazione di centinaia di edifici pubblici e privati. Le vittime israeliane sono state 13. Questi dati sono altamente attendibili.

La redazione di Jura Gentium Journal ritiene che nessuna ragione militare, politica o giuridica può essere invocata per giustificare una strage di questa gravità, per di più realizzata in un contesto di assoluta asimmetria bellica. La strage ha colpito un popolo che da decenni è sottoposto all’occupazione militare da parte dello Stato di Israele in violazione della Carta delle Nazioni Unite, delle Convenzioni di Ginevra e del diritto internazionale generale. La redazione ritiene che se le Nazioni Unite e la Corte Penale Internazionale intendono svolgere minimamente la loro funzione, allora lo Stato di Israele - quarta potenza nucleare del mondo - merita di essere sottoposto a sanzioni adeguate ai gravi crimini di guerra che ha commesso.

La redazione di Jura Gentium Journal deplora la complicità di gran parte delle cancellerie occidentali, l'omertà dei grandi mezzi di comunicazione di massa, il silenzio degli esperti e dei giuristi accademici “al di sopra delle parti”, l'inerzia delle Nazioni Unite. E si augura che al popolo palestinese vengano pacificamente restituite la sua terra, la sua identità e la sua dignità.

Luca Baccelli, Nicolò Bellanca, Pablo Eiroa, Orsetta Giolo, Leonardo Marchettoni, Juan Manuel Otero, Renata Pepicelli, Paola Persano, Stefano Pietropaoli, Katia Poneti, Lucia Re, Filippo Ruschi, Emilio Santoro, Alessio Scandurra, Francesco Vertova, Silvia Vida, Danilo Zolo

Jura Gentium,
Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale.
Questa Dichiarazione è giusta alla mia posta universitaria ieri 17 febbraio 2009, ore 9:55. Ne condivido in pieno il contenuto e mi associo al testo redazionale. Come filosofo del diritto “accademico” non ho avuto esitazioni o timori fin dal primo momento in cui mi sono parse evidenti le ragioni della giustizia e dell’umanità. Invitato a recarmi in Gaza, prima dell’operazione “Piombo fuso”, avevo perfino inoltrato richiesta al mio Rettore di una speciale delega per potermi recare all’università di Gaza. Mentre ero in attesa di un riscontro rettorale anchel’Università di Gaza, dove avrei voluto recarmi, è stata bombardata e distrutto. Posso dire di essere io stesso scampato alla sorte di moltissimi palestinesi solo per una fortunata casualità. Mi è di conforto la dichiarazione “tardiva” di Jura Jentium in quanto mi offre la certezza morale di non essere solo e isolato in una visione del diritto e della giustizia interna e internazionale che da più di un anno occupa la mia attenzione ed il mio tempo di lavoro. Anche a nome di “Civium Libertas” mando a “Jura Gentium” questo testo di associazione e convergenza.

8. Una dichiarazione inopportuna. – Se si va a leggere il testo dell’intervista del rabbino capo di Roma si vede come una scialata al trofeo senza nessuna concessione ai “fratelli minori”, una posizione assai scomoda per i cattolici ovvero per tutti i battezzati nel nome della santa chiesa romana cattolica apostolica. È nota l’espressione “freccia del Parto”, per indicare l’antico guerriero parto che sembrava stesse per abbandonare il campo di battaglia, ma poi si giro di scatto e lancia la sua freccia letale. Basta sostituire Ebreo a Parto e si ha la seguente chiusa dell’intervista:

• «Crede forse che [il papa] abbia cattivi consiglieri?
• «Non ho detto questo. Io ho detto che spero sappiano consigliarlo bene
». [Magari istituendo un apposito cardinalato ebraico da affiancare al papa e con supervisione di ogni discorso pontificio nonché di ogni sua decisione. Un papa in fondo, al pari di un presidente, non è che una marionetta da saper ben manovrare. Il topos del papa “mal consigliato” è partito dall’ateo devoto Giuliano Ferrara ed ha fatto scuola nel giornalismo italiano. Da un punto di vista canonico niente impedirebbe che allo stesso Ferrara venisse offerta una porpora cardinalizia: potrebbe lui consigliare il papa ad ogni passo, magari facendosi accompagnare da Magdi Cristiano Allam: Benedetto XVI a destra e a sinistra accompagnato sempre da questi due nuovi cardinali. Per avere poi un Sacro Collegio basta aggiungere un nuovo cardinale: Rocco Buttiglione.]
Non è per nulla chiaro a cosa serva la “riconciliazione” ed a vantaggio di chi essa sia. Circola la voce che “siamo tutti ebrei”. Dovremo aspettarci una circoncisione di massa. La dichiarazione non tiene conto della scienza storica ed è una concessione dogmatica al mondo ebraico, che deve ancora rendere conto al mondo di una ben diversa Shoah: la Nakba, che di certo non può essere accettata come una benemerenza al cospetto del dio cristiano. Lo “strappo” era bene che rimanesse anche perché da parte ebraica – come il testo dell’intervista dimostra – non vi è nulla di ricucire: per loro la figura di Cristo resta quello del Talmud. Nessun ripensamento vi è mai stato al riguardo. Per la metafisica della morte cambia poco o nulla che la conta dei morti sia di 300.000 o di 6 milioni. Se è questo il paventato “riduzionismo” della Shoah non poteva essere più crassamente materialistico. In fonso, Gesù Cristo non era che un solo individuo! Tutto ciò è assurdo da un punto di vista religioso e lascia pensare solo a compromessi politici, i cui termini mancano all’intelligenza dei più. Nel licenziare alle stampe il suo volume su Gesù di Nazareth papa Ratzinger ha detto che non si trattava dell’esercizio del suo ministero infallibile: il libro poteva essere criticato da chiunque. Vogliamo credere a maggior ragione che possano essere criticati i suoi “atti politici”, che soprattutto non rendono giustizia alle vittime di Gaza. È da chiedersi se recandosi in Palestina, non già in Israele, Benedetto XVI farà visita a quei palestinesi che in senso storico-genetico sono i veri discendenti di Gesù Cristo.

