Status: 11.4.09
Dopo una pausa di riflessione, riprendo il mio monitoraggio delle organizzazioni e della propaganda ebraico-sionista o semplicemente ebraica. Esiste un problema di cosa sia ebraismo e cosa sionismo e se o come i due concetti possono essere tenuti distinti o perfino essere considerati contrapposti. Per il momento non ci addentriamo al riguardo. Ci eravamo stancati per la verità della rozzezza e della volgarità propria di “Informazione (S)scorretta”. Credo che perfino un certo ebraismo voglia prendere qui le distanze. Ho ormai acclarato ampiamente che da qui partono numerosi attacchi verso quanti hanno il grave torto di essere non solo critici verso Israele ed i suoi miti fondatori, ma anche verso quanti vogliano semplicemente starne alla larga e persino mantenersi neutrali. Non avrebbe senso continuare ad occuparsi di simili soggetti, una volta individuata la natura e la funzione. Continuano però a fare del male, a disinformarme, a intimidire gli ignari e sprovveduti, a fare quanto altro sappiamo. Li terremo ancora d’occhio, ma con uno stile diverso. Ci siamo ormai abituati alla loro natura ed abbiamo collaudato una tecnica per trattarli. Sappiamo quanto possono essere perfidi e pericolosi. Non li sottovalutiamo e sappiamo di correre dei rischi. L’occasione di questo ritorno ci è data da una sfida concettuale ad occuparci di uno del loro mondo concettuale e religioso: Alain Finkielkraut. Veramente, abbiamo ben altri interessi al momento. Ma le sfide vanno raccolte ed il Monitoraggio deve avere una sua completezza, deve essere continuato, anche perch* ci viene richiesto e non possiamo interrompere il “pubblico servizio”. Possiamo però riorganizzarlo su nuove basi che adesso non stiamo qui a descrivere. Torno adesso dalla libreria sotto casa: non hanno nulla dei numerosi libri scritti da questo autore ebreo. Attingiamo pertanto all’archivio di «Informazione (S)corretta», dove l’Autore è considerato un araldo della causa ebraico-sionista. Attingiamo qui le prime notizie. Se poi ci parrà il caso, dedicheremo un apposito studio ai libri di questo Campione.
Sommario: 1. Di quale Europa stiamo parlando? – Segue: a. La visione dell’Europa in Finkielkraut; – Segue: b. La visione dell’Europa in un condannato al carcere a vita. – 2. Ancora sull’Europa. – 3. Gli ebrei sono razzisti? –
1. Di quale Europa stiamo parlando? – L’articolo, ripreso dall’archivio pubblico di IC, è del 14 luglio 2008 ed appare originariamente sul “Giornale”. – Confesso che in me sorgono reazioni fin dalle prime righe dell’articolo che si può leggere su un giornale per me divenuto sempre più indigesto, benché si richiami all’area politica nella quale io stesso milito. Uno potrebbe dire: e che ci stai a fare? Rispondo: e perché dovrei uscirne io e non invece il direttore Giordano? Del resto, dove sta scritto che in un grande partito si stia solo per applaudire, accodarsi ai notabili, battere le mani? Si sta per dissentire e controbattere civilmente. Dalle prime righe di Finkielkraut ne capisco il cervello e non credo di aver nulla di difficile da confutare e con cui confrontarmi. Viene fuori un’idea di Europa che ho già incontrato nelle pagine di un altro ebreo, Tony Judt, che ha scritto un ampio e istruttivo libro sul dopoguerra europeo per concludere che l’identità concessa a noi europei può essere solo quella fondata su Auschwitz. A chi pensa così io gli mando per posta una cartolina di Gaza, ancora più eloquente e desolata dopo l’operazione “piombo fuso”. I cervelli ancora non “fusi” da una propaganda come quella di Finkielkraut possono facilmente constatare che Gaza supera largamente in orrore ciò che Auschwitz evoca presso gli indottrinati e subornati. Ma con una differenza importante: Auschwitz non è direttamente verificabile e la sua “verità” è imposta per legge, mentre Gaza è una tragedia in atto, una sofferenza inflitta all’umanità che dura da oltre 60 anni e che solo i “complici” non vogliono o non hanno interesse a vedere. Il nostro Finkielkraut ama tanto l’Europa da invitarci al “de profundis”. Insiste su “miti” che in Francia ed anche in Germania non possono essere contraddetti non perché gli argomenti addotti hanno forza logica, ma perché esiste un drappello di delatori pronti a chiamare il bargello appena uno tenta di sostenere qualcosa di contrario. Credo che il migliore commento al cicaleccio letterario di questo articolo di Finkielkraut su un Europa che certamente lui non ama sia far seguire un testo che mi è giunto proprio l’altro ieri. Si tratta di una persona in pratica condannata in Germania all’ergastolo per il solo fatto di avere vedute opposte a quelle del nostro abominevole Finkielkraut, eroe dell’ebraismo sionista-olocaustico.
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2. Ancora sull’Europa. – L’articolo di cui al link è del 18 marzo 2004 ed appariva su “Libero”. È proprio vero il motto che l’uomo è misura di tutte le cose. Leggendo testi e commenti di cui al link e su cui cerchiamo di trattenere la polemica, in osservanza dei principi che vogliamo seguire in questa seconda serie del nostro “Monitoraggio”, le nostre valutazione sono diametralmente opposte a quelle degli autori. Mi viene da sorridere alla “critica del presente” cui da anni attende Alain Finkielkraut. Come non pensare a ben altra critica del presente? A quella di Horst Mahler e di tutti quanti gli altri innumerevoli, grandi e piccoli, noti e ignoti, che per la loro “critica del presente” devono scontare il carcere e la gogna mediatica? Tiriamo avanti! La sete di guerra e di sangue del nostro Alain è tutta degna di lui e della sua appartenza. Quanto all’11 settembre 2001 permangono tutti i dubbi e gli inquietanti interrogativi. Che cosa sia poi seguito, ben lo sappiamo. Vi è stata la plateale menzogna dei falsi armamenti di Saddam, una mezogna ben alimentata da Israele e dalle sue lobbies in servizio permanente attivo in ogni paese, alla quale è seguita in Iraq una guerra che è costata un milione di vittime innocenti e pare tremila miliardi di dollari. Mi chiedo se l’odierna crisi economica non abbia nulla a che fare con quell’immenso spreco di risorse umane e materiali. Ma tutto questo Alain non lo sa o non gli interessa. Non lo riguarda. Quanto alla parola “terrorismo” è semplicemente inadatta ad un filosofo o sedicente tale che abbia una qualche dimestichezza con la filologia. Edward Said, di ben altra pasta di Alain Finkielkraut, ha già avvertito come al concetto di “terrorismo” si sia incominciato a far ricorso fin dalla metà degli anni settanta al solo scopo di delegittima la legittima resistenza dei palestinesi e di tutti i popoli mediorientali che godono della presenza di basi ed eserciti americani. Finkielkraut lamenta che gli spagnoli si siano ritirati subito dall’Iraq al primo attentato. Ma cosa stavano a fare in Iraq? Ci dovevano stare per la bella faccia degli israeliani e degli ebrei nostrani, compresa quella di Alain? Gli ebrei si indignano e reagiscono ferocemente alla «accusa del sangue». Ma non è sangue quello degli iracheni? Facendo un calcolo approssimativo sono milioni e milioni di litri di sangue versati. Per Alain non è ancora abbastanza! Decisamente miserabile come articolo ed è penoso dover giungere alla fine del testo. Una sofferenza, ma non perché dissento totalmente, bensì per l’enormità e la faziosità delle affermazioni. Finkielkraut ben merita di venir considerato come un agente di guerra, come uno di quegli scrittori che sistematicamente tentano di convincere gli sprovveduti che è nostro interesse e nostro dovere muovere guerra alla gente più povera del pianeta, i quali hanno il solo torto di non decidersi a lasciarsi sterminare in silenzio o a mettersi ubbidiente in ginocchio, lasciando che di loro e su di loro decidano i civilizzatori giudaico-americani o giudaico-bolscevichi. L’unica minaccia che abbiamo alle nostre libertà, una minaccia che dura dal 1945, è quella che ci viene da Israele. Questo per fortuna molti che non scrivono sui giornali come il “Foglio” lo hanno ben capito. Il nostro Alain ci tira per la giacca in una guerra di sterminio e di pulizia etnica, che non è nostra, ma di cui ci vuole convincere che è nostra. E questo sarebbe il Finkielkraut che il mio anomimo detrattore sulla rete mi invita a leggere. Se tutti i suoi libri sono dello stesso tenore, non credo che avrò bisogno di leggerli tutti. Una sciocchezza, una bestialità detta in una pagina si autoriproduce per migliaia di volte. Userò tutti gli scrupoli della filologia e le regole della deontologia, per ricredermi eventualmente, ma il “campione” non depone a favore del nostro monitorizzato. L’attenzione che gli ho fin qui dedicata è pure troppo e di certo non apprenderò nulla di utile o di buono andando avanti. Mi arrabierò certamente. Non poteva mancare la critica ad un ebreo intelligente: a Edgar Morin. Su un fatto possiamo concordare: «L’Europa si chiede: ma cosa ho fatto per meritare tutto questo?». Cosa abbiamo fatto per meritarci un Alain Finkielkraut?! Abbiamo perso nel 1945 la guerra e questo è il prezzo che non finiamo ancora di pagare! La viltà non quella cui allude Finkielkraut, ma quella di chi non dice ai tanti Finkielkraut quel che meritano si dica loro. Se il Male c’è, non è quello che dice Finkielkraut e non lo si trova dove lui dice che sia.
