Faccio seguito
ad un mio articolo con lo stesso titolo per aggiungervi qualcosa, ma anche per
analizzare alcune delle reazioni al discorso di Vance e le prime mosse di Trump
sulle trattative per far cessare la guerra in Ucraina.
Particolarmente
interessanti sono quelle dei guerrafondai
italiani (e non solo) delusi. Non
potendo schierarsi contro il tentativo di Trump di trattare la pace, sostengono
(soprattutto) due tesi.
La prima che
occorre rispettare il diritto internazionale: l’aggressore (criminale) va
sempre punito. A certe anime belle (quanto
ipocrite) va ripetuto che la storia trabocca di aggressioni finite con accordi
di pace che riconoscevano (le ragioni e) le conquiste (in parte e talvolta in
tutto) degli aggressori. La guerra è nomogenetica:
genera un ordine nuovo che è la base e la conseguenza della pace raggiunta. A
non prendere atto della realtà la pace non si fa mai.
Come del pari,
spesso è polemogenetico il diritto:
sempre la storia (e non solo) è gravida di guerre nate per pretese giuridiche –
alcune fondate, altre no – invocate a sostegno del perseguimento di interessi
dei belligeranti. Peraltro nel conflitto russo-ucraino è tutt’altro che
insostenibile che la mancata attuazione degli accordi di Minsk e la guerra strisciante
contro le minoranze russofone costituissero valide ragioni per l’“operazione
militare speciale” di Putin.
Resta il fatto
che, se non si tratta per un nuovo ordine, la conseguenza non può essere che la
prosecuzione della guerra, contrariamente a quanto le teste – hegelianamente
gonfie di vento – di chi vorrebbe il ritorno allo statu quo ante, come condizione per la pace. Ossia la sconfitta
dell’aggressore.
La seconda tesi
è surreale: si sostiene che non si
può far la pace con Putin perché è un nemico.
A parte l’ovvia replica che per far cessare (lo stato di) guerra occorre
trattare la pace con il nemico, giacché non si è mai vista una trattativa con
un non belligerante, per assenza di oggetto,
occorre comunque considerare che, atteso lo stato di potenziale inimicizia in
cui si trovano i soggetti di diritto internazionale per natura, non sia opportuno
che la pace coinvolga (anche) qualche non belligerante, i cui interessi possono
essere compromessi da una guerra.
Ma questo non
esclude che essenziale della pace è che la trattativa abbia come soggetti gli
Stati nemici e in guerra. Nemici reali
e attuali, non potenziali.
In terzo luogo,
e come conseguenza ventilata e implicita: trattare e non dettare è il miglior
sistema per concludere una pace durevole. Il che significa farsi carico anche
degli interessi e delle aspettative del nemico. Un pessimo esempio dell’inverso
fu il “trattato” di Versailles, non negoziato con la Germania, ma imposto e per
questo denominato “dettato”. E di cui Papa Benedetto XV disse che il di esso
effetto sarebbe stata una nuova guerra tra vent’anni (previsione esatta anche
nei tempi).
Quarto:
rispettare il diritto internazionale restituendo le terre occupate ante bellum dicono i buoni. E l’attuale
situazione di fatto? Questo è proprio il contrario della situazione al fronte:
dove Putin ha occupato praticamente tutta l’area russofona dell’Ucraina, per
cui non è chiaro perché dovrebbe restituirla, ma d’altra parte sarebbe suo
interesse evitare una pace troppo dura per l’Ucraina.
Quinto: non
insistere tanto, al contrario di quanto fanno i guerrafondai in servizio
permanente effettivo, sulla criminalizzazione di Putin, per una serie di ottime
ragioni. La prima delle quali è ch’è decisamente strano trattare con un
criminale. E non distinguere questo dal nemico, come già nel diritto romano “‘Hostes’ hi sunt, qui nobis aut quibus nos
publice bellum decrevimus: ceteri ‘latrones’ aut ‘praedones’ sunt”. Distinzione
che è passata nel diritto internazionale (westfaliano); il suo tramonto
(parziale) ha connotato le guerre “assolute” del XX secolo (le due mondiali e
quelle di decolonizzazione).
Su “L’Opinione
delle libertà” Savarese, Sola e Holmes hanno ricordato le incongruenze, le
falsificazioni della realtà, le omissioni di una propaganda anti-russa che ha
raggiunto (e talvolta sorpassato) i limiti del ridicolo, ora stigmatizzata
della nuova amministrazione Trump. Holmes ha più diffusamente di quanto da me
fatto (v. il “Primo della classe”) sottolineato la corrispondenza tra le prime
mosse di Trump e i consigli di Machiavelli, in particolare ai governanti
innovatori, di stare accorti perché toccano interessi consolidati. Segnatamente
le mosse del nuovo Presidente, come il discorso di Vance, denotano la
consapevolezza dei governanti americani di essere il cambiamento in atto più un
passaggio d’epoca che una sostituzione di un governo con uno di segno opposto.
* * *
Mentre termino
di scrivere queste righe si è votato in Germania. Nell’articolo “Avanti il
prossimo” mi riferivo (nell’immediato) proprio a Scholz, puntualmente defenestrato dai suoi elettori, secondo un
copione che va avanti in occidente da diversi anni, invariato. I partiti anti establishment aumentano sempre e
spesso vanno al governo. Quando non ci riescono i governi messi su sono
instabili, come notato da Vance. Come
invariate sono le reazioni (e le veline mainstream
conseguenti) delle élite europee (in lista di sbarco).
Nessun commento:
Posta un commento