9. Il sito ufficiale italiano della Fraternità San Pio X. – Mi è stato appena segnalato il sito ufficiale italiano della Fratenità di San Pio X. Lo visiterò periodicamente scrivendo qui le mie personali osservazioni. Intanto si trova una Omelia del vescovo Richard Williamson in una registrazione di 26 minuti. Per chi vuole ascoltarla non è difficile riconoscere un pio uomo di chiesa preoccupato per le sorti del mondo e che si pronuncia perfino sulla crisi economica che imperversa e teme una guerra contro l’Iran. Bellissima una sua frase sulla fede che edifica gli edifici anziché gli edifici che pretendono di edificare la fede: è una citazione di S. Atanasio. Capannoni che diventano chiese e chiese che diventano capannoni. Questo uomo pio è diventato “famigerato” per il tg7 di ieri sera 12 febbraio 2009: avrei voluto fare telefonate di protesta, ma vi è poco da fare quando il regime scatena i suoi apparati. Mentre permangono i problemi dottrinali connessi con il Concilio Vaticano II, la stampa continua ad accanirsi sulla questione storica delle affermazioni del vescovo Williamson, quasi che il Concilio sia stato una sorta di megacongresso storico il cui compito non era di occuparsi degli articoli delle fede e del dogma cattolico, ma degli episodi storici della seconda guerra mondiale. Mai la stampa ed i media hanno dato maggior prova di ottusità e faziosità. Che il governo di Israele sia stato capace di condizionare fino a questo punto i media occidentali testimonia in favore della totale inattendibilità dell’informazione corrente. Che i Quattro Vescovi rientrino in Santa Madre Chiesa è in fondo maggior interesse di quest’ultino che non dei Quattro, i quali se lo avessero voluto non sarebbero mai usciti. Non credo che abbia molto senso chiudere e cacciare i vescovi, i preti e i fedeli della Fraternità Pio X per “aprire” ai rabbini e perfino ad un Foxman. Ma devo però ammettere di non essere un teologo del livello di Kung o del nostro Mancuso. Il vescovo lefebrvriano si prende nel frattempo anche le reprimende del cardinale Ruini, ma a stretto giro di posta i nuovi amici ebrei di Ruini non sembrano intendano fare sconti ad un cristianesimo alla VII: i vescovi cattolici di Terra Santa lamentano programmi oltraggiosi su Gesù e Maria messi in onda dalla televisione israeliana. Infatti, per i cristiani e solo per loro vale il principio del porgere tutte e due le guance: prima “piombo fuso” su Williamson, ora su Gesù e sua madre Maria.

10. Mostruoso: il vescovo Williamson deve lasciare l’Argentina! – Sembrava che la brutta storia avesse toccato il fondo, ma invece alla vergogna e alla barbarie non c’è limite. In un mondo disponibile ad ospitare assassini e criminali di ogni genere, specialmente in Sud America, non sembra invece che ci sia posto per un vescovo non già reo di pedofilia e simili, ma colpevole di avere espresso una sua opinione sulla… Shoah. Il Vaticano che in Italia ha fatto quadrato intorno alle pedofilia di migliaia di ecclesiastici non trova nulla da commentare sull’espulsione di un suo vescovo dall’Argentina. Se questa non è una congiura, diventa difficile immaginare qualcosa d’altro. Un noto politico ci ha insegnato ad utilizzare il sospetto come strumento di analisi. Nel caso dell’Argentina non riesce difficile sospettare pressioni sul governo direttamente dagli USA, dove la Israel Lobby detta l’agenda della politica estera. Dove vorranno spingere il vescovo Williamson, cacciandolo dall’Argentina, non riesco ad immaginarlo. Merita menzione il nome del ministro argentino: Florencio Randazzi. Un nome che per adesso non mi dice nulla, ma è certamente interessante, se capita, indagare la sua idea di libertà e tolleranza e soprattutto come sia giunto a tanta decisione, se autonomamente o divinamente ispirato. Mi sembra che Eichman fosse stato rapito proprio in Argentina e qui portato in Israele per essere processato, dando così forte impulso alla saga della Shoah. Che vogliano rapire il vescovo per processarlo in Israele mi sembra grottesco, anche se nulla si può escludere. Che venga spinto in Germania per essere processato e imprigionato è verosimile. Che ritorni in Inghilterra, dove Richard Williamson è cittadino, pare probabile. Che possa essere presentato ricorso in Argentina pare sensato. Il confronto fra il “no comment” di padre Lombardi e la vicenda della trasmissione di Santoro sui crimini sessuali dei preti è ancora recente: quanto deplorevolmente simile e diversi i due casi, ma con vergogna per la Gerarchia ecclesiastica, che si accinge ad andare in Israele, dove già insultano in trasmissione televisive Gesù e la Madonna dopo aver bruciato copie del Nuovo Testamento. E pensare che era bastato molto ma molto meno per indurre un papa, sdegnato, a non andare alla Sapienza, dove certamente nessuno lo avrebbe bruciato. Se occorreva un’immagine del declino del cristianesimo sotto il tallone dell’ebraismo gli esempi non potevano essere più evidenti. Se ciò è una conseguenza del Vaticano II, non si possono dare tutti i torti ai critici del Concilio, almeno secondo il loro punto di vista. Di fronte a questo sfacelo non sarò certo io a suonare la campana, ma vorrei che almeno mi fosse restituito il mondo religioso precristiano e non giudaico.