3. Gli ebrei sono razzisti? – L’articolo è del 25 agosto 2004 ed appariva sull”«Avvenire». Contiene un’intervista al “filosofo ebreo” Alain Finkielkraut: dunque si può almeno dire “ebreo”. Il filosofo lasciamolo pure da parte. Se si va al link ed ai commenti che lo accompagnano, è difficile trattenere il sorriso, ma non ci lasciamo trascinare in una facile polemica. Non credo ad un fenomeno di risorgente antisemitismo, per lo meno nelle forme del passato. Credo invece che una qualsiasi minimo pretesto serva agli ebrei per chiedere ed ottenere nuove posizioni di privilegio. Mi viene perfino il sospetto che gli atti vandalici possano essere autoalimentati o strumentalmente ingigantiti ed enfatizzati. Se poi per antisemitismo si intende antiisraelismo, ve ne sono tutte le ragioni come potevano esservi a suo tempo per il Sud Africa, non volendo fare altre analogie. A Finkielkraut non è difficile obiettare che il “razzismo” degli ebrei non è per nulla “presunto”, ma fondato sia se si vuole condiderare la peculiare religiosità ebraica che pone un “popolo eletto” da una parte e tutti gli altri popoli squalificati come “idolatri” e simili. Leggendo un altro ebreo o di origini ebraiche come Bernard Lazare, che scrisse nel 1894 un libro importante sull’antisemitismo, si trova una sensatissima affermazione: se gli ebrei lungo tre mila anni della loro storia, almeno in quanto comunitò religiosa, hanno avuto sempre difficili relazioni con tutti gli altri popoli, è forse il caso di cercarne la causa non in tutti gli altri popoli, ma negli stessi ebrei. Ma a maggior ragione si può parlare di un “razzismo” ebraico o sionista, se si va a considerare ciò che gli ebrei hanno fatto e continuare a fare in Palestina non dal 1948, anno della grande pulizia etnica descritta dall’ebreo Ilan Pappe, ma dal 1882 con i primi insediamenti sionisti, dove possono cogliersi tracce di una teoria e di una prassi razzista. La gente comune, che abbia un minimo di informazione e sia priva della deformazione filosofica di Alain Finkielkraut, tutto questo lo vede bene. Che non si possa pretendere di plaudire al razzismo un “filosofo” come Finkielkraut è, lo si dovrebbe ben comprendere. Che poi le forme della protesta e del dissenso debbano essere civili e non violente siamo perfettamente d’accordo. Personalmente ritengo che il mondo sarebbe oggi più felice, se anziché cristianesimo o ebraismo le epoche passate avessero trasmesso fino a noi le antiche religioni “pagane”, che erano certamente più tolleranti e pacifiche di tutti i monoteismi, e fra questi ritengo che l’ebraismo sia la più inumana e feroce, certamente antisociale se non proprio razzista. Sbaglia Finkelstein quando parla di “conflitto” israelo-palestinese. In realtà, come di recente ha spiegato l’ebreo Ilan Pappe non vi è nessuna “dualità” – concetto insito nell’idea di conflitto –, ma soltanto una “monodica” unilaterale aggressione coloniale di conquista da quando gli ebrei russi della seconda metà del XIX secolo, sostenuti finaziariamente dal giudaismo americano, si sono messi in mente che avevano diritto di “ritornare” nella Terra che Geova loro promise in dono, scacciandovi e sterminando ieri i cananei ed oggi i palestinesi. Se questo non è feroce razzismo, diventa difficile trovare un altro modo per definirlo. Ma da un filosofo come Finkielkraut siamo certi che qualcosa troveremo nei suoi numerosi libri. Infine, vorrei ricordare un fatto successivo all’epoca dell’intervista. Avraham Burg ha pensato di fare buon uso del suo passaporto francese, ritornandosene in Francia e lasciando Israele, da lui definito in pratica uno stato “razzista”. Avraham Burg non è un ebreo qualunque, ma viene da una famiglia che si è sempre trovata ai vertici della società israeliana. Stando poi ad alcune notizie a me giunte sembrerebbe che molti israeliani si tengano ben cari il loro doppio passaporto. Ahimé, il problema è tutto nostro, se ci ritornano in casa e pensano di poterci trattare come hanno trattato finora i palestinesi. Meno male che è lo stesso Finkielkraut ha riconoscere che in Francia gli ebrei non hanno nessun “ostacolo” nelle loro carriere. Ahimé! Lo hanno gli altri! In Italia, basta che qualcuno non sia gradito agli ebrei, perché si senta la voce di chi chieda pubblicamente al ministro se quel tal docente può continuare ad insegnare! L’ultimo caso ha riguardato un certo prof. Valvo di cui non mi è riuscito di saper più nulla, benché abbia chiesto notizie alle Autorità sull‘esistenza in vita di questo docente.
(segue)
Sommario: 1. Di quale Europa stiamo parlando? – Segue: a. La visione dell’Europa in Finkielkraut; – Segue: b. La visione dell’Europa in un condannato al carcere a vita. – 2. Ancora sull’Europa. – 3. Gli ebrei sono razzisti? –
1. Di quale Europa stiamo parlando? – L’articolo, ripreso dall’archivio pubblico di IC, è del 14 luglio 2008 ed appare originariamente sul “Giornale”. – Confesso che in me sorgono reazioni fin dalle prime righe dell’articolo che si può leggere su un giornale per me divenuto sempre più indigesto, benché si richiami all’area politica nella quale io stesso milito. Uno potrebbe dire: e che ci stai a fare? Rispondo: e perché dovrei uscirne io e non invece il direttore Giordano? Del resto, dove sta scritto che in un grande partito si stia solo per applaudire, accodarsi ai notabili, battere le mani? Si sta per dissentire e controbattere civilmente. Dalle prime righe di Finkielkraut ne capisco il cervello e non credo di aver nulla di difficile da confutare e con cui confrontarmi. Viene fuori un’idea di Europa che ho già incontrato nelle pagine di un altro ebreo, Tony Judt, che ha scritto un ampio e istruttivo libro sul dopoguerra europeo per concludere che l’identità concessa a noi europei può essere solo quella fondata su Auschwitz. A chi pensa così io gli mando per posta una cartolina di Gaza, ancora più eloquente e desolata dopo l’operazione “piombo fuso”. I cervelli ancora non “fusi” da una propaganda come quella di Finkielkraut possono facilmente constatare che Gaza supera largamente in orrore ciò che Auschwitz evoca presso gli indottrinati e subornati. Ma con una differenza importante: Auschwitz non è direttamente verificabile e la sua “verità” è imposta per legge, mentre Gaza è una tragedia in atto, una sofferenza inflitta all’umanità che dura da oltre 60 anni e che solo i “complici” non vogliono o non hanno interesse a vedere. Il nostro Finkielkraut ama tanto l’Europa da invitarci al “de profundis”. Insiste su “miti” che in Francia ed anche in Germania non possono essere contraddetti non perché gli argomenti addotti hanno forza logica, ma perché esiste un drappello di delatori pronti a chiamare il bargello appena uno tenta di sostenere qualcosa di contrario. Credo che il migliore commento al cicaleccio letterario di questo articolo di Finkielkraut su un Europa che certamente lui non ama sia far seguire un testo che mi è giunto proprio l’altro ieri. Si tratta di una persona in pratica condannata in Germania all’ergastolo per il solo fatto di avere vedute opposte a quelle del nostro abominevole Finkielkraut, eroe dell’ebraismo sionista-olocaustico.
Alla domanda «che cos’è l’Europa?» un numero impressionante di pensatori, giornalisti, cittadini e responsabili politici europei reagiscono affermando che non esiste una risposta, o meglio che nessuna risposta deve essere fornita. L’Europa, dicono, non è nulla di tangibile e questo nulla - lungi dal rappresentare un handicap - è il suo mandato, la sua vocazione, la sua virtù tardiva e cardinale.
Il filosofo francese Jean-Marc Ferry definisce l’Europa un’identità il cui principio è legato alla sua disposizione ad aprirsi alle altre identità. L’Europa, l’essere europei significherebbe dunque non dovere nulla alla propria origine ed essere sradicati da se stessi.
