lunedì 4 giugno 2012

Teodoro Klitsche de la Grange: recensione a Carl Schmitt, “Dialogo sul potere”, ora edito da Adelphi

Carl Schmitt (1888-1985)
 Del testo di Schmitt, su cui diamo qui di seguito una recensione ai Lettori di Civium Libertas, siamo stato i primi estimatori e traduttori in Italia, con una traduzione autorizzata dal compianto prof. Joseph H. Kaiser, che curava allora i diritti editoriali di Carl Schmitt. La mia traduzione apparve su “Behemoth”. Seguì poi una nuova edizione del testo presso un editore cui si deve anche qualche libercolo su Schmitt, ascrivibile al genere denigratorio. Esisteva una questione di diritti sulla quale fui incaricato di un intervento, che decisi di sanare, facendo forse male. Segue adesso una edizione Adelphi dello stesso testo, che è assai importante malgrado la sua brevità. Rimandiamo alla nostra Prefazione, che precede la traduzione apparsa in “Behemoth”, per alcune valutazioni sull’importanza del testo nel complesso delle opere schmittiane. Qui accenniamo solo al fatto che per anni siamo stati a conoscenza e partecipi di quelli che nella rubrica di un noto settimanale venivano chiamati i “segreti degli editori”. Lamentiamo purtroppo un certo disordine e disorientamento nella politica editoriale delle opere di Carl Schmitt, seguito alla morte di Joseph H. Kaiser. Spero che si possa presto dar vita ad una conduzione unitaria e non commercialistica delle opere di Schmitt, il cui pensiero continua a conservare nel tempo la sua classicità. E ciò a dispetto di non pochi denigratori che hanno scarsa o nessuna conoscenza dell’opera del grande giurista e filosofo tedesco (1888-1985), contro il quale i più «stupidi» continuano a tirar fuor il suo “nazismo” e “antisemitismo”. Il discorso sarebbe qui lungo e non è questa la sede per affrontarlo nuovamente. Una sola cosa ci piace ricordare del testo, che ci aveva già colpito mentre ne conducevamo la nostra traduzione, ed è la seguente. Chiunque parla del potere non ne parla stando sulla luna, ma vive in questo mondo e si trova necessariamente in un qualche rapporto con il potere stesso: ne può possedere egli stesso o non avere affatto. Può essere al servizio di chi ha il potere o un suo oppositore. Lo stesso concetto si esprime forse anche nel titolo che Schmitt scelse per un’ampia raccolta di suoi saggi, scritti fra il 1921 e il 1939, testi da noi pure tradotti in italiano: Posizioni e concetti in lotta contro Versailles, Weimar, Genf. Rispetto ad ogni fatto che accade si assume sempre una “posizione” e si esprimono dei “concetti”, che non sono necessariamente “ideologia”, ma che nel caso di uno scienziato di primissimo piano come Carl Schmitt  si tratta compiuta filosofia o scienza che dir si voglia. Di questa capacità di vedere le cose al di là di ogni partigianeria abbiamo oggi più bisogno che mai e Schmitt è ancora con noi per indicarci la via.

Antonio Caracciolo
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CARL SCHMITT, 
Dialogo sul potere
Adelphi, Milano 2012, pp. 124, € 7,00.


Sono pubblicati in questo volume due dialoghi di Schmitt, trasmessi negli anni ’50 dalla Radio tedesca.

Il primo “Dialogo sul potere e sull’accesso al potente” era stato tradotto in italiano (da Antonio Caracciolo) e pubblicato sul numero 2 di Behemoth. Tratta in particolare dell’accesso al potente e del “sotto-potere” che ne deriva allo “staff” del capo-politico.

La problematica del potere è sintetizzata da Schmitt in diversi punti: “fintanto che ci sono uomini che obbediscono a un altro uomo quest’ultimo detiene, grazie a loro, il potere. Se non gli obbediscono più, ecco che il potere svanisce...Perché gli uomini tributano il loro consenso al potere?... Dal punto di vista umano il legame tra protezione e obbedienza rimane l’unica spiegazione del potere. Chi non ha il potere di proteggere qualcuno non ha nemmeno il diritto di esigerne l’obbedienza. E viceversa: chi cerca protezione e la ottiene non ha il diritto di negare la propria obbedienza”; il potere ha un “plusvalore” maggiore della somma dei consensi che ottiene. Esso “è una dimensione peculiare e autonoma, anche rispetto al consenso che lo ha creato, e vorrei mostrarle ora che lo è anche rispetto allo stesso potente. Il potere è una dimensione oggettiva e autonoma rispetto a qualsiasi individuo umano che di volta in volta lo detiene”. La necessità che ha il potente di collaborazione è la ragione del potere dell’apparato “Ogni potere diretto è quindi immediatamente sottoposto a influssi indiretti. Vi sono stati potenti che, avvertendo tale dipendenza, sono stati colti da accessi di collera furibonda” per cui “davanti a ogni camere del potere diretto si forma un’anticamera di influssi e poteri indiretti, un accesso all’orecchio del potente, un corridoio verso la sua anima. Non c’è potere umano che non abbia questa anticamera e questo corridoio”.