11. Speculazioni e ferocia. – Aiuta a capire le cose che succedono un recentissimo libro di Israel Shamir, o meglio una raccolta di articoli tradotti da Mauro Manno con il titolo «Il sangue che avete versato». Qui si trovano i concetti tipicamente ebraici di “colpa collettiva” nonché la peculiare visione del mondo propria dell’ebraismo, che dopo il Concilio Vaticano II ha fatto breccia anche nella chiesa cattolica. L’avvilente episodio connesso al vescovo Williamson è una chiara manifestazione. Cacciata dall’Argentina, che dovrebbe vergognarsi della sua intolleranza e inospitalità, la santa congregazione dell’Amore avrebbe voluto espellere Williamson anche dall’Inghilterra, dove è nato. Sembra che il governo inglese, che a differenza di quello argentino ha ancora il senso della civiltà giuridica, abbia frenato gli zelanti sacerdoti della Shoah. Sulle dichiarazioni che Williamson – su di cui immaginiamo le immense pressioni – avrebbe rilasciato è patetico leggere come vengano stiracchiate dalle altre testate che riportano la fonte cattolica Zenit da cui sono state riprese. A leggere fra le righe virgolettate si riconosce ancora un’estrema difesa della propria dignità intellettuale. Non volevo offendere nessuno. Ho espresso una mia opinione su materia storica, pur non essendo uno storico. Mi dispiace aver recato danno alla Chiesa e forse anche a quanti per davvero e sinceramente si siano addolorati per le mie dichiarazioni. In effetti, che si sia trattato di un tranello lungamente progettato non pare dubbio. Dove di questo passo potremo giungere e fino a che punto la nostra intelligenza ed il nostro senso di equità potrà continuare ancora ad essere offeso ed umiliato non ci dato sapere: il futuro riserva sia il bene che il male, sia la liberazione sia un’ancora maggiore oppressione.

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1. Operazione “piombo fuso” sul vescovo Williamson.

lunedì 9 febbraio 2009

Teodoro Klitsche de la Grange: Costituzione e vita. Considerazioni sul caso Englaro.

COSTITUZIONE E VITA

La lettura della – ormai celebre – lettera del Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio sul decreto per il caso Englaro, offre diversi spunti interessanti, soprattutto a capire alcuni idola correnti, per lo più facenti parte dell’armamentario ideologico della sinistra tardo-novecentesca, “contaminata” da una lettura (almeno) “debole”, e quindi relativista, del liberalismo.

In primo luogo scrive il Presidente Napolitano che
«I temi della disciplina della fine della vita, del testamento biologico e dei trattamenti di alimentazione e di idratazione meccanica sono da tempo all’attenzione dell’opinione pubblica, delle forze politiche e del Parlamento… Non è un caso se in ragione della loro complessità, dell’incidenza sui diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti e della diversità di posizioni che si sono manifestate, trasversalmente rispetto agli schieramenti politici, non si sia finora pervenuti a decisioni legislative integrative dell’ordinamento giuridico vigente» onde «il ricorso al decreto legge – piuttosto che un rinnovato impegno del Parlamento ad adottare con legge ordinaria una disciplina organica – appare soluzione inappropriata. Devo inoltre rilevare che rispetto allo sviluppo della discussione parlamentare non è intervenuto nessun fatto nuovo che possa configurarsi come caso straordinario di necessità e urgenza ai sensi dell’art. 77 della Costituzione se non l’impulso pur comprensibilmente suscitato dalla pubblicità e drammaticità di un singolo caso».
In altri termini ciò significa che il “procedimento”, cioè la discussione in Parlamento, è così importante che deve prevalere sul potere “ordinatorio” volto a salvare una vita (il “fatto nuovo”) ovvero quel bene (o “valore”) che proprio la Costituzione in genere, e più specificamente le di essa disposizioni sui diritti fondamentali, sono volte – insieme ad altri beni o “valori” – a salvaguardare. Beninteso: il rilievo di Napolitano è esatto in generale – perché non è ipotizzabile (se non in situazioni di emergenza) che su diritti fondamentali (e quello della vita è il più fondamentale, non foss’altro perché è la condizione per esercitare gli altri) - decreti il governo; ma nel caso, l’intervento del governo, attraverso la decretazione d’urgenza, aveva lo scopo di guadagnare il tempo necessario perché il parlamento potesse legiferare in materia. E quindi il rifiuto del Presidente della Repubblica è errato nel caso di specie perché il decreto legge non era finalizzato a sostituirsi in materia al Parlamento, ma a consentire a quello di legiferare prima che la sospensione del trattamento alimentare alla povera Eluana lo rendesse, per la stessa, superfluo.

Non si tratta di una violazione della competenza del Parlamento, ma al contrario, di facilitarne l’esercizio. Ma tant’è: si rivela per tale concezione dei diritti fondamentali appropriata la definizione sarcastica (e all’epoca un po’ ingenerosa) di Donoso Cortés dei liberali europei suoi contemporanei: clasa discutidora, che parla sempre (per non decidere mai).

Secondariamente prosegue la lettera
«il fondamentale principio della distinzione e del reciproco rispetto tra poteri e organi dello Stato non consente di disattendere la soluzione che per esso è stata individuata da una decisione giudiziaria definitiva sulla base dei principi, anche costituzionali, desumibili dall’ordinamento giuridico vigente» e spiega anche che il provvedimento sulla sospensione dell’alimentazione ad Eluana «non è stato ritenuto invasivo da parte della Corte costituzionale della sfera di competenza del potere legislativo».
Ovvero: la separazione dei poteri è principio costituzionale; la Cassazione ha ritenuto corretto il decreto. Pertanto sulla questione non si può ritornare perché, altrimenti, si invadono le attribuzioni del potere giudiziario. Anche questo è un altro degli idola oggigiorno ripetuti – anzi il più ripetuto. Ma non è così: la nostra Costituzione modella uno Stato legislativo parlamentare: una forma dello Stato borghese, nel quale, come scriveva Montesquieu, il giudice non ha un “vero” potere, ma è la “bocca della legge”: si limita ad applicare le norme di diritto (in uno Stato legislativo, per lo più quelle di legge) al caso concreto.

E quindi non si capisce in che cosa violi la separazione dei poteri; se manca la norma è potere (e dovere) del potere legislativo di porla in essere e di quello giudiziario di applicarla: anche perché lo scopo della distinzione tra questi due poteri, come pensava Montesquieu, è la protezione della libertà, in quanto il potere che decide le regole non è quello che le applica al caso concreto. Infatti scriveva che non vi è libertà se il potere giudiziario è unito a quello legislativo “perché il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore”. Il che vale nei due sensi: che il legislatore non può sfornare sentenze, ma, del pari, il giudice non può dolersi che detti norme, avendo egli solo la funzione di applicarle, e sarebbe lesivo della libertà che le decidesse, come talvolta (nel caso di “lacune”) capita.

