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Questa recensione di un libro, di Nigel Warburton, ha una sua singolarità, perché se ne vuole illustrare il contenuto e le problematiche, con un caso specifico, i cui sviluppi seguiremo nel loro divenire. Un tranquillo medico di paese, Cuveglio, svolge con scienza e coscienza la sua professione, di animo gentile e sempre disponibile ai suoi pazienti. Come ogni medico risponde per telefono a quanti lo cercano, buoni e cattivi. Questa volta è capitato il “cattivo”, che non telefona per farsi curare di qualche cosa, ma per spiare sugli interessi del medico, estranei all’arte medica. Ognuno di noi ha un mestiere, ma quando non esercita la professione, può avere gli interessi più disparati, rigorosamente distinti dalla professione. La tecnica manipolatoria degli articolisti di Repubblica si caratterizza ripetutamente per la commistione fra i due piani. Una immagine che mi viene in mente è tratta da ciò che sta succedendo in Egitto, dove vi è chi ha interesse a suscitare la guerra civile. Tutti sanno della cinquantina di morti. L’esercito dice di aver risposto al fuoco dei manifestanti. I Fratelli Musulmani dicono di essere innocenti. Hanno forse ragione entrambi: dai tetti sparavano dei cecchini che non appartenevano né all’esercito né ai fratelli musulmani, ma che evidentemente hanno interesse a scatenare una guerra civile fra gli uni e gli altri. È con ogni verosimiglianza anche questa la strategia domestica di Repubblica, che punta sulle convinzioni private e personali di un onesto medico di provincia e sulla reazione che queste opinioni private possono suscitare da parte di altri, opportunamente istigati dal sistema mediatico messo in movimento dal secondo quotidiano d’Italia. È una strategia che “La Repubblica” segue da anni, avvalendosi di una squadra ad hoc costituita ed assemblata. Seguendo e collegando episodi in apparenza scollegati e casuali ne viene fuori una situazione che ben si collega al libro di Warburton, che andremo leggendo e collegando sulla filigrana di un caso specifico, dalla sua genesi alla sua evoluzione in itinere.
L’agile volumetto è preceduto da una Introduzione del traduttore, Davide Cadeddu, il quale opportunamente osserva in limine che per il 2013 l’Italia è classificata al 57° posto su 179 paesi per la “libertà di stampa”. Io vado ripetutamente osservando che libertà di stampa, libertà di parola e libertà di pensiero non sono la stessa cosa. Anzi il mio contributo vuole consistere nella rilevazione della frequente contrapposizione fra libertà di stampa e libertà di pensiero, e spesso anche libertà di parola, se si considerano i modi frequenti in cui i giornali eludono il diritto di replica previsto a tutela dei cittadini da una legge del 1948. E possiamo anche documentare come la magistratura è perfino complice in questa elusione. Dobbiamo però procedere per gradi e chi ci segue deve aver pazienza, poiché la nostra scrittura è in tempo reale, in progress. Ciò è consentito dalla rivoluzione di internet che elimina lo iato fra i tempi di ideazione, i tempi di stampa, ed i tempi di pubblicazione e distribuzione.
Andando avanti nella lettura, e saltando spunti interessanti sui reati di opinione e sulla diffusa pratica dell’autocensura, fa al nostro caso una citazione di Frank La Rue, ossia un signore che è ancora nell’anno corrente il relatore dell’ONU per la libertà di espressione. La citazione suona: «In Italia c’è una concentrazione di gruppi di potere che manipolano l’opinione pubblica». Tornando al nostro “caso” non vi è dubbio alcuno che di “manipolazione” si tratta e siamo perfino in grado di individuare con nome e cognome i “gruppi di potere”, con mandanti e scagnozzi incaricati dell’esecuzione. Non vi è dubbio di sorta che l’articolista di Repubblica, il Tale di cui evitiamo di fare il nome, non avesse da farsi curare le emorroidi o il mal di pancia, telefonando al medico Valli, il cui Ambulatorio viene trasformato in una biblioteca specializzata ed i pazienti che vi si recano abitualmente in cultori di studi storici. La “manipolazione” è evidente e consiste nel mescolare un hobby privato con l’esercizio dell’arte medica e della relativa deontologia: il medico Valli non ha mai chiesto ai suoi pazienti come la pensassero su qualsiasi argomento prima di fare la sua diagnosi della malattia e quindi somministrare i relativi farmaci. Ma l’articolista di Repubblica mette insieme i dolori causati dalle emorroidi con le tragedie della seconda guerra mondiale, per la quale gli storici di professione – non i medici – aspettano la prossima apertura degli archivi di Washington e di Mosca. Non sembra neppure che il detto Articolista sia egli stesso un cultori storici che desideri confrontarsi dialetticamente e criticamente con quegli argomenti di storia su cui il medico ha una produzione imponente. L’interesse dell’articolista di Repubblica per il medico Valli non è né di carattere medico (visita privata per cura delle emorroidi, il mal di pancia o altro), né di carattere storico (chiedere lumi o avanzare puntuali critiche), ma solo di carattere diffamatorio e demonizzante. Se fossimo noi dei magistrati, apriremmo noi un fascicolo su questo articolista e sui suoi mandanti. Ne verrebbe forse il reticolato di quella “manipolazione” di cui parla Frank La Rue, relatore dell’ONU per la libertà di espressione.