Questo modo di percepire, di pensare l’Europa è dovuto al trauma di Auschwitz. La forma apocalittica che ha assunto l’esclusione dell’Altro nei campi della morte potrebbe essere riscattata dall’avvento di un’umanità che nessun dissidio interiore sarebbe in grado di fragilizzare o dividere. E l’Europa, essendo appunto stata il luogo del crimine, deve dare l’esempio ed espiare il crimine cancellando il luogo. L’unica identità che può accettare è quella del ripudio di ogni brama identitaria; per non cedere nuovamente alla tentazione dell’esclusione deve optare per la strada redentrice dell’indeterminatezza. Fuggire lontani dall’appartenenza: questa sarebbe la missione civilizzatrice e, innanzitutto, auto-civilizzatrice che si attribuisce l’Europa del «dovere di memoria».
Ed è sorretti da questa definizione della non-definizione che i sostenitori dell’integrazione della Turchia nell’Unione Europea hanno accusato i loro avversari di lasciarsi guidare dalla retorica reazionaria della provenienza.
«Coloro che vogliono i turchi fuori dall’Ue scoprono il radicamento dell’Europa nell’occidente cristiano», dicono con sarcasmo. Questo radicamento rappresenterebbe ai loro occhi una caduta, anzi una ricaduta. Chiedersi se la Turchia fa parte dell’Europa - ovvero se questo Paese è rimasto ai margini del cosiddetto concerto europeo o se ha condiviso le esperienze che hanno modellato il vecchio continente e che gli hanno conferito la sua particolare fisionomia: il Cristianesimo, il Rinascimento, la Riforma, la Controriforma, l’Illuminismo, il Romanticismo - vuol dire dimenticare che la stessa Europa non fa più parte dell’Europa e che questo distacco la libera finalmente dalla sua storia sanguinosa.
L’Europa deve fare di tutto per impedire il ritorno dei suoi vecchi demoni. Ma lo sta facendo bene? Cosa significa veramente questa sua proclamazione di apertura? Rinchiudere l’Altro (in questo caso la Turchia) nell’alternativa tra inclusione ed esclusione non significa rispettarlo in quanto Altro bensì militare attivamente in favore di un mondo privo di alterità. Significa istituire, sotto l’egida del diritto, dell’economia e della morale, l’impero dell’Identico.
«Non sono nulla, dunque sono tutto», afferma oggi l’Europa autocritica, pentita, postnazionale e, in un certo senso, post-europea. A questa xenofilia senza xenos si aggiunge l’esercizio di una memoria che dimentica tutto quello che non è stato criminale. In nome di Auschwitz, l’Europa, in quanto esperienza e destino, viene sostituita dall’Europa delle regole, delle procedure e dello sciovinismo di un presente che fonda il suo regno sulle macerie del nazionalismo e dell’etnocentrismo.
Prima di noi il diluvio! Prima delle nostre attuali instancabili lotte contro ogni discriminazione, il razzismo, l’antisemitismo, la misoginia, l’omofobia, la colonizzazione, la schiavitù regnavano, insieme o alternativamente, nel territorio europeo.
Questa Europa della memoria è un’Europa della tabula rasa. Questa Europa dell’apertura è un’Europa chiusa a tutto quello che non è, qui e ora, come lei.
Esiste tuttavia un’altra modalità del dovere di memoria: la cultura. Come ha scritto il filosofo Alain «l’uomo vive in società non perché eredita dall’uomo ma perché commemora l’uomo. Commemorare vuol dire far rivivere quello che vi è di grande nei morti, e nei morti più grandi».
Questo utilizzo della memoria è oggi in disuso. Se l’Europa si allontana da se stessa senza cedere ad alcun tipo di nostalgia non è solo perché è ancora abitata dalle atrocità del ventesimo secolo ma perché, purtroppo, la cultura - questa grande mediazione dell’arte, questo tentativo di capire attraverso i nostri morti cosa siamo e cosa rappresenta la vita, ovvero quello che contraddistingueva l’umanesimo europeo - non ha più nessuna importanza nel vecchio continente.
In un rapporto che presenta 314 proposte per favorire la crescita, consegnato recentemente al presidente della Repubblica francese da una commissione internazionale di esperti, diretta da Jacques Attali, viene scritto e ripetuto che l’attuale organizzazione dell’insegnamento è sbagliata perché favorisce l’attitudine dei bambini ad imparare conoscenze accademiche a memoria invece di facilitare lo sviluppo della loro creatività, delle loro doti linguistiche, informatiche, artistiche e sportive. L’Europa non ha più il tempo e la voglia di guardarsi indietro. Altri compiti, più impellenti, l’occupano e la preoccupano: l’accesso a tutte le informazioni disponibili su Internet, l’adattamento all’economia mondializzata, il benessere dei consumatori. Questa Europa hyper-connessa è sinceramente convinta che è la sua umanità a distaccarla dalle sue radici identitarie, a spingerla a rinnegare o a trascendere le proprie frontiere. In realtà, è per mancanza di umanesimo che tutto questo accade.
Per ragioni grafiche devo qui scrivere altro testo che serva a separare il mio commento dai due ampi testi di Alain Finkielkraut e di Horst Mahler. Mi limito a dire che qualunque cosa si voglia dire su Mahler resta una disfatta di tutta la nostra pretesa civiltà giuridica il fatto che uomo, chiunque egli sia e qualunque sia la verità di cui è convinto, possa oggi essere condannato al carcere duro a vita, alla pubblica gogna, per il solo fatto di essere fedele alla sua idea di verità. Un poeta immortale ci ha abituato ad un motto che è diventato un luogo comune dei nostri discorsi: c’è del marcio nel regno di Danimarca. Continuare a parlare di Europa è solo un modo per prendere in giro e per prenderci in giro l’un l’altro.IL LASCITO DI HORST MAHLER
LA SUA ULTIMA DICHIARAZIONE PRIMA DEL VERDETTO E DELLA CONDANNA IL 25 FEBBRAIO 2009.
(Appartenente al crescente movimento di disobbedienza civile in Germania, Mahler è stato accusato di “Negazione dell’Olocausto”)
Invio il presente all’ultimo momento. Sta per essere emesso il verdetto e verrò rinchiuso immediatamente. Dopodichè non avrò più alcuna possibilità di esprimermi pubblicamente, quindi colgo questa occasione per spiegare brevemente, ancora una volta, che cosa veramente c’è in gioco.
Molti miei sostenitori disapprovano ciò che ho fatto. Mi chiedono: “perché lo fai?” Alcuni di loro sottolineano che sarei stato più utile fuori dalla prigione e non dentro. Dicono che adesso il governo si sbarazzerà di me e non ne verrà tratto alcun vantaggio. Io rispondo a loro che essi considerano la questione dal punto di vista sbagliato. La cosa più importante non è più il fatto che l’attuale regime ci ha tolto il nostro diritto di libertà di parola!
Questo stato ha sempre avuto il potere di farlo, in molti modi, indipendentemente dal fatto che si voglia esprimere un’opinione o meno. Qui c’è in gioco qualcosa di più che il diritto di divulgare idee non conformi. Se ci si accorge, come lo è stato per me, che la Religione dell’Olocausto è l’arma principale per la distruzione morale e culturale della nazione tedesca, allora è chiaro che ciò che è in gioco non è altro che il diritto collettivo all’auto-difesa, cioè, il diritto della Germania a sopravvivere.
La sopravvivenza interessa tutti quanti! Il mondo crede veramente che noi Tedeschi ci lasceremo passivamente distruggere come Popolo, che permetteremo altrettanto passivamente che il nostro spirito nazionale venga estinto senza lottare? Quale tipo di uomo di legge ritiene che l’auto-difesa è un atto criminale?
In qualità di Popolo ed entità collettiva vivente abbiamo una natura nazionale e spirituale. Il mezzo più sicuro per estinguere la Germania come entità spirituale è distruggere la nostra identità ed anima nazionale, in modo da non sapere più chi o cosa siamo. Distruggere il nostro spirito nazionale è esattamente lo scopo del nostro nemico, chiedendo di accettare senza domande il suo estraneo Dogma dell’Olocausto, rinunciando a mettere in evidenza che il suo fantastico “Olocausto” non è mai avvenuto.
Non c’è alcuna prova di esso! Quando ci accorgiamo di essere minacciati di annientamento, allora non abbiamo più dubbi su chi è il nostro nemico: è il vecchio assassino di nazioni. Una volta accorti di questo, non ascoltiamo più passivamente le menzogne e i travisamenti del nemico. Cerchiamo un’arma ed un modo per proteggere la Germania, privare il nemico del potere che ha su di noi.
Ma ecco che abbiamo l’unica arma di cui abbiamo bisogno per proteggerci dall’annientamento. Abbiamo la verità. “ La verità, tutta la verità, nient’altro che la verità ! ” Un aspetto piuttosto insolito della storia della mia vita è la mia entrata da sinistra nell’ambito politico, tramite la Rote Armee Fraktion (RAF). Per farla breve, la RAF prese la via della lotta armata contro “ Il Sistema ”, così come veniva chiamato in quei giorni.
L’idea che ci motivò a prendere la via della lotta armata era la nostra credenza nell’Olocausto. Credevamo effettivamente in ciò che “ Il Sistema ” ci aveva insegnato a scuola e in ciò che veniva costantemente affermato dai media controllati dal nemico. Come altri nella RAF, io credevo in questa propaganda anti-tedesca. Ci credevo veramente e cercavo un modo per infrangere quell’insopportabile complesso di colpa associato “all’assassinio di sei milioni di ebrei ”.