Quanto all’altro argomento che gira sui telegiornali, anche in bocca a intellettuali d’area sinistrorsa, la sensibilità istituzionale e la cultura del Presidente Napolitano c’è l’hanno risparmiato. Sarebbe quello che non si toccano le sentenze della magistratura, acutamente esposto in televisione con l’esempio: se un Giudice condannasse un pluriomicida, il governo (Berlusconi?) che fa, cambia la sentenza?

Tenendosi allo stesso livello argomentativo si potrebbe rigirare l’esempio se un Giudice con una sentenza “un po’ originale” ti condanna a morte o alla deportazione perpetua alla Guayana, che si fa: si esegue la sentenza, o il governo fa un decreto? Il che, se si trattasse dell’intellettuale intervistato, non sarebbe auspicabile che il governo facesse.

Teodoro Klitsche de la Grange
9 febbraio 2009

venerdì 6 febbraio 2009

Carlo Mattogno: La “Repubblica” della disinformazione

Articolo correlato dello stesso Autore:
La Shoah secondo Federico Lombardi
(del 31 gennaio 2008)
Carlo Mattogno

LA REPUBBLICA DELLA DISINFORMAZIONE

LA REPUBBLICA, nel numero del 3 febbraio 2009, p. 32, ha offerto generosamemte il contributo della sua vasta nullità intellettuale e morale alla questione del “Negazionismo”. Sottotitolo melodrammatico vidal-naquetiano: “Gli assassini della memoria che cancellano l’Olocausto”. L’articolista, Bernardo Valli, vi profonde a piene mani la sua solida ignoranza storiografica. Non vale pertanto la pena di soffermarsi troppo sul suo testo; ne esaminerò solo alcuni aspetti di carattere generale, avendo cura di premettere che il riassunto delle tesi revisionistiche da lui presentato all’inizio è di una superficialità infantile. L’articolo in questione potrebbe in effetti ben figurare tra i temi redatti dagli alunni delle scuole medie per il “Giorno della Memoria”.

Sommario: 1. Bibliografia. – 2. “Negazionismo” e revisionismo. – 3. Il valore delle testimonianze. – 4. Le “prove”. – 5. Note.

1.
Bibliografia


L’articolo propone una bibliografia di 15 titoli, di cui solo 1 revisionistico: la Mémoire en defence contre ceux qui m’accusent de falsifier l’histoire, di Robert Faurisson. Un testo del 1980! Come se fossero affetti da qualche strana turba psichica, gli anti-“negazionisti” restano saldamente ancorati al passato e non si smuovono più. È del tutto inutile far loro presente che esistono libri revisionistici recenti e recentissimi. Essi rimangono immutabilmente inchiodati agli anni Ottanta.
Viene inoltre menzionato un libro di David Irving, La guerra di Hitler, che non è revisionistico.
Tra i restanti 13, ce ne sono 6 anti-“negazionisti” ai cui autori, a suo tempo, ho già fatto pelo e contropelo:

PIERRE VIDAL-NAQUET, Gli assassini della memoria.
Un povero sprovveduto, semplice golem di Georges Wellers, che ha cessato di “pensare” appena il suo ventriloquo è morto. L’inventore delle presunte metodologie capziose revisionistiche, che egli stesso ha sempre impiegato regolarmente contro gli avversari. La mia risposta: Olocausto: Dilettanti allo sbaraglio. Pierre Vidal-Naquet, Georges Wellers, Deborah Lipstadt, Till Bastian, Florent Brayard et alii contro il revisionismo storico. Edizioni di Ar, Padova, 1996 (1). Vidal-Naquet non ha mai replicato nulla.

FRANCESCO GERMINARIO, Estranei alla democrazia.
Nel suo caso si dovrebbe dire: estraneo all’onestà e all’intelligenza. Autore, in otto anni, di sette rimasticature di un insulso articoletto che poi ha ulteriormente rimuginato nel libro summenzionato. Critico men che mediocre e insulso che ho ridicolizzato in Olocausto: Dilettanti allo sbaraglio e in Olocausto: dilettanti a convegno. Effepi, Genova, 2002. Nessuna risposta.

VALENTINA PISANTY, L’irritante questione delle camere gas.
Signorina specializzata in vita e opere di Cappuccetto Rosso che avrebbe fatto meglio a occuparsi di Cenerentola invece di dedicarsi alle “camere a gas”, argomento di cui non sa nulla e non capisce nulla. Il suo libro vorrebbe essere un vademecum dei presunti sofismi metodologici revisionistici, ma, come ho documentato abbondantemente, l’unica vera sofista è lei stessa, oltre che sfrontata plagiaria di testi di Vidal-Naquet e...miei! La mia replica è apparsa nel 1998, col titolo L’ “irritante questione” delle camere a gas ovvero da Cappuccetto Rosso ad Auschwitz. Risposta a Valentina Pisanty. Dato che la signorina continuava a pontificare sulla presunta metodologia revisionistica senza rispondere, ho pubblicato lo scritto anche in rete: L’ “irritante questione” delle camere a gas ovvero da Cappuccetto Rosso ad... Auschwitz. Risposta a Valentina Pisanty, in questo stesso blog http://civiumlibertas.blogspot.com/2007/11/slomo-in-grande-emozione-con-veltroni-e.html#parteterza. Aspetto ancora la sua risposta. Forse l’ha affidata a Biancaneve e ai Sette Nani.

FRANCESCO ROTONDI, Luna di miele ad Auschwitz.
Schietto dilettante con pretese di storico. La mia risposta è disponibile in rete: Ritorno dalla luna di miele ad Auschwitz. Risposte ai veri dilettanti e ai finti specialisti dell'anti-“negazionismo”. Con la replica alla “Risposta a Carlo Mattogno” di Francesco Rotondi, 2007, 103 pagine, in http://www.aaargh.com.mx/fran/livres7/CMluna.pdf.

AUTORI VARI, Il nazismo oggi. Sterminio e negazionismo.
Un bel quadretto dell’insulsa storiografia olocaustica italiota (in Italia non esiste un solo storico olocaustico degno di questo nome) che ho bacchettato a dovere in Olocausto: dilettanti a convegno. I dilettanti a convegno sono: Enzo Collotti, Bruno Mantelli, Giorgio Nebbia, Marina Rossi, Liliana Picciotto Fargion, Francesco Germinario. Quale prodigioso consesso di luminari!

