mercoledì 4 luglio 2012

Esiste una «etica “ebraica”»? Analisi degli scritti di Donatella De Cesare comparata con altri testi (Atzmon, Shahak...) sullo stesso argomento

 Post in elaborazione.

Non avremmo voluto occuparci degli scritti di Donatella De Cesare, ma ci troviamo continuamente chiamati in causa per iscritto ed in pubblici convegni, malgrado sia ben noto alla stessa la nostra assoluzione con formula piena per insussistenza del fatto e del diritto in seguito ad una campagna di stampa ordita dal quotidiano “La Repubblica” nell’ottobre 2009 e finalizzata all’introduzione anche in Italia di leggi liberticide che nella sola Germania dal 1994 ad oggi hanno portato ad una stima di 200.000 casi di persone penalmente perseguite per meri reati di “opinione”. Ho detto: “opinione”. Incredibilmente, in un’aula del Palazzo di Giustizia di Roma, la professoressa “ordinaria di filosofia del linguaggio” si è fatta sostenitrice della incriminazione delle “opinioni” in quanto tale, ripetendo uno slogan che si trova costante nella propaganda sionista: “non è un’opinione ma un crimine”. Oltre che con la civiltà giuridica un simile assunto confligge con l’idea stessa di filosofia che è pensiero “libero” o non è. A questa posizione militante della De Cesare si accompagna una pubblicistica che trova sostegno e implementazione in personaggi ed in gruppi che da anni non vedono l’ora di poter mandare dietro le sbarre pacifici e innocui cittadini la cui unica colpa è di non essere loro graditi e di non essere succubi alla politica di Israele in Medio Oriente e soprattutto nei nostri paesi, dove sempre si dice che la differenza fondamentale fra l’attuale regime e quello precedente, fascista, è il fatto del poter parlare liberamente e dire quel che si pensa, giusto o sbagliato che sia. Ma è davvero così? Non pare proprio... L’artificio giuridico, vero e proprio cavillo da Azzeccagarbugli, su cui stanno lavorando è quello di ritenere che determinate opinioni relative a fatti storici di circa 70 anni fa sarebbero di per sé un oltraggio alla dignità delle “vittime” già costituite in “popolo”. Non stiamo ora qui a replicare che chi cerca la verità in ordine a eventi storici non può ledere la dignità di nessuno, ma se mai al contrario si lede la dignità delle persone cui si inibisce l’esercizio del suo diritto umano fondamentale alla libertà di pensiero, di ricerca scientifica, di espressione. La legge sui diritti fondamentali dell’uomo fu scritta dall’ebreo Hessel, che si è “dimesso” dalla sua appartenenza al “popolo ebraico” per i torti che questo ha commesso e commette contro il “popolo palestinese” in nome di una “colpa” sulla quale ai cittadini europei è inibito di poter indagare.

Ma non di questa problematica vogliamo qui occuparci, bensì di una espressione che abbiamo noi stessi sentito dalla viva voce della Donatella De Cesare, al palazzo di Giustizia: l’espressione «etica ebraica». A noi sembra a prima vista una contraddizione di termini perché una “etica” è tale se “universale” e non già “ebraica”, “italiana”, “tedesca”, “cinese”, “esquimese”. Essa attiene all’essere uomo ed all’umanità tutta. Può certo capitare che in un nobile certame fra filosofi per conseguire una maggiore universalità vi siano posizioni discordanti, ma sempre nello sforzo teso a costruire una “etica” che sia per tutti gli uomini, non per un popolo o addirittura per una cerchia ed una setta particolare, come noi crediamo sia quella “ebraica”, al quale il professore israeliano Shlomo Sand non riconosce lo statuto di “popolo” nel senso in cui questo appartiene a tutti gli altri popoli storicamente noti. Su questi problemi capita molto a proposito il libro di Gilad Atzmon sull’identità ebraica e sulle sue politiche identitarie. Per fare un esempio che colga subito l’essenza: perché mai debbono esservi “Ebrei contro l’Occupazione” (ECO) e non semplicemente cittadini che siano contro l’occupazione israeliana dei territori palestinesi? È proprio questo bisogno di anteporre la propria specificità “ebraica” ad ogni cosa che caratterizza – secondo Atzmon – il primatismo razziale ebraico in tutte le sue manifestazioni in apparenza progressiste e democratiche. Gilad Atzmon è un ebreo nato in Israele, dove ha fatto il servizio militare prima di andarsene in Inghilterra, di cui è ora cittadino ad una sola fedeltà. Egli parte dalla posizioni di un altro ebreo, vissuto in Israele e morto nel 2001: Israel Shahak, di cui consideremo pure il libro sull’ebraismo edito anche in italiano. Questo libro inizia con la questione del sabato, con un esempio concreto, dove per l’«etica ebraica» – in pratica il Talmud – non era lecito poter fare una telefonata per salvare la vita di un... goy, di un Gentile. Si fosse trattata della vita di un “ebreo” una deroga sarebbe stata forse possibile, ma non quella di un Gentile. E dunque, Illustre Donatella, di quale «etica ebraica» vogliamo parlare?

I tempi e le modalità di scrittura che ci riserviamo sono quelli che i Lettori di questo blog già conoscono. I testi di partenza che andremo ad esaminare sono quelli della stessa De Cesare, appena comprati in libreria (due libretti), l’edizione inglese e quella francese del libro di Atzmon citato, quello di Shahak e sullo sfondo l’opera di Spinoza. Altri testi potranno aggiungersi strada facendo. Per quanto riguarda gli scritti della De Cesare non salteremo del tutto i brani che riguardano questioni strettamente storiche, la cui analisi demandiamo agli storici «revisionisti» detti diffamatoriamente «negazionisti».  Così ad esempio si trova ancora nel libretto Melangolo della De Cesare la narrativa dei paralumi con pelle umana e delle saponette ricavate da grasso umano. Per puro caso, leggendo un libro di La Guardia, ho appreso che questa esagerazione propagandistica è stata respinta dal governo israeliano. Evidentemente la De Cesare non lo sa e si dimostra più realista del re. Invece, cercheremo di concentrare la nostra attenzione sugli aspetti “etici”, chiedendo anche qualificate consulenze a teologi e colleghi filosofi. Per quanto riguarda la materia storica ci sembra che il maggiore e principale autore sulla «Distruzione degli ebrei d’Europa» sia Raul Hilberg, del quale per meri fini conoscitivi ci eravamo interessati in questo blog. Il suo critico principale è lo il cittadino svizzero Jürgen Graf, che scrisse una critica a Hilberg dal titolo «Il gigante dai piedi di argilla». Noi avevamo tradotto circa un terzo di questo libretto che analizza minutamente le tesi di Hilberg. Pensiamo di poter lecitamente completare questa traduzione, disponibile in questo blog, al solo scopo di poter fornire una informazione di base circa le tesi dette impropriamente e diffamatoriamente “negazioniste”. Questo piano di studi così enunciato si aggiunge a numerosi altri, che non intendiamo interrompere. Pertanto ci riserviamo la massima libertà libertà sui tempi, non avendo nessuna scadenza editoriale o accademica da dover onorare.

(segue)

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