Non intendo antrare nei dettagli di quel periodo della mia vita; il punto è che, quando ero giovano, ero un “fervido credente” dell’Olocausto. Nel 2001, nel corso della mia carriera come avvocato, mi fu chiesto di difendere un patriota musicista. Si trattava del cantante Frank Rennicke che fu condannato dal tribunale per “Negazione dell’Olocausto ”.
La mia risposta a questa richiesta fu: “Naturalmente la difenderò!” Il compito di difendere Frank rese necessario che indagassi sui fatti, prove e accuse collegati all’Olocausto. Ecco a cosa hanno rivelato le mie inchieste: non c’è nessuna prova al riguardo delle fantastiche asserzioni inerenti l’Olocausto! Ci sono soltanto dichiarazioni rilasciate dal tribunale dei vincitori a Norimberga che dicono che ciò avvenne e che in merito si è già sufficientemente “investigato”.
Con la sua proverbiale faccia tosta il nostro nemico ci dice: “nessun altro evento in tutta la storia è stato così attentamente esaminato come l’Olocausto ” (La stessa faccia tosta che porta il nemico ad asserire che le enormi quantità di insetticida che la Germania usò per proteggere la salute dei prigionieri durante la Seconda Guerra Mondiale, fu usato per uccidere gli ebrei).
Se esaminiamo i fatti attuali, scopriamo che tutto ciò è una menzogna. E’ una propaganda di atrocità che viene tutt’ora seminata, 65 anni dopo la sconfitta della Germania. Quando il servile Bundesgericht (Corte Suprema tedesca) dichiara che un migliaio di “ testimoni oculari “ sostengono “ l’evento provato “, si tratta di un’altra sfacciata menzogna!
La nostra cosidetta Corte Suprema sa perfettamente che la nostra cosìdetta Bundesrepublik (Repubblica Federale) non è uno stato sovrano e quindi non è un governo legittimo. Il Prof. Carlo Schmid, l’esperto di diritto internazionale riconosciuto a livello mondiale e autore della nostra Grundgesetz (Legge Fondamentale), affermò chiaramente che la Repubblica Federale non è uno stato valido.
In una conferenza che diede in occasione della sua creazione nel 1949, egli la descrive specificatamente come una “Organisationsform einer Modalität der Fremdherrschaft “ (Forma Organizzativa di una Modalità del Dominio Straniero), in altre parole, un mezzo di dominio dei nostri nemici. Il Prof. Carlo Schmid compose questa descrizione diplomatica per evitare di usare il termine “ governo fantoccio “
La nostra legge Fondamentale non è stata scritta da un’assemblea di rappresentanti eletti e non è stata approvata plebiscitariamente. I nemici occupanti ce la imposero e non risponde ai requisiti di uno stato legittimo. Poiché la Repubblica Federale non è uno stato legittimo, le istituzioni e le condizioni che i nostri nemici ci obbligano ad accettare, sono altrettanto illegittime sulla base del diritto internazionale.
E’ chiaro che i vincitori o il vincitore della Seconda Guerra Mondiale (il vero unico vincitore fu l’ebraismo mondiale) si diede un gran da fare per assicurare che le basi del dominio ebraico, di fatto il culto religioso dell’Olocausto, fossero legalmente inattaccabili. Questo fu il loro intento quando crearono la Repubblica Federale ed è chiaro che la Corte Suprema a quel tempo adottò un ordinamento giudiziario destinato a perpetuare “ l’Olocausto “.
La missione di proteggere l’Olocausto è insita sia nella Repubblica Federale che nella Legge Fondamentale. Questa è la base della dominazione della Germania da parte dei suoi nemici. Il ministro degli esteri Joschka Fischer lo ha spiegato molto chiaramente quando si riferì all’Olocausto ed alla sponsorizzazione di Israele come la ragione di essere della Repubblica Federale.
Ciò che sta accadendo ora, altro non è che la distruzione del fondamento morale del nostro Popolo tramite un assalto genocidi alla nostra anima nazionale. In questo non c’è niente di sorprendente. Dovremmo considerare i nostri nemici veramente stupidi, specialmente il nostro più potente e più pericoloso nemico, se non avessero preso le misure idonee a mantenere il dominio su di noi.
I nostri nemici non scatenarono la Seconda Guerra Mondiale contro di noi semplicemente per abbandonare i loro scopi bellici dopo l’inevitabile vittoria delle loro risorse soverchianti in uomini e mezzi. Andarono ben oltre, evitando di darci la possibilità di esonerarci dalla Grande Menzogna, tramite autentici processi condotti da un potere giudiziario indipendente e professionale.
Il nostro peggior nemico non è stupido! Egli prese scrupolose precauzioni e conosce fin troppo bene i metodi da elaborare per assicurare la compiacenza al suo modo di intendere la “giustizia” . Chiunque non si accorga che il nostro nemico continua a perpetrare il genocidio contro di noi, come parte dei suoi scopi bellici, può aspettarsi che un Tedesco obbedisca al divieto di mettere in dubbio l’Olocausto.
Nessuno può aspettarsi che un Tedesco che voglia essere Tedesco non si ribelli a questo assalto contro la nostra nazione. Questo assalto non è altro che un genocidio culturale e ci minaccia tutti. Se è possibile, vi chiedo di osare immaginare che cosa necessariamente ne seguirà, se ne sarà il caso.
Che disgraziato essere umano sarei se, conoscendo questa minaccia per la nostra nazione e tutte le sue implicazioni, me ne stessi tranquillo seduto sulla mia comoda poltrona in attesa del giorno nel quale la verità verrà alla luce per conto suo! Ogni Tedesco ha l’obbligo di fare il suo dovere per la Patria! Abbiamo il sacrosanto diritto di difenderci, preservare la nostra nazione ed il nostro Popolo.
In ogni paese civilizzato c’è un obbligo legale di venire in aiuto di coloro che sono in pericolo. Infatti la legge prescrive delle pene per coloro che non portano soccorso. La mancanza di aiutare e soccorrere è una grave violazione della legge, costituisce in se stessa un corpus delicti. Sarei colpevole di un grave crimine se io non venissi in aiuto del mio Popolo, se me ne stessi tranquillo senza venirne in soccorso, sapendo che quella mostruosa impostura chiamata “Olocausto” non è mai avvenuta. In tal caso sarei veramente un criminale depravato!
Nell’attuale situazione non avrebbe senso per me tirare avanti a stento e cercare di guadagnare una maggioranza in questo o quel partito politico, oppure fondare un nuovo ed indipendente partito che si farebbe in un qualche modo strada attraverso il nostro intricato e corrotto parlamento per abrogare le leggi liberticide anti-tedesche.
Lavorando da solo, la mia linea d’azione è quella di continuare a fare ciò che ho sempre fatto. Confidando su me stesso, non posso fare altro che ripetere la verità, sempre e di più. Ho fatto un sacro giuramento che può essere letto su Internet, la nostra unica fonte informativa non censurata, che non desisterò mai dal ripetere questa verità: “L’Olocausto è una menzogna e lo è anche l’affermazione che ritiene sia stato provato”. Non c’è nessuna prova che lo sostenga.
Nella sua intrepida difesa della fede cattolica, il Vescovo tradizionalista Richard Williamson ha recentemente affermato la stessa verità che io scoprii molto tempo fa. Nel caso di Frank Rennicke fui professionalmente obbligato ad indagare le prove dell’Olocausto ed arrivai alla conclusione che tali prove non esistono. Dopo aver riesaminato diversi processi simili, fummo in grado di esibire una lettera scritta da un professore di storia contemporanea, il Prof. Gerhard Jagschitz, di Vienna, le cui ricerche avevano anch’esse portato alla conclusione che non c’è alcuna prova a difesa dell’Olocausto.
Quando lo contattai, egli mi disse: “ Si certo, lo sappiamo già “. Il Prof. Jagschitz era stato incaricato dal tribunale come perito testimone onde determinare se l’Olocausto fosse “ evidentemente ovvio “ come evento della storia contemporanea. Passò tre anni ad esaminare la letteratura disponibile riguardante l’Olocausto in modo da determinare la verità. Trascorsi questi tre anni informò il tribunale che non poteva più difendere la sua iniziale ipotesi a difesa della validità dell’Olocausto. Arrivò alla netta conclusione che, nell’ambito delle direttive di una società di diritto, non è ammissibile usare la “ manifesta ovvietà “ dell’Olocausto come base per condannare coloro ritenuti colpevoli di metterla in dubbio.
In quei giorni era il Prof. Jagschitz ed ora è la volta del Vescovo Williamson ma presto ci saranno molte altre personalità prominenti che arriveranno alla stessa conclusione. L’auto-difes è un diritto inalienabile. Come Tedesco che vuole essere Tedesco mi sento personalmente coinvolto da questo assalto contro il mio Popolo. La nazione Tedesca non ha solo il diritto di difendersi, in effetti essa è obbligata a difendersi.