MICHAEL SHERMER e ALEX GROBMAN, Negare la storia.
Una risposta superficiale e confusa di una piccola parte delle argomentazioni di una piccola parte degli studiosi revisionisti, infarcita di forzature, omissioni e interpretazioni capziose che dimostrano la totale inconsistenza delle “prove” relative all’Olocausto. La mia confutazione di questo libro inconsistente è Negare la storia? Olocausto: la falsa “convergenza delle prove”. Effedieffe Edizioni, 2006. Su Le macchine dello sterminio di Jean-Claude Pressac ritornerò sotto.

Si può credere seriamente che un giornalista di LA REPUBBLICA non disponesse di queste informazioni alla portata di tutti? Bernardo Valli le ha taciute intenzionalmente per far credere che il revisionismo venga bastonato di santa ragione ogni giorno e non sappia fare altro che tacere. Per sua sfortuna accade proprio il contrario: sono gli anti-“negazionisti” ad essere bastonati di santa ragione da me, e nessuno fiata più, perché ormai hanno capito che la loro posizione è insostenibile, disperata. Perciò ora è il tempo dei polemisti usa e getta, i kamikaze dell’integralismo olocaustico che si fanno esplodere con le loro corbellerie. Poi qualche altro utile idiota da lanciare all’attacco si troverà sempre...

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2.
“Negazionismo” e revisionismo
«Non c’è bisogno di sottolineare che, nonostante le pretese, il negazionismo non abbia nulla di scientifico e neppure scalfisca gli studi e le testimonianze dirette sulle tecniche di sterminio nei campi di concentramento nazisti. Il negazionismo è un’ideologia. Meglio ancora, si è di fronte a una setta religiosa...».
L’improntitudine dell’ultima affermazione è inaudita. Proprio ora, nel momento in cui persino la Chiesa erige l’olocausto a nuovo mistero della fede! E dopo che persino Vidal-Naquet si era opposto, come informa l’articolista stesso, alla «sacralizzazione della Shoah» e al suo «uso politico».
«I negazionisti vogliono essere considerati dei revisionisti. Una qualifica cui non credo abbiano diritto. Non è revisionista l’intellettuale impegnato a contrastare la realtà, concretamente provata, di un fatto storico, la cui veridicità non richiede supplementi di indagine. Il revisionismo ridefinisce il giudizio su un evento, ne dà un’interpretazione diversa, non ha come fine la sua cancellazione. La storiografia è una continua revisione. Il negazionismo è dettato da un’ideologia».
Questa magniloquente retorica non inficia minimamente l’unico fatto veramente inoppugnabile: le “camere a gas” omicide non sono né una “realtà”, né un “fatto storico”, ma una semplica affermazione ideologica di cui è facile ravvisare la genesi storica. Anzi, l’intera storiografia olocaustica, nel suo nucleo centrale, è essenzialmente il risultato di una ideologia. Essa nacque come propaganda nera in Polonia nel corso della seconda guerra mondiale da vari centri clandestini specializzati in storie di atrocità e fu diffusa dalla Delegatura, la rappresentanza del governo polacco in esilio. Finita la guerra, questa propaganda fu imposta con la forza delle armi dai Tribunali militari alleati. Quale fosse lo scopo reale di questi Tribunali, lo dichiarò candidamente il procuratore generale degli Stati Uniti J. R. H. Jackson, nel corso dell’udienza del 26 luglio 1946 del processo di Norimberga:
«Gli Alleati si trovano tecnicamente ancora in stato di guerra con la Germania, sebbene le istituzioni politiche e militari del nemico siano infrante. In quanto Corte di Giustizia Militare, questa Corte di Giustizia costituisce una continuazione degli sforzi bellici delle Nazioni Unite» (2).
Appunto per questo lo statuto di Norimberga conteneva le aberrazioni giuridiche dell’articolo 19 («Il Tribunale non è vincolato alle regole probatorie») e 21: «Il Tribunale non deve chiedere la prova di fatti generalmente noti, ma ne deve prendere atto d’ufficio» (3).

Questo era un invito esplicito a tutte le organizzazioni ufficiali, governative o no, a formulare qualunque accusa senza prove: l’accusa stessa sarebbe poi diventata “prova”!
In tal modo furono infatti acquisite le “prove” riguardo alle “camere a gas” di Auschwitz (rapporto sovietico URSS-008) e di tutti gli altri presunti campi di sterminio (rapporto ufficiale del Governo polacco esibito dai Sovietici come documento URSS-93).

Questo rapporto, tanto per rendere l’idea della sua affidabilità, attribuiva al campo di Belzec un impianto di folgorazione, a Treblinka camere a gas a vapore (sic!) e folgorazione. Inoltre descriveva “Una fabbrica di sapone fatto con grasso umano” a Danzica (4) .

Dunque la credenza nelle “camere a gas” si basa su una propaganda nera di cui fu preso atto d’ufficio da parte delle Corti Marziali dei vincitori come «fatto generalmente noto»!
L’attuale storiografia olocaustica è la degna erede di queste aberrazioni propagandistico-giudiziarie e ne mostra tutte le tare originali.

A questa regola non sfugge neppure quella che viene ritenuta l’opera più importante della storiografia olocaustica, La distruzione degli Ebrei d'Europa di Raul Hilberg, nella quale la dimostrazione dell’assunto fondamentale, l’esistenza di “centri di sterminio” nazionalsocialisti, non è supportato da un solo documento, ma si basa esclusivamente sul travisamento sistematico di documenti e sull’estrapolazione di testimonianze assurde e contraddittorie, come ho dimostrato ampiamente nello studio Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodologia. 2008, vedi in http://civiumlibertas.blogspot.com/2008/01/carlo-mattogno-raul-hilberg-e-i-centri.html. (A proposito: dove sono gli strenui difensori di Hilberg?).
Per completare il quadro, va detto che le farse giudiziarie dei vincitori della seconda guerra mondiale non ebbero nulla a che vedere con la giustizia, ma furono uno strumento per rifarsi artificiosamente una verginità perduta: per distogliere gli occhi del mondo dai propri crimini contro la pace (ad esempio l’aggressione sovietica alla Finlandia e la spartizione della Polonia) e contro l’umanità (i bombardamenti terroristici anglo-americani sulle città tedesche e italiane, i bombardamenti di Tokio, le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, i massacri di Katyn e Winniza) gli Alleati lanciarono l’accusa terribile di genocidio scientifico mediante camere a gas, che li faceva apparire istantaneamente come timide educande. E ciò spiega perché la storiografia olocaustica è intrinsecamente ideologica.

