Come scrive l’autore nella premessa “pochi sembrano aver compreso il carattere per certi aspetti religioso di quell’invenzione tutta europea e moderna che è appunto lo Stato.
La presente analisi focalizza allora l’attenzione su due aspetti: da un lato – sulla scorta di una consolidata letteratura – sottolinea come nel corso della modernità il potere abbia fatto ripetutamente ricorso a una qualche legittimazione di carattere sacro; dall’altro, punta a evidenziare come la nascita e il rafforzamento delle istituzioni statuali abbiano reso le nostre esistenze sempre più trasparenti e manipolabili, proprio mentre il dominio del ceto politico si faceva quanto mai opaco e impenetrabile”.
In effetti tale consapevolezza – del rapporto tra teologia e politica – è stato poco frequentata nel pensiero italiano, ancora meno in quello contemporaneo, a differenza di quanto accadeva altrove, in Germania e Francia in particolare.
Ancora nel secolo scorso due pensatori come Dumezil e Girard hanno argomentato (e provato) i legami tra ordine metafisico e ordine politico, e tra violenza e sacro; i giuristi francesi, Hauriou in particolare, quello tra dottrina del diritto divino e ordinamento statale; Schmitt ha riportato all’attenzione generale il rapporto tra teologia e diritto (e relativi concetti), riprendendo il pensiero dei teorici controrivoluzionari. Per cui la pretesa che la modernità abbia potuto fare a meno del sacro, o quanto meno della metafisica, è un’affermazione così copiosamente smentita nella storia delle idee – e delle istituzioni – che meraviglia come qualcuno creda il contrario; e più ancora di aver così trovato la chiave (la soluzione dell’enigma della storia, per copiare Marx) per separare concezioni teologico-metafisiche e istituzioni politiche.
Vogliamo fare un esempio? Quando molti – in genere atei praticanti – sostengono che la nostra costituzione è (sacra) e “immodificabile”, non fanno che attribuirle caratteri che il pensiero ebraico e cristiano ha riconosciuto alle Tavole date da Dio a Mosé sul Monte Sinai. E che la teologia cristiana non ha ritenuto propri di alcuna opera umana, proprio perché umana. Di conseguenza la concezione del diritto divino provvidenziale (che è uno dei due grandi “filoni” d’interpretazione della frase di S. Paolo non est potestas nisi a Deo, ed è quella di S. Tommaso e di alcune sette riformate, specie calviniste) ritiene che l’ordinamento politico è modellabile e modificabile dal popolo (il potere costituente – si direbbe dopo Sieyès, non a caso abate e allievo dei Gesuiti – appartiene al popolo). Per l’altra, il diritto divino soprannaturale (la concezione di Lutero, Calvino, Bossuet) non appartiene al popolo, ma, in sostanza, all’autorità legittima (cioè al monarca) il quale, pertanto, può modificare il diritto positivo vigente (anche se sul punto occorrerebbe fare dei distinguo, che esulano dai limiti di questa recensione).
Per cui ritenere che un’opera umana come la costituzione vigente debba valere in eterno, è attribuirle il proprium che solo una legge divina (letteralmente, voluta da Dio) possiede, ed è un bell’esempio di teologia politica inconsapevole, e anzi ammantata di “libero pensiero” (più libero che pensiero): ma che dimostra l’ineluttabilità del rapporto tra ordine politico e ordine teologico-metafisico.
Lottieri sottolinea i caratteri progressivamente crescenti del ricorso alla legittimazione sacra del potere statale, sia da parte dei sovrani che dei loro “ideologi”, che come riducevano il potere della Chiesa (limitandone in primis la funzione pubblica) così ne mutuavano sostegni e legittimazioni.
Ne deriva che lungi dall’essere ideologicamente “neutro” il potere statale ha ripreso anche pretese (e giustificazioni) a carattere religioso. Per cui è di una laicità più apparente che reale, ma soprattutto di un’invadenza totalizzante.
Il tutto fu visto chiaramente dai teorici controrivoluzionari: da Donoso Cortes nel Discurso sobre la dictadura; come, sempre da Donoso – e prima di lui da de Bonald – nel sottolineare il rapporto tra teologia e”ideologie” – e istituzioni – politiche. Per cui alla monarchia tradizionale (assoluta) corrisponde il teismo; a quella liberale il deismo; al socialismo (sosteneva Donoso) l’ateismo.
Per cui come scrive Lottieri “la secolarizzazione non si affermerà solo come de-sacralizzazione, ma anche quale ri-sacralizzazione ed essa investirà del numinoso la Ragione, la Storia e, senza dubbio, lo Stato”; e in tal senso anche la situazione contemporanea, in cui c’è l’evidente tentativo di costruire una sovranità globale (o quanto meno soprastatale)anche – anzi soprattutto col richiamo ai “diritti umani”, non sfugge alla logica del rapporto teologia-politica, tra ordine metafisico e ordinamento socio-politico.
Del quale, tra coloro che l’hanno affermato, l’enunciazione più chiara è quella formulata da Maurice Hauriou: che il diritto è un involucro (couche) che avvolge un nocciolo (fond) teologico (ovviamente, per Hauriou il diritto è istituzione, nella specie statale).
Nei momenti di crisi (cioè di fondazione di un nuovo ordine) ossia nel gouvernement de fait (che è qualcosa di molto più decisivo e intenso dell’Hausnamezustand di Schmitt), il nucleo teologico-metafisico riemerge in tutto il suo potere ed effetto ordinatore generando un nuovo diritto (ovvero un nuovo assetto istituzionale). Per cui chi pensa che lo Stato – che è una specifica forma in cui si esercita il potere politico - possa sfuggire al rapporto con il fond teologico, appartiene alla categoria degli ingenui, che credono d’aver scoperto l’utopia sull’uscio di casa o a quella degli ipocriti commedianti, Dulcamara che vendono l’acqua fresca come elisir, oggigiorno della “fine della storia”.
Categorie molto frequentate, per vaccinarsi dalle quali è consigliabile la lettura di questo libro.
Teodoro Klitsche de la Grange
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