Carlo Gambescia, Liberalismo triste, Edizioni Il Foglio, Piombino 2012, pp. 152, € 14,00.
C’è un virus nella modernità (e non solo; ma in questa è particolarmente sviluppato): quello di credere di plasmare il mondo a proprio piacimento. Ed è sicuramente vero che il progresso della scienza e della tecnica ha portato a realizzazioni mai raggiunte nella storia.
C’è un virus nella modernità (e non solo; ma in questa è particolarmente sviluppato): quello di credere di plasmare il mondo a proprio piacimento. Ed è sicuramente vero che il progresso della scienza e della tecnica ha portato a realizzazioni mai raggiunte nella storia.
Carlo Gambescia |
Ove fosse, in un futuro, scoperta la formula magica per eliminarlo, libertà fondamentali, distinzione dei poteri, controlli sui governanti sarebbero altrettanto inutili dei frigoriferi al Polo Nord. Così l’antropologia politica più consona al liberalismo è quella espressa con sintetica efficacia nel saggio n. 51 del “Federalista”: “se gli uomini fossero angeli non occorrerebbe alcun governo. Se fossero gli angeli a governare gli uomini, ogni controllo interno o esterno sul governo diverrebbe superfluo…”. Ma siccome sono gli uomini a governare gli uomini sono necessari sia i governi che i controlli sui medesimi.
Ciò non toglie che anche se in misura meno virulenta - dati i presupposti – anche il liberalismo abbia contratto tale patologia. È questo il filo conduttore del libro di Gambescia che identifica nel liberalismo “triste” o “archico” quel filone liberale che non ha mai perso i contatti con la realtà, le sue leggi e le “regolarità” del politico.
E che è ottimamente rappresentato (per ricordare i pensatori citati da Gambescia) da Burke, Tocqueville, Pareto, Mosca, Max Weber, Ferrero, Croce, Ortega y Gasset, De Jouvenel, Röpke, Aron, Freund, Berlin, e chi scrive aggiungerebbe, tra gli altri, Montesquieu, non solo per (l’enorme) contributo al costituzionalismo moderno e al liberalismo “triste”, dato l’acuto realismo che connota la sua opera e che lo riconduce, decisamente, al “liberalismo archico”. Legame con la realtà che si attenua – anche se non si perde del tutto – nei filoni di liberalismo ridens, cioè il micro-archico (Hume e Adam Smith capi-fila) che teorizza lo “Stato minimo”; quello anarchico che respinge anche l’idea di “Stato minimo”, ed è basato sull’identità naturale degli interessi, e quindi il più vicino alla patologia anti-realista (Rothbard, Hoppe, Block); il liberalismo macro-archico che rivaluta “non tanto il politico, ma il potere pubblico di governo” che diviene lo strumento per incrementare la libertà, specie dei più svantaggiati (Hobhouse, Stuart Mill, Rawls).
Isaiah Berlin |
Teodoro Klitsche de la Grange
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