A causa della nostra sostanza culturale, noi come nazione nell’Europa centrale abbiamo il dovere e l’obbligo di resistere ai tentativi di distruggerci culturalmente, di annientarci come Popolo e come entità spirituale. Ecco la posta in gioco! Non scelgo di aspettare che siano altri a difendere la nazione Tedesca, scelgo di farlo io stesso!
Sto dicendo la verità così come la percepisco e la verità è quella che il cosiddetto “ Olocausto “ non c’è mai stato. E’ questa l’ovvia ragione per la quale non vi sono prove in merito. Non c’è niente che difenda l’Olocausto, tranne i verdetti dei processi farsa in stile moscovita.
Questi verdetti ci vengono costantemente martellati nel cervello dai media giudaici come “ prova “ che l’Olocausto fu reale e che c’è un’abbondanza di prove che lo dimostrano. Coloro che applicano e perpetuano quest’etichetta sanguinaria sono colpevoli di tradimento contro la nazione Tedesca.
I più famosi fra questi traditori sono i giudici della Corte Suprema che santificano e rafforzano le decisioni dei tribunali minori riguardanti l’assurda “ manifesta ovvietà “ dell’Olocausto. Ciò è peggio che travisare la giustizia, significa portare avanti un deliberato genocidio contro il popolo Tedesco. Ho dimostrato la colpa dei traditori togati di Karlsruhe numerose volte e continuerò a sottolinearlo anche dalla prigione.
Dovrò farmi 12 anni di carcere. Come andrà a finire? Ho 73 anni e quindi questa è una condanna all’ergastolo per me. La mia sentenza prova che nella Germania di oggi il carcere a vita può essere comminato a chiunque si rifiuti di fare atto di sottomissione alla Grande Menzogna.
Naturalmente gli ebrei sono sempre disposti a “ trattare “. Il dissidente viene prima punito in maniera leggera, magari con un’ammenda pecuniaria. Oppure ci può essere una condanna al carcere di qualche mese che può tramutarsi in libertà vigilata. C’è sempre la possibilità di uscirne facilmente inchinandosi servilmente davanti alla Grande Menzogna e dando assicurazioni che non ci saranno più difficoltà in futuro.
Questo è ciò che il nemico vuole. Chiunque sia convinto che la vita sotto la Grande Menzogna non valga la pena essere vissuta, deve essere tenuto dietro le sbarre per sempre. Siccome io ho apertamente espresso questo sentimento innumerevoli volte, sapendo molto bene che la clava si sarebbe abbattuta, il nemico mi terrà sicuramente in prigione per il resto della mia vita.
Il nemico deve dimostrare al pubblico intimorito che cosa è veramente in gioco. Chiaramente noi Tedeschi ci troviamo in una situazione nella quale dobbiamo mandare a monte le nostre vite se non ci sottomettiamo alla Grande Menzogna. Qualunque cosa mi accada, posso solo dire, così come il nostro Salvatore dice nel Vangelo di San Matteo: “ chiunque non è disposto a portare la sua croce non è degno di me! “
Non siamo degni di chiamarci Tedeschi se, invece di alzarci in piedi per la verità, ci sottomettiamo supinamente alla Grande Menzogna! Credo comunque che la situazione storica della Germania stia per cambiare. La lotta sull’autenticità dell’Olocausto e sul dominio del dogma olocaustico sta ora imperversando nell’ambito della Chiesa Cattolica.
La Chiesa ha ancora un grande potere, anche se la sua gerarchia è stata corrotta ed erosa dagli ebrei. Con la sua grande ricchezza e centinaia di milioni di devoti seguaci, la Chiesa è la roccia sulla quale la nave della Grande Menzogna si andrà ad infrangere per poi affondare.
Gli ebrei stanno per avere la loro Waterloo. Una volta che l’Olocausto potrà essere apertamente discusso, la conoscenza della sua vera natura non potrà più essere soppressa. Quando l’affare del Vescovo Williamson raggiunge il punto in cui un papa è obbligato a scomunicarlo un’altra volta, come richiesto dall’ADL (Anti-Defamation League: organizzazione attivista dell’ebraismo mondiale), oppure se, sotto la pressione dei media ebraici e di corrotti politici, Papa Benedetto XVI° dovesse abdicare dal Trono di San Pietro, ciò sarebbe un atroce shock per il mondo cattolico, allora la verità si farebbe strada!
La fede cristiana è basata sulla Verità, la Roccia dei Tempi. La Verità ci renderà liberi e la volontà di essere liberi crescerà sempre più forte fino ad essere irresistibile, dopodichè avremo vinto. Per quel che mi riguarda, io ho fatto tutto quello che potevo. Ho dato un esempio. Ho detto spesso che la nostra è la più facile rivoluzione che sia mai stata portata avanti.
Abbiamo soltanto bisogno che alcune migliaia di persone si alzino e dicano la verità chiaramente ed apertamente come ha fatto Richard Williamson ed io ho cercato di farlo, assieme ad altri che si sono autodenunciati per aver detto la verità e per aver distribuito “ Conferenze sull’Olocausto “ di Germar Rudolf .
La vittoria finale della verità è inevitabile, così come lo è la sconfitta dell’ Impero Sionista globale. Tuttavia, non abbiamo modo di sapere quanto tempo dovrà passare ancora, o le esatte circostanze che porteranno la verità alla vittoria.
Aspettiamo e vediamo. Al momento stiamo assistendo ad un altro crollo del sistema finanziario globale ebraico. La base del potere ebraico, il tempio del loro dio Jahweh-Mammona, è stato colpito al cuore dal crollo del loro sistema bancario predatore. Il potere ebraico è basato sul potere del denaro col quale comperano il controllo dei politici e dei media. Al momento stanno perdendo questo controllo del denaro. Una volta che lo hanno perso, perderanno anche il controllo del governo e dell’opinione pubblica. Il loro controllo sull’opinione pubblica è già stato indebolito dalla nascita del non censurato Internet che non sono in grado di sopprimere. Appena perderanno il controllo dei media, si troveranno in una situazione pietosa!
Quando ciò accadrà, gli ebrei ci saranno riconoscenti per aver capito e accettato il loro storico ruolo nella redenzione del mondo. Noi riconosciamo la loro tirannia distruttiva come una rivelazione del sentiero di Dio attraverso il mondo verso se stesso, come spiegò il filosofo Hegel.
Noi rispettiamo gli ebrei come i seguaci di Satana e li accettiamo nella certezza che potremo redimere loro e noi stessi portando la Verità nel mondo con le nostre azioni. Gli ebrei hanno un pressante bisogno di redenzione e un giorno essi ci saranno grati!HORST MAHLER
Inviato da: Ingrid Rimland Zuende
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2. Ancora sull’Europa. – L’articolo di cui al link è del 18 marzo 2004 ed appariva su “Libero”. È proprio vero il motto che l’uomo è misura di tutte le cose. Leggendo testi e commenti di cui al link e su cui cerchiamo di trattenere la polemica, in osservanza dei principi che vogliamo seguire in questa seconda serie del nostro “Monitoraggio”, le nostre valutazione sono diametralmente opposte a quelle degli autori. Mi viene da sorridere alla “critica del presente” cui da anni attende Alain Finkielkraut. Come non pensare a ben altra critica del presente? A quella di Horst Mahler e di tutti quanti gli altri innumerevoli, grandi e piccoli, noti e ignoti, che per la loro “critica del presente” devono scontare il carcere e la gogna mediatica? Tiriamo avanti! La sete di guerra e di sangue del nostro Alain è tutta degna di lui e della sua appartenza. Quanto all’11 settembre 2001 permangono tutti i dubbi e gli inquietanti interrogativi. Che cosa sia poi seguito, ben lo sappiamo. Vi è stata la plateale menzogna dei falsi armamenti di Saddam, una mezogna ben alimentata da Israele e dalle sue lobbies in servizio permanente attivo in ogni paese, alla quale è seguita in Iraq una guerra che è costata un milione di vittime innocenti e pare tremila miliardi di dollari. Mi chiedo se l’odierna crisi economica non abbia nulla a che fare con quell’immenso spreco di risorse umane e materiali. Ma tutto questo Alain non lo sa o non gli interessa. Non lo riguarda. Quanto alla parola “terrorismo” è semplicemente inadatta ad un filosofo o sedicente tale che abbia una qualche dimestichezza con la filologia. Edward Said, di ben altra pasta di Alain Finkielkraut, ha già avvertito come al concetto di “terrorismo” si sia incominciato a far ricorso fin dalla metà degli anni settanta al solo scopo di delegittima la legittima resistenza dei palestinesi e di tutti i popoli mediorientali che godono della presenza di basi ed eserciti americani. Finkielkraut lamenta che gli spagnoli si siano ritirati subito dall’Iraq al primo attentato. Ma cosa stavano a fare in Iraq? Ci dovevano stare per la bella faccia degli israeliani e degli ebrei nostrani, compresa quella di Alain? Gli ebrei si indignano e reagiscono ferocemente alla «accusa del sangue». Ma non è sangue quello degli iracheni? Facendo un calcolo approssimativo sono milioni e milioni di litri di sangue versati. Per Alain non è ancora abbastanza! Decisamente miserabile come articolo ed è penoso dover giungere alla fine del testo. Una sofferenza, ma non perché dissento totalmente, bensì per l’enormità e la faziosità delle affermazioni. Finkielkraut ben merita di venir considerato come un agente di guerra, come uno di quegli scrittori che sistematicamente tentano di convincere gli sprovveduti che è nostro interesse e nostro dovere muovere guerra alla gente più povera del pianeta, i quali hanno il solo torto di non decidersi a lasciarsi sterminare in silenzio o a mettersi ubbidiente in ginocchio, lasciando che di loro e su di loro decidano i civilizzatori giudaico-americani o giudaico-bolscevichi. L’unica minaccia che abbiamo alle nostre libertà, una minaccia che dura dal 1945, è quella che ci viene da Israele. Questo per fortuna molti che non scrivono sui giornali come il “Foglio” lo hanno ben capito. Il nostro Alain ci tira per la giacca in una guerra di sterminio e di pulizia etnica, che non è nostra, ma di cui ci vuole convincere che è nostra. E questo sarebbe il Finkielkraut che il mio anomimo detrattore sulla rete mi invita a leggere. Se tutti i suoi libri sono dello stesso tenore, non credo che avrò bisogno di leggerli tutti. Una sciocchezza, una bestialità detta in una pagina si autoriproduce per migliaia di volte. Userò tutti gli scrupoli della filologia e le regole della deontologia, per ricredermi eventualmente, ma il “campione” non depone a favore del nostro monitorizzato. L’attenzione che gli ho fin qui dedicata è pure troppo e di certo non apprenderò nulla di utile o di buono andando avanti. Mi arrabierò certamente. Non poteva mancare la critica ad un ebreo intelligente: a Edgar Morin. Su un fatto possiamo concordare: «L’Europa si chiede: ma cosa ho fatto per meritare tutto questo?». Cosa abbiamo fatto per meritarci un Alain Finkielkraut?! Abbiamo perso nel 1945 la guerra e questo è il prezzo che non finiamo ancora di pagare! La viltà non quella cui allude Finkielkraut, ma quella di chi non dice ai tanti Finkielkraut quel che meritano si dica loro. Se il Male c’è, non è quello che dice Finkielkraut e non lo si trova dove lui dice che sia.