E qui ci fermiamo, rinviando ad altro post, lo sviluppo del nostro discorso, mentre proseguiamo nella istruttiva lettura del libro di Nigel Warburton ed aspettiamo gli sviluppi e gli effetti del lancio della “notizia” da parte di Repubblica e del suo articolista, le cui cantine per reciprocità dovrebbe essere indagate con lo stesso diritto con cui costui pensa di setacciare ed infangare la vita di un galantuomo, che non è il medico Valli, ma è ognuno di noi che nei pieno rispetto delle leggi della stato e nel puntuale minuzioso pagamento delle tasse pensa di avere almeno il diritto alle proprie private opinioni ed a condurre la propria vita, protetto dalla legge delle stato e dalle sua massime statuzioni che si rammentano qui di seguito:
Primo emendamento della costituzione degli Stati Uniti di America, ai quali siamo soggetti e che sul loro territorio hanno un rispetto per la libertà di pensiero alla quale noi “cupidi servi” abbiamo rinunciato spontaneamente senza esserne neppure richiesti:
A tutti noto dovrebbe essere l’Art. 21 della costituzione italiana sul quale ritorneremo ancora. Nel 1948 la legislazione italiano produsse anche la legge sulla stampa. che prevede il diritto di replica, di rettifica, smentita. Documenteremo il modo in cui questo obbligo viene disatteso dalla stampa nostrana, che gode impunemente del diritto di diffamare e denigrare. Se qualcuno, toccando gli stessi giudici, non i comuni cittadini, ci incappa, allora viene prontamente “graziato”.
L’agile volumetto è preceduto da una Introduzione del traduttore, Davide Cadeddu, il quale opportunamente osserva in limine che per il 2013 l’Italia è classificata al 57° posto su 179 paesi per la “libertà di stampa”. Io vado ripetutamente osservando che libertà di stampa, libertà di parola e libertà di pensiero non sono la stessa cosa. Anzi il mio contributo vuole consistere nella rilevazione della frequente contrapposizione fra libertà di stampa e libertà di pensiero, e spesso anche libertà di parola, se si considerano i modi frequenti in cui i giornali eludono il diritto di replica previsto a tutela dei cittadini da una legge del 1948. E possiamo anche documentare come la magistratura è perfino complice in questa elusione. Dobbiamo però procedere per gradi e chi ci segue deve aver pazienza, poiché la nostra scrittura è in tempo reale, in progress. Ciò è consentito dalla rivoluzione di internet che elimina lo iato fra i tempi di ideazione, i tempi di stampa, ed i tempi di pubblicazione e distribuzione.
Frank La Rue |
Nigel Warburton |
Primo emendamento della costituzione degli Stati Uniti di America, ai quali siamo soggetti e che sul loro territorio hanno un rispetto per la libertà di pensiero alla quale noi “cupidi servi” abbiamo rinunciato spontaneamente senza esserne neppure richiesti:
“Il Congresso non potrà fare alcuna legge […] che limiti la libertà di parola, o quella di stampa, o quella del popolo di riunirsi pacificamente, e di rivolgere petizioni al governo per la riparazione dei torti”.Dichiarazione universale dei diritti umani, del 1948, che al suo articolo 19, dovuto alla mano di Stephen Hessel. così recita:
«Ognuno ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione. Questo diritto include la libertà di sostenere opinioni senza interferenze e di cercare, ricevere e fornire informazioni e idee in qualunque forma e senza riguardo delle frontiere».Questo articolo va integrato il “General comment No. 34”, della Commissione dei diritti umani, riunitasi a Ginevra nel periodo 11-29 luglio 2011, che invitava espressamente gli stati al rispetto della libertà di pensiero senza alcuna limitazione fatta discendere dalle leggi memoriali. Ma di ciò ci dovremo occupare a parte, anche traducendo tutto il testo del commento. Per adesso possiamo rilevare una violazione dell’art. 19 nel tentativo legislativo in atto di introdurre anche il Italia il reato di “diffusione” di pensieri proibiti. Per cui avremo anche noi il caso di un padre di famiglia tedesco che si è trovato condannato a 9 mesi di carcere, scontando la pena, per il solo reato di aver prestato ad un amico un libro “proibito”, il cui autore sconta ancora in carcere 12 anni per averlo scritto quel libro. Forse neppure nei tempi più “bui” del medioevo!
A tutti noto dovrebbe essere l’Art. 21 della costituzione italiana sul quale ritorneremo ancora. Nel 1948 la legislazione italiano produsse anche la legge sulla stampa. che prevede il diritto di replica, di rettifica, smentita. Documenteremo il modo in cui questo obbligo viene disatteso dalla stampa nostrana, che gode impunemente del diritto di diffamare e denigrare. Se qualcuno, toccando gli stessi giudici, non i comuni cittadini, ci incappa, allora viene prontamente “graziato”.
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