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3.
Il valore delle testimonianze

«Per evitare che la scomparsa di testimoni viventi favorisca le tesi negazioniste, Claude Lanzmann ha realizzato con anni di lavoro il suo documentario di nove ore sulla Shoah, basato non sulle immagini ma su una straordinaria e sconvolgente serie di testimonianze dirette, destinate a restare quando si passerà definitivamente dalla memoria alla storia».
Chi scrive così non ha capito che la storiografia è una disciplina diversa dalla giurisprudenza e si ostina ancora a sbandierare come “prove” sedicenti testimoni oculari, tutti miracolosamente scampati. Ecco per tutti il monito di uno storico olocaustico:
«Per lo storico scientifico, la testimonianza non è realmente la Storia, è un oggetto della Storia. E una testimonianza non ha molto peso, e pesa ancora meno se nessun solido documento la conferma. Il postulato della storia scientifica, si potrebbe dire forzando appena la mano, è: niente documento/i, niente fatto accertato.
Questo positivismo che conferisce una tale importanza al documento ha i suoi aspetti positivi e negativi. Quello positivo, è che la storia deve a questo metodo rigoroso di non essere una pura fiction, ma una scienza. In quanto tale, essa è revisionista per natura, ossia negazionista. La Terra è stata ritenuta a lungo piatta, ora lo si nega. Ne consegue che decretare l’arresto delle ricerche su un punto qualunque del campo scientifico è negare la natura stessa della scienza. Si vede dunque già apparire ciò che mette gli storici in una situazione insostenibile ponendo i negazionisti in buona posizione: dal momento in cui si è sul terreno scientifico, è vietato vietare di rivedere o negare. Farlo, significa uscire dal campo scientifico. Significa abbandonarlo» (5
).
Si tenta di avvalorare la tesi che i revisionisti temerebbero i “testimoni oculari” e aspetterebbero ansiosamente la loro morte per poter proferire le loro menzogne indisturbatamente. Niente di più falso. Sono i “testimoni oculari” ad essere terrorizzati dai revisionisti, perché sanno che sono gli unici in grado di verificare l’attendibilità di ogni loro dichiarazione.
«Quella retorica tuttavia non si limita a negare un fatto provato. Infatti essa contesta non solo le prove, ma le testimonianze di chi sostiene l’esistenza nelle forme e nei modi dello sterminio [?]. Anzi il vero obiettivo del rifiuto delle prove è la convinzione che i sopravvissuti non abbiano diritto di parola. Quel diritto non viene riconosciuto ai sopravvissuti perché la loro natura – e non la loro esperienza – li rende incredibili. Secondo i negazionisti, infatti, essi non sono credibili e non devono essere creduti non perché ciò che dicono si sarebbe dimostrato fondatamente falso, ma perché la loro identità ebraica li qualifica come pericolosi sovvertitori dell’ordine e perché la loro natura li rende “perfidi”. Credereste mai ai nemici irriducibili? Alla fine, dunque, per i negazionisti quei testimoni sono non credibili perché sono ebrei e dunque per natura, raccontano il falso e lo raccontano perché il loro obiettivo sarebbe la conquista fraudolenta del potere. Lungi da non essere mai avvenuto, lo sterminio per i negazionisti non è mai finito. È ideologicamente giustificato perché si basa sull’adesione all’ideologia che l’ha predicato e poi praticato. Alla fine lo si nega, per poter avere l’opportunità di completarlo».
Simili idiozie pisantyane qualificano bene chi le espone ed esimono da qualunque commento. La testimonianza “oculare” di Shlomo Venezia è assurta di recente ai fasti della memorialistica (la storiografia olocaustica, per la sua inconistenza, non l’ha neppure presa in considerazione). La mia relativa critica - «La verità sulle camere a gas»? Considerazioni storiche sulla «testimonianza unica» di Shlomo Venezia (6) - ne demolisce la credibilità sul piano storico, documentario e materiale e rappresenta il modello della confutazione categorica delle scempiaggini proferite dall’articolista.

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4.
Le “prove”

Per quanto riguarda la cifra dei morti di Auschwitz, Bernardo Valli si appella a Jean-Claude Pressac, ignorando che la revisione numerica da lui proposta fu subito considerata eretica dal Museo di Auschwitz, che si affrettò a lanciargli una solenne scomunica, le cui conseguenze egli patì fino alla morte.
Secondo Pressac, dunque, ad Auschwitz vi furono da 470.000 a 550.000 ebrei gasati «non iscritti» (= non immatricolati), più 126.000 detenuti «iscritti», cioè «gasati per malattia, debilitamento», ma Pressac dice semplicemente «deceduti», più altri 35.000 tra prigionieri di guerra e zingari, e conclude:
«Complessivamente dunque stiamo parlando di una quantità di persone gasate tra i 631 mila e i 711 mila. Nessuno di questi numeri è stato contestato dai negazionisti. Nessuno di loro ha mai risposto a Pressac. Questa cosa non fa pensare? ».
Preciso subito che, in tale elenco, i decessi documentati sono soltanto quelli riguardanti i detenuti immatricolati. Anzi, a rigor di termini, non è esatto neppure questo, perché il numero dei decessi documentato è di 68.864 (7), anche se la cifra di 126.000 proposta da Pressac si avvicina molto alla realtà.
Quanto al resto, sta di fatto che né Pressac, né alcun altro storico ha mai dimostrato documentariamente che ad Auschwitz sia stata gasata una sola persona.
La reboante affermazione successiva è sorprendente: nessun revisionista ha mai contestato Pressac! Perbacco: la cosa non fa pensare?
Se si fosse degnato di informarsi un pochino di prima mano, invece di affidarsi ciecamente ai soliti mentecatti, l’articolista saprebbe che risposi al libro in questione di Pressac fin dal 1994, prima ancora che ne uscisse la traduzione italiana (8). I migliori scritti revisionistici sull’argomento, redatti da R. Faurisson, G. Rudolf, S. Thion e da me, furono pubblicati in un unico volume lo stesso anno (9).
Pressac non ha mai risposto nulla né a me, né a nessuno degli altri critici, sicché è vero esattamente il contrario di ciò che scrive Bernardo Valli.
Per quanto mi riguarda, ho contestato anche la cifra dei presunti gasati, dimostrando la sua totale inconsistenza (10).
Visto che ha tirato in ballo Pressac, il nostro articolista sarà senza dubbio lieto di apprendere che in una lunga intervista da lui concessa a Valérie Igounet 15 giugno 1995, lo storico francese sconvolse i cardini della storiografia olocaustica dichiarando:
«Quanto al massacro degli ebrei, molte nozioni fondamentali devono essere completamente corrette. Le cifre proposte [dalla storiografia ufficiale] sono da rivedere da cima a fondo. Il termine di “genocidio” non va più bene» («le terme “génocide” ne convient plus») (11).
Il quadro storiografico olocaustico relativo ai “campi di sterminio” è in effetti inconsistente, come risulta dalla seguente tavola:

campo camere a gas secondo la storiografia olocaustica numero delle vittime secondo l’Enzyklopädie des Holocaustprove documentarie e/o materiali
Chelmno2 o 3 “Gaswagen”152.000-320.000nessuna
Belzec 3, poi 6 600.000nessuna
Sobibor 3250.000nessuna
Treblinka 3, poi 6 o 10738.000nessuna
totale23 o 28 1.740.000-1.908.000nessuna

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In pratica si pretende che nei suddetti “campi di sterminio” siano esistite da 23 a 28 “camere a gas” (fisse o mobili), in cui sarebbero stati gasati da 1.740.000 a 1.908.000 ebrei senza che sussista la minima prova documentaria o materiale.

Passiamo al campo di Auschwitz. Ecco il quadro delle “camere a gas” provvisorie:
impiantonumero delle
“camere a gas”
prove documentarie e/o
materiali
«indizi criminali»(criminal traces)
crematorio I1nessunanessuno
“Bunker 1”2 nessunanessuno
“Bunker 2”4 nessunanessuno

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Con queste, le “camere a gas” per le quali non esiste nessuna prova documentaria o materiale salgono a 30-35.
Per i crematori di Birkenau, Pressac nel 1989 (12) annunciò la scoperta di 39 «indizi criminali» (criminal traces), così ripartiti:
crematorio II: 11
crematorio III: 7
crematori IV e V: 15.
A 39 Pressac arrivava aggiungendo le varie menzioni del medesimo indizio. In realtà, raggruppando nelle singole voci le numerose ripetizioni, gli indizi criminali si riducevano a 9.
Nel 1993 egli aggiunse altri 6 indizi (13) e uno fu trovato successivamente da Robert Jan van Pelt (14).

Approfitto di questa occasione per annunciare la prossima pubblicazione del mio studio Le camere a gas di Auschwitz. Studio storico-tecnico sugli «indizi criminali» di Jean-Claude Pressac e sulla «convergenza di prove» di Robert Jan van Pelt, che costituisce la demolizione scientifica, totale e radicale di tutte le presunte prove a favore delle “camere a gas” di Auschwitz. Il documento in pdf è già pronto e conta circa 720 pagine, di cui circa 660 di testo, con 51 documenti.
Presento l’indice della Parte Prima (circa 200 pagine), dal quale risulterà già visivamente quanto «il negazionismo non abbia nulla di scientifico e neppure scalfisca gli studi e le testimonianze dirette sulle tecniche di sterminio nei campi di concentramento nazisti».
Infatti!
PARTE PRIMA
Introduzione
Capitolo 1 - Gli «indizi criminali»

1.1. Gli antecedenti storici
1.2. L’archivio della Zentralbauleitung di Auschwitz
1.3. Premessa metodologica
1.4. I 39 «indizi criminali»
1.4.1. Indizi per il crematorio II
1.4.2. Indizi per il crematorio III
1.4.3. Indizi per i crematori IV e V
1.4.4. Indizi supplementari (crematori II e III)
1.4.5. Altri indizi
1.5. Considerazioni preliminari
1.6. Determinazione cronologica degli indizi e suo significato
1.6.1. Indizi relativi al crematorio II
1.6.2. Indizi relativi al crematorio III
1.6.3. Indizi relativi ai crematori IV e V
1.7. Contraddizioni di fondo
1.8. Il sistema di ventilazione dei Leichenkeller 1 e 2 dei crematori II e III
1.9. I montacarichi dei crematori II e III
1.9.1. Storia dei montacarichi dei crematori II e III
1.9.2. I montacarichi al processo Irving-Lipstadt

Capitolo 2 - Gli «indizi criminali» per il Crematorio II

2.1. - «Vergasungskeller»
2.1.1. Il valore dell’indizio
2.1.2. Il contesto storico
2.1.3. Il significato del documento
2.1.4. La funzione del «Vergasungskeller»
2.1.5. Obiezioni e risposte
2.1.6. I commenti e le obiezioni di van Pelt
2.1.7. «Gaskeller»
2.2. - «Gasdichtetür», «Gastür»
2.3. - «Auskleideraum», «Auskleidekeller» e baracca davanti al crematorio II
2.3.1. «Auskleideraum» e «Auskleidekeller»
2.3.2. Origine e funzione dell’ «Auskleideraum» del crematorio II di Birkenau
2.3.3. La baracca davanti al crematorio II
2.3.4. Van Pelt e l’ «Auskleidekeller»
2.4. «Sonderkeller»
2.5. - «Drahtnetzeinschiebevorrichtung» e «Holzblenden»
2.5.1. La scoperta degli indizi
2.5.2. Significato dei termini e localizzazione dei congegni
2.5.3. La testimonianza di Michał Kula
2.5.4. Che cosa non erano i «Drahtnetzeinschiebevorrichtungen»
2.5.5. I commenti di van Pelt
2.6. «Gasprüfer» e «Anzeigegeräte für Blausäure-Reste»
2.6.1. L’interpretazione di Pressac
2.6.2. La destinazione d’uso dei «Gasprüfer»
2.6.3. Il contesto storico
2.6.4. Il contesto burocratico
2.6.5. I problemi lasciati insoluti da Pressac
2.6.6. Che cos’erano i «Gasprüfer»?
2.6.7. Prüfer e i «Gasprüfer»
2.7. «Warmluftzuführungsanlage»
2.7.1. Posizione del problema
2.7.2. La spiegazione di Pressac
2.7.3. La spiegazione di van Pelt
2.8. «Holzgebläse»
2.9. Eliminazione dello scivolo per i cadaveri
2.9.1. La pianta 2003 del 19 dicembre 1942 e il suo significato
2.9.2. Il mascheramento dello scivolo