3. Gli ebrei sono razzisti? – L’articolo è del 25 agosto 2004 ed appariva sull”«Avvenire». Contiene un’intervista al “filosofo ebreo” Alain Finkielkraut: dunque si può almeno dire “ebreo”. Il filosofo lasciamolo pure da parte. Se si va al link ed ai commenti che lo accompagnano, è difficile trattenere il sorriso, ma non ci lasciamo trascinare in una facile polemica. Non credo ad un fenomeno di risorgente antisemitismo, per lo meno nelle forme del passato. Credo invece che una qualsiasi minimo pretesto serva agli ebrei per chiedere ed ottenere nuove posizioni di privilegio. Mi viene perfino il sospetto che gli atti vandalici possano essere autoalimentati o strumentalmente ingigantiti ed enfatizzati. Se poi per antisemitismo si intende antiisraelismo, ve ne sono tutte le ragioni come potevano esservi a suo tempo per il Sud Africa, non volendo fare altre analogie. A Finkielkraut non è difficile obiettare che il “razzismo” degli ebrei non è per nulla “presunto”, ma fondato sia se si vuole condiderare la peculiare religiosità ebraica che pone un “popolo eletto” da una parte e tutti gli altri popoli squalificati come “idolatri” e simili. Leggendo un altro ebreo o di origini ebraiche come Bernard Lazare, che scrisse nel 1894 un libro importante sull’antisemitismo, si trova una sensatissima affermazione: se gli ebrei lungo tre mila anni della loro storia, almeno in quanto comunitò religiosa, hanno avuto sempre difficili relazioni con tutti gli altri popoli, è forse il caso di cercarne la causa non in tutti gli altri popoli, ma negli stessi ebrei. Ma a maggior ragione si può parlare di un “razzismo” ebraico o sionista, se si va a considerare ciò che gli ebrei hanno fatto e continuare a fare in Palestina non dal 1948, anno della grande pulizia etnica descritta dall’ebreo Ilan Pappe, ma dal 1882 con i primi insediamenti sionisti, dove possono cogliersi tracce di una teoria e di una prassi razzista. La gente comune, che abbia un minimo di informazione e sia priva della deformazione filosofica di Alain Finkielkraut, tutto questo lo vede bene. Che non si possa pretendere di plaudire al razzismo un “filosofo” come Finkielkraut è, lo si dovrebbe ben comprendere. Che poi le forme della protesta e del dissenso debbano essere civili e non violente siamo perfettamente d’accordo. Personalmente ritengo che il mondo sarebbe oggi più felice, se anziché cristianesimo o ebraismo le epoche passate avessero trasmesso fino a noi le antiche religioni “pagane”, che erano certamente più tolleranti e pacifiche di tutti i monoteismi, e fra questi ritengo che l’ebraismo sia la più inumana e feroce, certamente antisociale se non proprio razzista. Sbaglia Finkelstein quando parla di “conflitto” israelo-palestinese. In realtà, come di recente ha spiegato l’ebreo Ilan Pappe non vi è nessuna “dualità” – concetto insito nell’idea di conflitto –, ma soltanto una “monodica” unilaterale aggressione coloniale di conquista da quando gli ebrei russi della seconda metà del XIX secolo, sostenuti finaziariamente dal giudaismo americano, si sono messi in mente che avevano diritto di “ritornare” nella Terra che Geova loro promise in dono, scacciandovi e sterminando ieri i cananei ed oggi i palestinesi. Se questo non è feroce razzismo, diventa difficile trovare un altro modo per definirlo. Ma da un filosofo come Finkielkraut siamo certi che qualcosa troveremo nei suoi numerosi libri. Infine, vorrei ricordare un fatto successivo all’epoca dell’intervista. Avraham Burg ha pensato di fare buon uso del suo passaporto francese, ritornandosene in Francia e lasciando Israele, da lui definito in pratica uno stato “razzista”. Avraham Burg non è un ebreo qualunque, ma viene da una famiglia che si è sempre trovata ai vertici della società israeliana. Stando poi ad alcune notizie a me giunte sembrerebbe che molti israeliani si tengano ben cari il loro doppio passaporto. Ahimé, il problema è tutto nostro, se ci ritornano in casa e pensano di poterci trattare come hanno trattato finora i palestinesi. Meno male che è lo stesso Finkielkraut ha riconoscere che in Francia gli ebrei non hanno nessun “ostacolo” nelle loro carriere. Ahimé! Lo hanno gli altri! In Italia, basta che qualcuno non sia gradito agli ebrei, perché si senta la voce di chi chieda pubblicamente al ministro se quel tal docente può continuare ad insegnare! L’ultimo caso ha riguardato un certo prof. Valvo di cui non mi è riuscito di saper più nulla, benché abbia chiesto notizie alle Autorità sull‘esistenza in vita di questo docente.
(segue)
5 commenti:
Gentile dottore Caracciolo,
Sono un lettore spagnolo del suo blog. Volevo scrivere un piccolo messaggio per trasmettere i miei complimenti per i suoi testi, per la loro continuità e soprattutto per la loro qualità.
Leggo con molta attenzione le analisi presentate da Lei e l’informazione che rende disponibile ai lettori che vogliono pensare al di là della Vulgata ufficiale e obbligatoria che ci impongono su certi temi.
In questo post, tra l’altro, c’è uno spunto davvero importante, o che diventerà sempre più importante:
Stando poi ad alcune notizie a me giunte sembrerebbe che molti israeliani si tengano ben cari il loro doppio passaporto. Ahimé, il problema è tutto nostro, se ci ritornano in casa e pensano di poterci trattare come hanno trattato finora i palestinesi.
Nella misura in cui, come Lei sicuramente sa:
Selon une analyse prospective de la CIA qui vient d’être présentée à des représentants du Senate Intelligence Committe (SSCI) et du House Permanent Select Committee on Intelligence (HPSCI), sous sa forme actuelle, la survie d’Israël ne dépasserait pas les vingt prochaines années.
Le document prédit en effet « un mouvement inexorable d’une solution de Deux à Un État, comme modèle le plus viable fondé sur des principes démocratiques de pleine égalité qui éliminerait le spectre menaçant de l’apartheid colonial et permettrait le retour des réfugiés de 1947/1948 et de 1967. Ce modèle est la condition préalable à la paix dans la région. »
(Da : Entité sioniste, la fin d’ici vingt ans ? di Christian Bouchet su Voxnr).
E come spiega l’autore:
Le Rapport estime de plus que « environ 1,6 million d’Israéliens sont susceptibles de retourner sur la terre de leurs ancêtres en Russie, en Europe de l’Est et de l’Ouest » ce qui réduirait la population juive dans le nouvel État à moins de 2 millions de personnes.
