domenica 21 novembre 2010

Il volo che rende liberi ed il pregiudizio che inchioda al suolo



Passato l’ultimo “stormo” di mediatici degli “idola” baconiani, forse, il fatto, di cui andiamo ad occuparci, merita una qualche riflessione, che cercheremo di sviluppare nel più breve spazio. Nello sforzo disperato di richiamare l’attenzione dei più – come se ciò fosse risolutivo – i titolari di un campo di volo non hanno trovato di meglio che scalfire il “Tabù principe” della nostra epoca. Se insegnanti e studenti contestano al governo di fare “olocausto” della scuola, i mediatici non si chiedono quali siano i problemi della scuola, ma suscitano clamore… Producono “shock”, in quanto è stata usata, sacrilegamente, la parola «Olocausto»! Se invece si fosse pubblicamente bestemmiato il nome di Cristo o di Allah, la cosa non avrebbe fatto notizia e, come al solito, sarebbe passata del tutto inosservata. È per questo che i responsabili del campo di volo di Treviso sono voluti andare sul sicuro e collaudato – imprimendo su una plastica effimera – la scritta «Fliegen macht frei» (il “volo” rende liberi), ad imitazione parafrastica di quella che tutti conoscono, per averla vista (magari in TV) sul cancello di Auschwitz, dove si riporta (ma i più, nemmeno lo sanno!), sarcasticamente o meno, una frase di Martin Lutero, risalente a quattro secoli prima.

Una sola volta sono salito su un piccolo aereo. Facevo compagnia ad un mio amico che andava a scuola di volo, sedendo accanto all’istruttore. Io ero dietro ed osservavo il mondo dall’alto. Effettivamente, volando si ricavava una sensazione di libertà, ignota forse ai piccoli esseri che, dall’alto, apparivano come “inchiodati” al suolo. E – potremmo qui dire – “imbullonati”, o tenuti saldamente immobilizzari, ai loro pregiudizi. Si sa che quando si tocca un pregiudizio, si ode subito sbraitare, protestare… E si sente già il crepitio della legna, che arde alla base del rogo. È successo, per chissà quante migliaia di anime. Ci fosse qualcuno, almeno, in grado di darcene la conta esatta! Sappiamo tutti di Giordano Bruno, di qualche altro, ma non fu certo il solo. Non abbiamo statistiche e contabilità precise e inoppugnabili. Magari, in quei casi, si vorrebbe che il numero venisse limitato a poche unità. E così si fa forse credere e conviene far insegnare. In altre parole, mai dire come le cose sono effettivamente state, ma sempre e soltanto come conviene che si debba sapere. È questa la differenza fra la propaganda di regime ed una scuola basata sull’autonomia critica e la capacità di libero giudizio da parte di docenti e discenti.

Non credo che al titolare del campo di volo si possa imputare alcun reato. E neppure le sue dichiarazioni si prestano al linciaggio. Si parla di una “ordinanza” di rimozione della scritta, ma essendo questa di materiale effimero, sarà probabilmente scomparsa prima che l’«ordinanza» giunga con tutte le sue firme, i suoi bolli ed il suo ridicolo. Il presidente dell’Aeroclub di Treviso deve aver saggiamente previsto tutte le implicazioni e le reazioni, ma ha raggiunto il suo scopo: ottenere attenzione, o come si dice “visibilità”: qualità somma, amministrata dai mediatici, che ne hanno il Potere. Già! Ma non è che in questo Paese sull’orlo dello sfacelo non vi sia chi non abbia il suo problema da far valere. Se gli italiani sono 60 milioni, tolte le ristrette aree del privilegio e del potere stesso, ognuno di noi dovrebbe salire sul Colosseo o mettersi nudo al mercato. In tanti soffrono e muiono in silenzio, in Italia e nel mondo.