Il potere, insiste Schmitt ha una dimensione e una logica autonoma, esulante dall’uomo che lo esercita. Fino al XVIII secolo valeva l’affermazione di S. Paolo che il potere è “buono” perché voluto da Dio; da quando il diritto divino è stato “detronizzato” è in genere ritenuto “cattivo” “É strano infatti che la tesi del potere cattivo abbia iniziato a diffondersi proprio a partire dal XIX secolo. Non eravamo giunti alla conclusione che il problema del potere sarebbe stato risolto, o comunque appianato, in virtù del fatto che esso non deriva né da Dio né dalla natura, bensì è qualcosa che gli uomini stabiliscono tra di loro? Di che cosa mai dovrebbe avere ancora paura l’uomo, se Dio è morto e il lupo non spaventa più nemmeno un bambino?. Eppure, esattamente a partire dall’epoca in cui sembra compiersi questa umanizzazione del potere – cioè dalla Rivoluzione francese -, si diffonde irresistibilmente la convinzione che il potere sia in sé cattivo. Il detto «Dio è morto» e l’altro «Il potere è in sé cattivo» nascono nel medesimo tempo e dalla medesima situazione. E in fondo significano la stessa cosa”.

Queste tesi sul potere, strettamente collegate, costituiscono esattamente l’inverso delle concezioni diffuse nell’era contemporanea, in contrasto all’evidenza della realtà. La dimensione e la logica autonoma del potere è conseguenza della finalità dello stesso: la protezione della comunità. Per cui è “buono” ciò che ne conserva l’esistenza e “cattivo” quanto la compromette.

Uno statista non può ma deve infrangere leggi e norme morali, anche quelle di cui sia convinto, se necessario a quello scopo: l’etica dell’uomo politico è, come sosteneva Max Weber, (prevalentemente) un’etica delle responsabilità e non dell’intenzione. Quanto al luogo comune, tanto diffuso sui rotocalchi, del moralismo legalitario, Schmitt pensava che “da uomo pensante mi vergognerei di sostenere che il potere è buono se ce l’ho io ed è cattivo se ce l’ha il mio nemico. Dico solo che è una realtà autonoma rispetto a ciascuno, anche rispetto al potente, che il potere irretisce nella propria dialettica. Il potere è più forte di ogni volontà di potenza, più forte di ogni bontà umana e, per fortuna, anche di ogni umana cattiveria”.

Il secondo dialogo è nella scia degli scritti del “secondo” Schmitt (da Land und meer al Der Nomos der Erde) sulla situazione geo-politica nel secondo dopoguerra. I tre personaggi: Altmann, Neumeyer e MacFuture rappresentano tre posizioni, riferibili al pensiero “classico” a quello moderno e a quello futuro (o futuribile) e a tre “spazi”: terra, mare e cosmo.

La dialettica tra terra e mare, più volte è stata ripresa da Schmitt nelle opere cennate, e non è luogo ripeterla: qui vi si aggiunge la dimensione dello spazio cosmico (sostenuto da MacFuture) quale “nuova frontiera” dell’espressione umana (e più concretamente delle potenze imperiali).

Ciò che è più originale di questo dialogo non è pertanto tale contrapposizione, ma come è posto il problema del potere e della tecnica, in un mondo da poco sconvolto dalle prime esplosioni atomiche, terrificante risultato della tecnica moderna. Schmitt lo riconduce all’ordine concreto, e non a scenari futuribili “Mi sembra anzi che la tecnica scatenata, più che aprire nuovi spazi all’uomo, lo chiuda in gabbia. La tecnica moderna è utile e necessaria, ma è ben lungi dall’essere a tutt’oggi la risposta a una chiamata. Essa soddisfa bisogni sempre nuovi, in parte indotti da lei stessa. Per il resto è proprio lei a essere messa in questione, e già per questo non può essere una risposta... Colui che riuscirà a catturare la tecnica scatenata, a domarla e a inserirla in un ordinamento concreto avrà risposto all’attuale chiamata assai più di colui che con i mezzi di una tecnica scatenata cerca di sbarcare sulla Luna o su Marte. La sottomissione della tecnica scatenata: questa sarebbe, per esempio, l’azione di un nuovo Ercole! Da questa direzione sento giungere la nuova chiamata, la sfida del presente”. E in effetti il problema di fronte ad ogni nuova sfida è come inserire le forze che questa suscita o scatena in un ordine concreto, che ne consenta, si direbbe oggi, con termine accattivante e riduttivo, la “governabilità”.


Teodoro Klitsche de la Grange

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