Davanti ad una situazione di questo tipo, vorrei porre una domanda che potrebbe sembrare un po’ingenua o anche assurda ma che, comunque, potrebbe essere posta allo scopo di pensare il futuro della questione sionista oltre alla liberazione della Palestina storica e tenendo conto delle ricadute che essa potrebbe recare con sé, e cioè quale potrebbe/dovrebbe essere il ruolo o la risposta dell’Europa in un contesto del genere?
Mi rendo conto che dare risposta a una questione di questa natura non è facile e che alla fin fine potrebbe sembrare un esercizio un po’ sterilmente speculativo, ma credo anche che possa essere considerata un’opportunità per elucidare la propria posizione sulle possibili, ragionevoli e auspicabili soluzioni del conflitto attuale in vista anche delle potenziali ramificazioni.
Sarebbe interessante leggere il suo parere a riguardo…
Grazie, comunque.
Cordialmente,
J.
La ringrazio per la sua attenzione ed il suo apprezzamento, che leggo di prima mattina e sul quale inizio prima a svolgere alcune riflessioni generali e tentando poi non già di rispondere alla sua domanda, ma di rifletterci sopra.
Intanto mi chiedo ed in un certo senso chiedo a tutti noi: perché scriviamo e manifestiamo il nostro pensiero, nel nostro caso in una forma pubblica che qualcun altro può leggere? Il mio blog non è certamente il “Corriere della Sera”, il País o una grande televisione. Adopero a volte l’immagine della bottiglia con dentro un foglio e quindi gettata nel mare. Io ho lanciato nel mare una bottiglia: lei ha raccolto questa bottiglia con dentro qualche mio pensiero.
Pur essendo in fondo gratificato del fatto che qualcuno possa leggere quello che scrivo ed esprimo, devo tuttavia riconoscere e dire che la ragione principale del mio/nostro scrivere non è finalizzata all’altrui lettura. Se fosse solo questo o la ragione principale, ciò potrebbe solo alimentare la nostra vanità e il nostro narcisismo.
In quanto esseri umani abbiamo tutti bisogno di pensare, non solo di mangiare ed espletare le funzioni fisiologiche proprie di ogni organismo vivente. Ed il pensiero giunge a maturità esprimendosi. I pensieri non nascono in noi perfettamente compiuti, ma hanno i loro tempi di gestazione e le loro sofferenze per venire alla luce.
Se non avessi cominciato la mia giornata rispondendo a lei, avrei tentato di formulare un concetto su cui mi ero soffermato ieri sera riguardo ad un sito web che è stato posto sotto sequestro qui in Italia e di cui può leggere in alto a destra di questo blog.
Non sto divagando. Ho presente la questione da lei posta. Ma ci arrivo facendo un giro. Mi son detto ieri sera: questo signore, credo un anziano signore, autore del blog sequestrato e accusato sulla base di una legge voluta proprio dal mondo ebraico, dal famigerato B’naï B’rith, che ha le sue logge massoniche anche in Spagna, questo signore non costituisce assolutamente un pericolo per nessuno: non “odia” nessuno, il “razzismo” e la “superiorità razziale” di cui lo si vorrebbe accusare è del tutto chimerica, è una spudorata menzogna non trovando i suoi delatori altro mezzo per colpirlo, per fargli del male, per toglierlo di mezzo. In fondo, sopravvaluta se stesso come anche io sopravvaluto me stesso se penso che davvero ciò che scrivo possa illuminare altri, possa portare la verità alla conoscenza di altri. E per questo il potere ci vorrebbe mettere il bavaglio alla bocca: per non far conoscere agli altri la “nostra” Verità.
Io credo che chiunque voglia conoscere una determinata verità abbia la capacità, la forza e i mezzi per attingerla da solo. Dunque, rispetto alla Verità io sono un inutile sacerdote, un ministro inutile. La Verità non ha bisogno di apostoli. Una verità che si pretenda poi di imporre con la forza o con legge di stato diventa Menzogna, una Tirannia che opprime i cittadini e che deve essere abbattuta per riconquistare la propria libertà.
In realtà, chiudendo il sito dell’anziano e malato signore o venendo io stesso a volte attaccato dai “Difensori di Israele” o dai “Corretti Informatori” o dagli “Onesti Reporter” e simile genia perfida e malvagia, si vuole colpire e reprimere quella singola persona per il solo fatto che pensa quel che pensa ed osa perfino dirlo e gridarlo in pubblico, qui nella rete e potenzialmente a tutto il mondo, se davvero a internet sono virtualmente connesse oltre un miliardo di persone. Virtualmente è come se fosse tutta l’umanità, raggiungibile in tempo reale e non nella posterità attraverso qualche capolavoro del pensiero o dell’arte: un privilegio concesso a pochi che diventano per questo come degli dèi, degli Eroi.
Dunque, il nostro pensiero in quanto tale può essere censurato e colpito, represso. È come se si uccidesse la persona stessa che nella sua funzione più elevata, diversa dal mangiare, si eleva al pensiero e alla sua espressione, non priva o disgiunta a volte da emotività e passionalità. Perché il pensiero dovrebbe avere nella sua espressione la freddezza della morte e non pulsare invece con gli stessi sentimenti che ci sono propri e che in genere trovano forma nella poesia e nell’arte?
Mi avvicino alla questione che credo lei abbia voluto pormi. Se pensiamo all’Europa uscita dalle macerie del 1945, ci accorgiamo che non solo sono stati abbattuti i regimi vigenti fra le due guerre, ma sono stati criminalizzati tutti i pensieri che “liberamente” si interrogano sugli anni 1914-1945. Quei regimi sono morti e defunti. Niente e nessuno può resuscitarli. Dai morti non può venire nessun pericolo. Trovo ridicole, disoneste e strumentali tutte le contestazioni di neofascismo, neonazismo e simili, con le quali si reprimono dapprima degli incauti per poi restringere le libertà di tutti i cittadini.
Vi è dell’altro. Per esprimermi con un’immagine: abbattuta la statua dei vecchi dèi o dei vecchi imperatori e regnanti, è come se i nuovi venuti dicessero: sono ora io il tuo dio e padrone; è me che devi adorare e servire, con tutta la mente e con tutto il corpo. Privi di ogni amor di patria, avidi di potere e ricchezze, le classi politiche insediate dai vincitori nel dopoguerra hanno un solo criterio di condotta: il servilismo verso il vincitore e l’oppressione dei loro concittadini. Non sono io a dirlo: già Vittorio Emanuele Orlando parlò di “cupidigia di servilismo” dei nostri governanti di allora, gli stessi che negli anni Novanta furono scoperti come ladri, tangentisti e barattieri in grande maggioranza.
Più tecnicamente: il problema è quella dell’identità degli europei dopo il 1945. E qui gli Ebrei con la loro Shoah ed i loro maneggi sanno quel che vogliono e cosa ci vogliono imporre. La loro vittoria, ottenuta cinicamente con le armi americane e senza scrupoli di verità o giustizia alcuna, la vogliono portare fino in fondo, il coltello spingerlo fin nel più profondo dei nostri corpi e delle nostre anime martoriate. Non si accontentano di ciò che hanno inflitto ai nostri padri, ma reclamano anche i nostri corpi, le nostre menti, le nostre anime. Il loro vittimismo è “perfido” come la loro religione: per duemila anni i cristiani hanno avuto consapevolezza di questa “perfidia”.
Io guardo con speranza e simpatia gli orientali, li ammiro e li rispetto ben sapendo io di non essere un musulmano e non volendo in alcun modo abbracciare la loro fede: i miei dèi sono quelli antichi, i cui templi sono stati abbattuti da ebrei e cristiani, i cui “vertici” in Lione – vedi più sotto – si sono trovati d’accordo nell’insultare, reputando fosse “idolatria” la religione degli antichi romani che avevano unito in pace e civiltà tutto il mondo antico, un mondo che la “religio” giudaico-cristiano ha dissolto. Tremo per le sorti e la vita del piccolo eroico popolo palestinese, il vero popolo semita, temo per le nuove “crociate” contro i musulmani. Pur essendo immensamente inferiori in armi, non hanno ancora smobilitato il loro spirito. Anzi sembrano diventare più forti nel loro animo e nella loro fede quanto più vengono massacrati e lacerati nella carne. Per questa loro volontà di conservare la dignità umana vengono angariati e umiliati in ogni modo e continuamente, come possiamo osservare in numerosi filmati YouTube. E con quale faccia tosta i nostri Frattini ci vengono poi a parlare di “diritti umani”, quando ben sappiamo chi sono i primi a violarli! Al confronto di tanta rigogliosa fede islamica il cattolicesimo ha svenduto il complesso bimillenario del corpo dogmatico della sua fede barattandolo in un accordo di potere e in uno scambio di privilegi fra “vertici” giudaico-cristiani: vada a leggersi lo scambio di allocuzioni fra il B’naï B’rith in Lione anno 1991 ed il cardinale Decourtay, solennemente premiato con medaglia del B’naï B’rith per aver consegnato di nuovo Cristo nelle mani degli Ebrei!