Ma veniamo al “Simbolo”, al “Tabù”. Perché mai la sua semplice evocazione dovrebbe intimorirci e cancellare, in quanto incomparabile, ogni altra umana sofferenza, presente passata e futura? Chi ha interesse a tenere psicologicamente accesi i fuochi del “rogo”? Per quale recondita ragione, di tutto si può parlare, indagare, porsi domande, ma di Questo non si può, eccetto che da parte di “sacerdoti” e mediatici omologati o espressamente autorizzati? Il tutto, naturalmente, per sentire la stessa cosa, la stessa campana, la stessa unica e martellante narrazione… E mo dimando: son poche 200.000 persone penalmente perseguite in Germania, dal 1994 ad oggi, ree di aver esclusivamente scalfito o sfiorato il “Tabù” e delle quali non ci vengono forniti né i numeri ufficiali né i nomi? Veri e propri desaparecidos dell’Unione Europea, presunto faro della civiltà dei “diritti umani” (violati…) e della “democrazia da esportazione”. I mediatici, un giorno sì e l’altro pure, ci rompono quotidianamente i timpani con le adultere iraniane o con la foto di un solo soldatino, catturato in zona di operazioni, mentre scientemente tendono a distogliere l’attenzione da ben altri ed assai più gravi casi,che potrebbero essere facilmente spiegati e contrapposti.

Eh, sì! Ha ragione il responsabile della scuola trevisana di volo. Per essere liberi di mente, bisogna volare e sollevarsi sopra gli “idola”, sopra le fandonie e le manipolazioni mediatiche con le quali quotidianamente ci avviluppano. Se vogliamo attingere la conoscenza, non dobbiamo cercarla nei giornali, anche se in mezzo al letame quotidiano possiamo perfino estrarre delle perle, vere o metaforiche. Perché, dunque? Una risposta penso di poterla trarre dalla lettura di un libro, di cui, solo da qualche giorno, ho avuto conoscenza: sia del testo che della sua autrice. Ne parlo in altro post, al quale volevo dedicarmi, senza lasciarlo incompiuto, lasciandomi ora distrarre. Qui, in questo contesto, mi permetto di riportarne solo alcune pagine fra quelle che ho finora lette. Già di per sé, sconvolgenti.