Capitolo 3 - Gli «indizi criminali» secondari relativi al Crematorio II

3.1. Origine e definizione degli «indizi criminali» secondari
3.2. Considerazioni generali
3.3. Il sistema di drenaggio del crematorio II
3.4. L’apertura di un ingresso nel Leichenkeller 2
3.5. La direzione di apertura della porta del Leichenkeller 1
3.6. Sostituzione di una porta a due ante con una ad una sola anta (a tenuta di
gas) nel Leichenkeller 1
3.7. Eliminazione dei rubinetti nel Leichenkeller 1
3.8. Eliminazione del Leichenkeller 3

Capitolo 4 - Gli «indizi criminali» per il Crematorio III

4.1. L’interpretazione di Pressac
4.2. Il contesto storico
4.3. Le basi di legno delle presunte «docce finte»
4.4. La «Gasdichtetür»

Capitolo 5 - Gli «indizi criminali» per i Crematori IV e V

5.1. Esposizione degli indizi
5.2. Progettazione dei crematori IV e V: il progetto iniziale
5.3. Progettazione dei crematori IV e V: il primo progetto operativo
5.4. Progettazione dei crematori IV e V: il secondo progetto operativo
5.5. Progettazione dei crematori IV e V: il terzo progetto operativo
5.6. Tecnica di gasazione
5.7. Sistema di introduzione dello Zyklon B
5.8. Van Pelt e le «12 St. gasdichten Türen»
5.9. La ventilazione naturale
5.10. La ventilazione meccanica
5.11. Analisi della pianta 2006 dell’11 gennaio 1943

Capitolo 6 - Gli «indizi criminali» di carattere generale

6.1. «Normalgaskammer»
6.2. Perché le SS non usarono a scopo omicida le camere a gas Degesch-Kreislauf?
6.3. «Verbrennung» e «Sonderbehandlung»
6.3.1. Il documento
6.3.2. Il «contesto storico» secondo van Pelt
6.3.3. Gli errori di van Pelt
6.3.4. Il vero contesto storico
6.3.5. Il significato del documento

Capitolo 7 - I presunti «indizi criminali» per i Bunker di Birkenau

7.1. Precisazione sul titolo
7.2. - «Sonderbehandlung»
7.2.1. La tesi di Pressac
7.2.2. I rapporti esplicativi di Bischoff
7.2.3. Le quattro baracche «für Sonderbehandlung» e i Bunker di Birkenau
7.2.4. «Sonderbehandlung» e «Entwesungsanlage»
7.3. Le «Badeanstalten für Sonderaktionen»
7.3.1. Le spiegazioni di Pressac
7.3.2. Un progetto non realizzato
7.3.3. «Badeanstalten» e forni crematori
7.3.4. La spiegazione di van Pelt
7.4. «Sperrgebiet»
7.5. «Material für Sonderbehandlung»
7.6. I «Materialien für Judenumsiedlung» e il «rapporto» Franke-Griksch
7.6.1. I «Materialien für Judenumsiedlung»
7.6.2. Il «rapporto» Franke-Griksch e i commenti di Pressac
7.6.3. Analisi critica dei commenti di Pressac

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(1) In rete: http://www.aaargh.com.mx/fran/livres4/sbara1.pdf. Torna al testo.

(2) Atti del processo di Norimberga. Ed. Tedesca, vol. XIX, p. 440. Torna al testo.

(3) Idem, vol. I, p. 16. Torna al testo.

(4) URSS-93. trad. ted., pp. 41-42, 44 e 45-46. Torna al testo.

(5) http://civiumlibertas.blogspot.com/2007/11/slomo-in-grande-emozione-con-veltroni-e.html#baynac. Torna al testo.

(6) Idem. Torna al testo.

(7) T. Grotum, J. Parcer, «EDV-gestützte Auswertung der Sterbeeinträge», in: Sterbebücher von Auschwitz. A cura del Museo di Stato di Auschwitz-Birkenau. K.G. Saur. Monaco, New Providence, Londra, Parigi, 1995, vol. I, p. 237. Torna al testo.

(8) Auschwitz: fine di una leggenda. Considerazioni storico-tecniche sul libro di Jean-Claude Pressac Les crématoires d’Auschwitz. La machinerie du meurtre de masse. Edizioni di Ar, 1994. Torna al testo.

(9) Auschwitz: Nackte Fakten. Eine Erwiderung an Jean-Claude Pressac. Stiftung Vrij Historisch Onderzoek v.z.w., Berchem, 1995. Riedizione americana: Auschwitz: Plain Facts. A Response to Jean-Claude Pressac. Theses & Dissertations Press.Chicago, Illinois, 2005. Torna al testo.

(10) Il numero dei morti di Auschwitz. Vecchie e nuove imposture. I Quaderni di Auschwitz, 1. Effepi, Genova, 2004. Torna al testo.

(11) V. Igounet, Histoire du négationnisme en France. Éditions du Seuil, Parigi, 2000, p. 641. Torna al testo.

(12) J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers. The Beate Klarsfeld Foundation, New York, 1989. Torna al testo.

(13) J.-C. Pressac, Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945. Feltrinelli, Milano, 1994. Torna al testo.

(14) R. J. van Pelt, The Case for Auschwitz. Evidence from the Irving Trial. Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, 2002. Torna al testo.
Carlo Mattogno
6 febbraio 2009