L’Islam in quanto concezione religiosa del mondo non ha conosciuto – fortunatamente per loro – nessun Concilio Vaticano II, nessun svuotamento dall’interno. Sembra refrattario a tutta quella filosofia dell’esistenza che a noi viene propinata ogni giorno, con le buone (la propaganda subdola, la menzogna sistematica, l’ottundimento a mezzo stampa e tv, ecc.) o con le cattive: Germania, Francia, Austria, Svizzera, Italia, dove a chi non la pensa in modo conforme è inflitto il carcere e l’emarginazione sociale, il taglio dei viveri.
Nessuna speranza? Non direi! Il condannato Mahler ci dice mentre si sottrae al mondo degli uomini, mentre ci è sottratto: la verità vi farà liberi! Io intendo: il pensiero in quanto per davvero tale, ossia espressione assolutamente libera e non indotta del nostro essere, produrrà la nostra identità, felice o infelice a seconda dei casi.
Io penso che la soluzione dello Stato Unico in Palestina sia la sola politicamente possibile e praticabile, a meno che gli israeliani (il mondo ebraico nei suoi vari travestimenti) non voglia condurre a termine – e sia capace di farlo – un genocidio di al quale impallidisce qualsiasi Shoah.
La nostra lotta di liberazione non può essere condotta con le armi: quella guerra i nostri padri l’hanno già persa e da allora il tallone del vincitore schiaccia il nostro petto e tiene piegate le nostre cervici. Non possiamo resistere e vincere solo con la forza del nostro pensiero, di un pensiero che non si lascia irretire ed inquinare dai miasmi della retorica politica, da tutti quei mezzi che il potere può usare che farci crede che il bianco è nero e che il nero è bianco, che la guerra ed il genocidio si chiamano “processo di pace” e che le vittime in casa loro (= i palestinesi) sono invece i carnefici e i terroristi. L’arroganza del potere, il disprezzo che nutre verso le nostre persone e le nostre intelligenze è tale da fargli credere che di noi può fare tutto quello che vuole: siamo alla sua merce nel corpo e nell’anima.
Ricordo da quando ero studente, un brano della Filosofia del diritto di Hegel: L’uomo pensa (sottolineo: “pensa”) e cerca nel pensiero la sua libertà. Questa frase, nella sua letteralità, acquista oggi per noi un significato ed un valore di estrema importanza che fa giustizia di una certa critica marxista ad Hegel che insisteva sul valore della prassi, più o meno rivoluzionaria e violenta. Nossignore: la prima libertà è quella che riusciamo a conquistare nella nostra testa attraverso una capacità totalmente indipendente e critica di pensare.
Davanti ai miei interlocutori ed ascoltatori o lettori non ho MAI pensato che dovessero assimilare o condividere il mio modo di pensare e di vedere, che può essere sempre erroneo, ma che è mio in quanto libero, e se libero capace di riconoscere l’errore e procedere sul cammino di una verità sempre difficile da afferrare, anche quando ci si sente molto vicini ad essa. Di certo, nella costrizione, nel servaggio, nel timore di leggi che puniscono il mero pensare, qui di certo non vi è nessuna libertà.
Per chiudere questa mia riflessione di prima mattina, che poi chiarirò meglio in altre occasioni, ritengo che dobbiamo nuovamente affrontare il problema ebraico in quanto ebraico. Se gli ebrei non vogliono assimilarsi a noi, essere noi stessi e come noi, non possono pretendere che dobbiamo essere noi ad assimilarci a loro: a farci circoncidere nel prepuzio e nella testa! Gli ebrei sono passati da una fase di discriminazione "negativa” – storicamente percorribile in 3000 anni della loro religione, ossia del loro fondamentalismo politico che funge loro da religione – ad una fase di discriminazione "positiva”, cioè di privilegio vero e proprio, più odioso di quello di cui erano titolari clero e nobiltà nell’ancien regime, peraltro un privilegio connesso ad una funzione sociale loro assegnata. Qui il privilegio è senza contropartita: vogliono e pretendono sempre di più senza mai nulla dare; a loro tutto è dovuto.
Ma qui mi per fermo, sperando di averle fornito qualche elemento di risposta a quelli che mi sono parsi i suoi quesiti. La ringrazio per l’attenzione e le auguro una Buona Pasqua.
Grazie per la sua risposta e per gli spunti che essa contiene.
Mi pare molto importante l'idea da Lei menzionata secondo cui il problema ebraico dovrebbe essere affrontato in quanto ebraico. In questo senso volevo sapere come, a suo avviso, dovremmo considerare il fatto futuro, più o meno improbabile, della sparizione dell'entità sionista e il possibile arrivo in Europa di numerosi contingenti di cittadini "israeliani" in cerca di un luogo dove "poetere vivere in pace" che quella nuova situazione geopolitica comporterebbe (e che i palestinesi giustamente agognano...)
C'è qualche via d'uscita che non ci veda, in forme logicamente e contestualmente diverse, nel ruolo dei nuovi "occupati"? Se è evidentemente giusto che i palestinesi conoscano la libertà, potrebbe questa situazione essere assai problematica per gli europei se in effetti teniamo conto della questione sionista in quanto questione ebraica?
Un saluto cordiale e anche io Le auguro una buona Pasqua.
J.
Non posso darle oggi una risposta articolata nella misura in cui sia capace di farlo. Pur avendo scritto un ampio commento, ho evidentemente lasciato in ombra questo specifico aspetto della sua domanda: e se gli israeliani ritornano in frotte nei paesi di origine di cui conservano il passaporto noi come dovremmo regolarci davanti a questa emergenza?
In Francia, ad esempio, è ritornato Avraham Burg, che non è l’ultimo degli israeliani. Intanto, a me riesce strana e difficile da ammettere un’ipotesi di doppio passaporto e di doppia cittadinanza sulla quale a secondo del proprio comodo si sale come su un autobus e vi si scende con altrettanta facilità. Questa “doppiezza” dovrebbe essere eliminata, almeno in prospettiva. Se progressivamente si acquista una nuova cittadinanza, altrettanto progressivamente se ne perde quella originaria: è il caso dei nostri emigranti in America. La cittadinanza italiana diventa sempre più un ricordo.
Devo essere qui telegrafico: per gli ebrei la strada che già in molti hanno percorso credo sia quella dell’assimilazione, dove se proprio vogliono conservare la loro religione ne avranno bene il diritto per gli aspetti propriamente religiosi, diciamo il vecchio testamento staccato dal Talmud, che a me sembra un testo politico-massonico con il quale si pretende di costituire uno stato nello stato.
Questa non è religione. È ben altro e probabilmente contro questo altro hanno reagito tutti i popoli della storia che si sono trovati in contatto con gli ebrei. Questa attitudine difensiva viene a mio avviso ingiustamente chiamata antisemitismo o antiebraismo, depurata ogni violenza che è sempre eticamente deprecabile e condannabile. L’uomo è fatto per sollevarsi al di sopra della bestia feroce e per considerare con rispetto l’altro uomo… Quindi, se lo vogliono gli ebrei devono fare un loro “Concilio” che separi la forma religiosa da quella politica. Non possono pretendere di vivere perennemente come un “popolo a parte” eternamente “ospiti” dei popoli spagnoli, francesi, italiani, europeo se mai ve ne sarà uno...
Da parte nostra ciò che possiamo offrire a quanti decidono di venire a stare presso di noi, ebrei, musulmani, buddisti, etc. è la piena equiparazione dei diritti e doveri civili e politici. Nessuno può venire a stabilirsi a casa nostra, pretendendo in perpetuo un regime di privilegio, trasformando noi in condizione di servi o quasi.
Mi scuso per la schematicità, ma oggi non mi sento di poterle rispondere di più. Tratterò probabilmente questi temi in altri miei post.
Gentile professore,
la sua ultima risposta è molto chiara e valida.
D'altronde, vorrei chiederle se può fornirmi alcuni dati che sto cercando.
Qualche settimana fa Enrico Galoppini, autore di un’opera notevole sulla islamofobia, diceva:
L’Unione Europea in pratica non esiste, politicamente, poiché così è stato deciso sin dall’inizio, tuttavia è bene stabilire che a livello europeo vi è una cointeressenza nel Sionismo, che funziona come una sorta di “società a quote”: chi più mette soldi più conta, e per questo è bene ricordarsi che la Germania, con le “riparazioni dell’Olocausto” , ha una forte influenza a Tel Aviv.
Lei potrebbe dirmi qual'è lo stato attuale di queste "riparazioni" , il loro "montante" e la teorica "data di scadenza". Comunque, c'è qualche testo nel quale la “parabola storica” di questo argomento venga esposta in modo abbastanza articolato e anche aggiornato?
In un post da Lei messo in rete qualche tempo fa veniva presentata la monumentale opera di Valli nella quale (non ho ancora avuto l’occasione di acquistarla) non so se si potrebbero trovare alcuni dati riguardanti questa questione…
Qualsiasi aiuto è ben accetto.
Un saluto cordiale,
J.
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