A titolo di risarcimento per il “Tabù” la sola Germania sta pagando a Israele – che non avrebbe neppure titolo giuridico a chiedere per conto degli internati sopravvissuti ai campi di prigionia tedeschi – una vera e propria fortuna, su cui, sembra, si basi, in larga parte, il benessere di ogni cittadino israeliano optimo iure, che – come sappiamo – è tale solo che si dichiari “ebreo” disposto ad emigrare in Israele, dove è accolto, chiavi in mano, con tutto ciò che è negato agli “indigeni”. Si discuteva qualche giorno fa se fosse proprio parlare di regime di “apartheid”, per Israele. In realtà, è improprio nel senso che quello israeliano è molto più grave dell’apartheid sudafricano, dove la popolazione di colore era pur sempre necessaria come base di sfruttamento. Invece, il Israele il destino degli indigeni autoctoni è il loro annullamento civile: in tutti i sensi del termine. Ma una simile negazione dell’altrui esistenza e dignità umana ha bisogno di miti fondativi su cui basarsi. La produzione del senso colpa, nel mondo intero e nella Germania in particolare, è un fondamento necessario che deve essere sempre ben oleato e mantenuto attuale. ed all’ordine del giorno. Efficace è questa pagina della palestinese in esilio Ghada Karmi, in rappresentanza di un popolo di profughi:
«…Questo aiuto [quello dei francesi che fornirono ad Israele quell’atomica, le cui 200 testate, dicono, sono puntate sulle nostre teste, nel caso intendessimo liberarci dai tabù pietosamente imposti] fu poi affiancato dal sostegno della Germania, come riparazione
[i tedeschi a pagare “riparazioni” sono ormai abituati dai tempi di Versailles]
per i crimini commessi contro gli ebrei nella Seconda guerra mondiale.
[E quelli commessi contro milioni di tedeschi nei Sudeti e altrove erano “giusta” vendetta e punizione? In pratica, ogni donna tedesca che fosse a tiro poteva essere impunemente stuprata e, se così piaceva, anche uccisa. Quanto per dare una citazione, si legga il capitolo iniziale dell’Arcipelago Gulag, ma vi sarebbe di che scrivere, se la ricerca storica fosse libera e non di comodo. Cito il breve passo di Solgenitsin che ho ritrovato per l’occasione: «…Da tre settimane ormai la guerra si svolgeva in Germania e tutti lo sapevano benissimo: se le ragazze erano tedesche sipotevano violentare e fucilare dopo, e sarebbe stato un merito bellico; se erano polacche o le nostre russe oppresse, nulla impediva di inseguirle nude per l’orto e dargli pacche sulle cosce, scherzo allegro, non più». Ma avevo anche un’altra fonte, tedesca, che darò ancora qui di seguito, quando l’avrò ritrovata, da un libro, in due volumi, che danno la cronaca, giorno dopo giorno, della Germania dal maggio 1945 a tutto il 1949… Ma non ce ne è più bisogno. Un mio fedele e collaborativo Lettore mi dice che addirittura sono usciti sull’argomento libri in italiano e me ne manda i riferimenti: J. Robert Lilly, Stupri di guerra. Le violenze commesse dai soldati americani in G. Bretagna, Francia e Germania 1942-1945, Mursia Editore, Milano, 2004; Marco Picone Chiodo, E malediranno l’ora in cui partorirono. L’odissea tedesca fra il 1944 ed il 1949, Ed. Mursia 1987. Non leggo, in genere, libri dal contenuto scabroso, ma farò un’eccezione per questi due libri, allo scopo di raccogliere dati ed episodi su quanto erano timorati di dio ed animati di buoni propositi i nostri Liberatori in combutta con chi faceva loro “dono” delle nostre donne, nonne, madri, sorelle, figlie, mogli… ]
I risarcimenti tedeschi, iniziati nel 1953,
[è già passato oltre mezzo secolo! La scoperta della megatruffa dei falsi sopravvissuti, nati allegramente dopo il 1945, non ha prodotto nessuna reazione significativa: i contributi di guerra, le riparazioni, continuano ad essere erogate, come prima e per un tempo infinito.],
hanno fornito allo Stato ebraico
[si noti: “ebraico”, come dire su fondamento “razziale”, ossia esattamente il principale titolo di colpa e imputazione fatta allo stato nazista. Da noi, di recente, un “eccelso sionista” se ne è venuto fuori con l’ennesimo libro sulle leggi razziali del fascismo. In Israele la legislazione razziale è una pratica quotidiana, ma nessuno dei mediatici si sogna di fare associazione di idee]
un ottavo delle sue entrate globali e hanno costituito un terzo dei suoi investimenti. In quattordici anni la Germania Federale ha dato a Israele 3,45 miliardi di marchi come “risarcimento globale”, 2,4 miliardi dei quali sotto forma di beni e servizi. Dal 1978 la cifra è salita a 22 miliardi di marchi con ulteriori 10,47 miliardi previsti per il 2000. Tutto questo oltre ai 130 milioni di dollari annualmente distribuiti in forma di risarcimento, a titolo individuale, a 500.000 ebrei israeliani, con effetti molti positivi sull’economia del paese.
[Digressione e parentesi: un mio amico, italiano, residente in Svizzera, è titolare di una dignitosa pensione svizzera di invalidità. Il clima umido svizzero è micidiale per la sua patologia. Avrebbe bisogno, per assolute ragioni mediche, di cambiar clima, ma... se spende la sua dignitosa pensione fuori dalla Svizzera, gli viene ridotta drasticamente e non gli è più sufficiente per vivere, fuori dalla Svizzera... Se gli ebrei tedeschi, internati nei campi di concentramento tedeschi, avessero speso le loro “indennità” dentro la Germania, o almeno in Europa, il denaro sarebbe entrato in circolo in una stessa economia. Invece, in Israele – che neppure esisteva all’epoca dei fatti – servono per un verso a benificio dei titolari, ma per l’altro a detrimento della popolazione indigena, discriminata in regime di apartheid, e a detrimento anche del restante mondo arabo confinante, come ben illustra Ghada Karmi, in altre pagine del libro.]
Dal 1957, il 20% dei risarcimenti tedeschi furono effettuati con rifornimenti di armi e con l’implementazione dell’industria bellica israeliana e fino agli anni Sessanta la Germania Federale è stata un canale segreto per il passaggio di armi dagli Stati Uniti a Israele. I tedeschi hanno costruito la flotta commerciale israeliana e sempre i tedeschi hanno fornito il 50% degli investimenti per le ferrovie; nel 1966 i soli risarcimenti tedeschi costituirono il 4% del Pil di Israele. In diciannove anni i risarcimenti tedeschi hanno costituito un quarto delle importazioni di Israele e il 16% dei suoi investimenti. Questi pagamenti allo Stato e agli ebrei che lì vivono è da allora continuato. L’incondizionato sostegno tedesco a Israele si è concretizzato nel 2005 con la fornitura di sottomarini lanciamissili, senza alcuna preoccupazione per la minaccia costituita per il mondo arabo… (ivi, p. 27-28).
Insomma, un vero e proprio “Paese di Bengodi”. Perché mai si dovrebbe volere la fine da tanto benessere, se appena cominciassero a sgretolarsi i “miti fondativi” dello Stato “ebraico e democratico” di Israele? Lasciamo rispondere ancora Ghada Karmi, che sa le cose di prima mano e sulla propria pelle, essendo di quella generazione che già da bambina , nel 1948, fu espulsa dalla Palestina ed, in pratica, è una “rifugiata”, benché cresciuta a Londra, anziché in un “campo profughi”. Ecco cosa dice: nel paragrafo sul “significato di Israele per gli ebrei israeliani”:
«… Gli ebrei d’Israele, con l’eccezione di una piccola minoranza di antisionisti, etichettati con disprezzo come “ebrei che odiano se stessi”, temono naturalmente la fine del sionismo. Per loro, la dissoluzione di uno Stato etnico, caratterizzato da un trattamento preferenziale per gli ebrei, nonostante il 20% della minoranza araba e gli immigrati sovietici non ebrei, non è un’opzione accettabile. Le ragioni non sono misteriose. La cittadinanza israeliana conferisce alla maggioranza di loro benefici e vantaggi economici di un gruppo privilegiato, predisposto psicologicamente a sentirsi superiore ai “nativi” non ebrei, cosa comune a tutte le comunità di colonizzatori. Nel caso di Israele questi privilegi sono stati aumentati in modo significativo dai finanziamenti americani, 5.700 dollari a persona dal 1973, più di 3 miliardi all’anno, e dal sostegno dell’ebraismo mondiale. Non ultimi tra questi sono i coloni non religiosi “negli insediamenti di lavoratori pendolari” in Cisgiordania, insediamenti che attirano molti giovani, che altrimenti non avrebbero lo stesso livello di vita in Israele o altrove, con vari incentivi, case a basso prezzo, esenzzioni fiscali e posti di lavoro in Israele. In molti degli insediamenti che ho visto, le case sono ben disposte, con strade pulite e alberate, costruite sulle colline, spesso con panorami bellissimi. Dove queste persone avrebbero potuto sognare di essere alloggiate in modo tanto confortevole e pittoresco? Anche gli insediamenti costruiti sulle alture del Golan in Siria hanno dato prosperità a quegli ebrei che le hanno coltivate dal 1967. La famiglia israeliana media gode di un reddito considerevole rispetto aai suoi vicini arabi, anche se la situazione economica ha subito qualche momento di crisi a seguito dell’Intifada del 2000 con livelli di povertà in Israele più elevati che in altri tempi. Questi israeliani respingerebbero con forza qualsiasi minaccia di cambiamento di questa situazione di privilegio» (ivi, 71-72).
E non per nulla, gli agenti nostrani della Hasbarà parlano con iattanza di “miracolo economico” permanente in Israele, mentre tutto il mondo restante è attanagliato dalla crisi: sono “intelligenti” e ci hanno sempre saputo fare. Si potrebbe obiettare: “Ma hanno sofferto…”. Vogliamo mettere le sofferenze inaudite dei “campi di concentramento” tedeschi con questi piccoli risarcimenti morali di cui sopra? Già! Ma ecco cosa leggo, sempre in Ghada Karmi. Pur avendo letto ormai tanti libri sulla questione palestinese, questo piccolo grande fatto non lo conoscevo. Perfino Ghada vi dedica poche righe. Salto pagine che invito a leggere direttamente dal libro e riporto solo questa mezza pagina, necessaria al nostro discorso:
«…Per illustrare la situazione basta un esempio. Una caratteristica della nakba, della quale si è parlato poco, furono i campi di di lavoro forzato istituiti dal nuovo Stato israeliano durante la guerra del ’48-49. Secondo la Croce Rossa Internazionale furoni istituiti cinque campi per la popolazione maschile tra i 10 e i 60 anni che ospitarono oltre 5.000 palestinesi catturati nel corso della guerra. Gli uomini lavoravano per costruire gli insediamenti israeliani e per trasferire le pietre delle case arabe distrutte, necessarie per la costruzione di nuove abitazioni per gli ebrei. I prigionieri rimasero nei campi dai due ai cinque anni, la maggior parte fu rilasciata nel 1955.
[Sopra, nella parte già citata, leggiamo che i “risarcimenti” tedeschi erano già incominciati ad affluire dal 1953, e durano ancora oggi!]
Molte delle guardie dei campi erano ebrei tedeschi fuggiti dalla Germania nazista, a volte anche ex prigionieri dei campi tedeschi. Nessuno dei prigionieri palestinesi parlò di questa esperienza e questa storia è emersa solo successivamente. Fu come se nessuno riuscisse a esprimere in parole l’enormità delle sofferenze causate dall’esperienza della perdita, dell’insicurezza e dello sradicamento. La gente che doveva far fronte alla sopravvivenza quotidiana non poteva guardare al passato» (op. cit., 33).
Capite?! Questi... chiedono ed ottengono risarcimenti infiniti per essere stati vittime sofferenti nei campi di concentramenti tedeschi, ma poi, a nemmeno tre anni dalla chiusura di Auschwitz, si installano in Palestina e vanno ad aprire analoghi e forse peggiori campi di concentramento, dove tengono rinchiusi fino al 1955, cioè per sette anni (!), quelle stesse persone cui avevano tolto la casa. Il tutto, costringendole a prendere le pietre delle loro case demolite, per costruire quelle dei loro aguzzini. Io non credo che i nazisti, di cui abbiamo solo narrazioni di parte, potessero o abbiano mai concepito una simile nequizie. Ci voleva una “mente sionista”, per arrivare a tanto?

* * *

A questo punto, essendoci dilungati oltre il tempo previsto, chiudiamo questa nostra riflessione estemporanea, fornendo una spiegazione, spero plausibile, del perché si sollevano tanti clamori ogni volta che appena si scalfisce, si sfiora il “Tabù”, che non lo ripeterò mai abbastanza – smentitemi! Perbacco! Sarò il primo ad esserne felice! – ha gettato in galera e consegnato alla gogna mediatica fino ed oltre 200.000 persone, soltanto colpevoli di essersi posti delle domande su “materia proibita” ed averne tentato risposte, che possono, certo, essere contraddette e confutate, ma non sbattendo in galera chi le sostiene.

Ed ha perciò ragione il direttore dell’Aeroclub di Treviso: il “volo” rende liberi dai pregiudizi e dalle menzogne. Guardando dall’alto, con il necessario distacco dal fango terrestre, si riescono a vedere le cose che i “Signori dei Media”, ed i loro Politici di riferimento ci tengono nascosti. Con le cifre di immense ricchezze che abbiamo sopra date, non è difficile immaginare che a mo’ di investimento una loro parte venga destinata all’Hasbarà, alla promozione, al mantenimento ed al consolidamento del Tabù. Pasolini diceva: “so tutto, ma non posso dimostrare nulla” (ossia, in senso tecnico-processuale). Ma a noi serve una verità processuale? Ne abbiamo bisogno? Ed ancora Noam Chomsky, in un suo libro, non frecente, che ho da poco finito di leggere, “Capire il potere”, cita spesso questo ritornello, attribuito alla “Lobby Innominabile” (ed ufficialmente “inesistente”): “ (… ) meglio investire in un politico, anziché spendere per un carro armato”. Si intende, uno di quei politici, la cui funzione ed esistenza ormai notiamo anche in Italia.

Sono quelli che si indignano ed alzano la voce e ti dicono che vorrebbero “guardarti negli occhi”, salvo poi – appena il giorno dopo – doversi loro coprire il volto per la vergogna di ciò che hanno appena fatto e di cui per una volta sono stati scoperti. Leggendo la storia della dissoluzione dell’Impero ottomano si nota la costante della corruzione dei ceti feudali da parte del governo inglese: ti offro il governo e l’oppressione della tua gente, del popolo che dovresti rappresentare e tutelare, ed in cambi mi presti obbedienza. Un vero e proprio “contratto diabolico” o “faustiano” che è ancora la regola e la prassi della politica, dei nostri politici. L’Impero britannico è tramontato, ma ad esso sono succeduti, con la stessa concezione del potere e del suo mantenimento, gli USA, con Israele – la cui politica nel senso qui indicato è bene illustrata da Ghada. E perfino i nostri politici, che stanno dando il “calcio dell’asino” a Berlusconi (sic!), per offrirsi al padrone con maggiore e più incondizionato spirito di servizio, cioè di quella “cupidigia di servilismo” che Vittorio Emanuele Orlando aveva già individuato oltre mezzo secolo fa. O vinti, guai a voi, se osate toccare il “Tabù” che vi abbiamo imposto!

Nessun commento: