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«Non mi faccio illusioni: ci vorrà ben più di questo libro per ribaltare una realtà che demonizza un popolo colonizzato, espulso, occupato, e glorifica invece quello stesso popolo che l’ha colonizzato» (ivi, 220). I Lettori di “Civium Libertas” sono invitati a collaborare alla redazione di un Memoriale per ogni singolo villaggio distrutto durante la pulizia etnica del 1948 e negli anni successivi fino al nostro presente.
Un modo proverbiale per indicare l’insincerità di un pentimento o di un rimorso morale è l’espressione lacrime di coccodrillo, per indicare le conseguenze del tutto fisiologiche della digestione ovvero la ricerca dell’autoassoluzione della propria passata condotta morale. Ancora oggi è tipica la strategia dell’esercito israeliano nel commettere i peggiori crimini per negarli subito ad ogni contestazioni da parte di fonti non autorizzate ovvero ad esprimere il proprio disappunto e rammarico, quando non è proprio più possibile negare i propri misfatti. È questa la presunta superiore moralità ebraica ovvero sionista. La distinzione fra ebraismo genericamente inteso e sionismo è quanto mai necessaria: la confusione ed intercambiabilità dei termini è un modo stesso della guerra in atto.
Links:
1. All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948.
2. Institut for Palestine Studies. The most reliable sorce of information and analysis on Palestinian affair and the Arab-Israeli conflict.
Sommario: 1. La pretesa superiorità morale dell’esercito israeliano. – 2. Urbicidio sionista e mito della fuga palestinese. – 3.
1. La pretesa superiorità morale dell’esercito israeliano. – Significativamente Ilan Pappe, rispondendo a domanda sul merito della celebre dichiarazione presidenziale, già partorita in ambienti del B’naï B’rith, asseriva che si è antisemiti se non si è antisionisti. È infatti piuttosto difficile per il giudaismo descritto da Rabkin difenersi dai crimini del sionismo, respingendoli da se in quanto totalmente estranei alla cultura religiosa della Torah e suoi derivati. Ma, come è qui necessario, diamo il passo di Pappe, dove troviamo una nuova lista di villaggi distrutti, dei quali singolarmente cercheremo ogni notizia rintracciabile oltre la prima indicazione a noi data da Pappe nel suo volume La pulizia etnica della Palestina, un testo che deve entrare nella nostra coscienza e che deve essere sottratto alla campagna di silenziamento.
2. Urbicidio sionista e mito della fuga palestinese. – Il villaggio di Khirbat al-Manshiyya subisce la sorte che era stata freddamente premeditata nei decenni precedenti dalla ferocia coloniale sionista. Personalmente, avverto un forte senso di disgusto ed indignazione quando leggo in limine Shlomo Ben-Ami, che nella Prefazione al ben recensito suo volume sulla Palestina, rende colpevole gli arabi per la loro durissima e tenace opposizione «ad accettare una comunità ebraica al loro interno» (op. cit., 11). Da fervente sionista con pratica di ambasciatore, costui pensa di poter impunemente coniugare ipocrisia morale ed eufemismo diplomatico. In realtà, gli ebrei avevano convissuto pacificamente con gli arabi per tutti gli anni che precedettero i primi insediamenti coloniali sionisti nel 1882. Da quest’anno le cose cominciano progressivamente a deteriorarsi con vivissimo disappunto sia degli ebrei residenti ante 1882 sia dei loro ospiti arabi. Le fonti dottrinali del sionismo e la sua prassi politica documentazione che la pulizia etnica dei palestinesi era contenuta in nuce nella genesi stessa del sionismo, che non ha autonoma consistenza senza il suo contenuto razzista e coloniale. L’ambasciatore scrittore Ben Ami, che ben si guarda dall’attingere a fonti primarie, è inoltre ambiguo nell’uso dell’espressione “comunità ebraica” quasi che “ebraico” fosse la stessa cosa di “sionista”. A negare decisamente una siffatta equivalenza, oltre a scrittori ebrei come Rabkin, troviamo anche lo storico Pappe che così descrive l’urbicidio del 1948, attingendo a fonti primarie:
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Un modo proverbiale per indicare l’insincerità di un pentimento o di un rimorso morale è l’espressione lacrime di coccodrillo, per indicare le conseguenze del tutto fisiologiche della digestione ovvero la ricerca dell’autoassoluzione della propria passata condotta morale. Ancora oggi è tipica la strategia dell’esercito israeliano nel commettere i peggiori crimini per negarli subito ad ogni contestazioni da parte di fonti non autorizzate ovvero ad esprimere il proprio disappunto e rammarico, quando non è proprio più possibile negare i propri misfatti. È questa la presunta superiore moralità ebraica ovvero sionista. La distinzione fra ebraismo genericamente inteso e sionismo è quanto mai necessaria: la confusione ed intercambiabilità dei termini è un modo stesso della guerra in atto.
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1. All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948.
2. Institut for Palestine Studies. The most reliable sorce of information and analysis on Palestinian affair and the Arab-Israeli conflict.
Sommario: 1. La pretesa superiorità morale dell’esercito israeliano. – 2. Urbicidio sionista e mito della fuga palestinese. – 3.
1. La pretesa superiorità morale dell’esercito israeliano. – Significativamente Ilan Pappe, rispondendo a domanda sul merito della celebre dichiarazione presidenziale, già partorita in ambienti del B’naï B’rith, asseriva che si è antisemiti se non si è antisionisti. È infatti piuttosto difficile per il giudaismo descritto da Rabkin difenersi dai crimini del sionismo, respingendoli da se in quanto totalmente estranei alla cultura religiosa della Torah e suoi derivati. Ma, come è qui necessario, diamo il passo di Pappe, dove troviamo una nuova lista di villaggi distrutti, dei quali singolarmente cercheremo ogni notizia rintracciabile oltre la prima indicazione a noi data da Pappe nel suo volume La pulizia etnica della Palestina, un testo che deve entrare nella nostra coscienza e che deve essere sottratto alla campagna di silenziamento.
Fu nella città di Haifa e nei suoi dintorni che le operazioni di pulizia etnica si intensificarono; il loro passo mortale annunciava l’arrivo della distruzione. Quindici villaggi - alcuni piccoli, cioè con meno di 300 abitanti, alcuni enormi, con circa 5000 - furono eliminati in rapida successione. Abu Shusha, Abu Zurayk, Arab al-Fuqara, Arab al-Nufay’at, Arab Zahrat al-Dumayri, Balad al-Shaykh, Damun, Khirbat al-Kasayr, Khirbat al-Manshiyya, Rihaniyya, Khirbat al-Sarkas, Khirbat Sa'sa, Wa'rat al-Sarris e Yajur furono tutti cancellati dalla mappa della Palestina all’interno di una zona piena di soldati britannici, emissari dell'ONu e corrispondenti stranieri.Saremmo in errore se pensassimo che la partita è ormai chiusa ed anche noi, che certamente non abbiamo sparato a nessuno, non possiamo fare altro che piangere. In realtà, la guerra sionista per la pulizia etnica della Palestina iniziata nel 1948 e mai cessata, si combatte ancora oggi nella nostra testa ogni volta che i media o gli agenti sionisti, attivi anche in internet, pretendono di presentarci e farci digerire una realtà e verità diversa da quella che risulta da una disamina oggettiva dei dati storici disponibili. Non abbiamo nessuna pretesa di superità morale nei confronti di nessuno, ma la nostra coscienza non si lascia irretire in quella complicità morale della comunità internazionale che è necessaria ad una genia di banditi per acquisire legittimità agli occhi del mondo e di governi spesso corrotti e non esenti essi stessi da crimini. Noi possiamo vincere questo genere di guerra, smascherando i lestofanti e gli impostori, e mettendoli di fronte alle loro responsabilità morali, per le quali nessuna legge della memoria ovvero della menzogna può pretendere la nostra acquiescenza e correità.
A salvare gli abitanti dei villaggi non bastavano espulsioni e fughe. A molti dettero la caccia gli abitanti marxisti dei kibbutz di Hashomer Ha-Tza’ir, che con rapidità ed efficienza saccheggiavano le loro case prima di farle saltare in aria. Siamo in possesso di documenti di condanna verbale da parte di politici sionisti di quel periodo turbati da queste pratiche, che fornirono ai “nuovi storici” di Israele il materiale sulle atrocità che questi non avevano scoperto in altre fonti d’archivi053. Oggi, tali documenti di denuncia suonano come un tentativo da parte di politici e soldati ebrei “sensibili” di assolvere la propria coscienza. Essi fanno parte di un ethos israeliano che è ben descritto dalla formula “spara e piangi”, il titolo di una raccolta di espressioni presumibilmente di rimorso morale usate dai soldati israeliani che avevano partecipato a un’operazione di pulizia etnica, su scala ridotta, nella guerra del giugno del 1967 . Questi soldati e ufficiali con problemi di coscienza furono poi invitati dal popolare scrittore israeliano Amos Oz e dai suoi amici a compiere un “rito di assoluzione” nella Casa Rossa prima che venisse demolita. Nel 1948, tre anni dopo l'Olocausto, rimostranze simili servivano ad alleviare la coscienza turbata dei soldati ebrei coinvolti nelle atrocità e nei crimini di guerra contro una popolazione civile in larga misura indifesa.
Una tattica per affrontare le implicazioni morali del Piano D era quella di urlare forte mentre uccidevano o espellevano gente innocente. Un altro metodo era quello di disumanizzare i palestinesi che, come aveva promesso l’Agenzia ebraica all’ONU, dovevano diventare a pieno diritto cittadini dello Stato d’Israele. Invece furono espulsi, messi in campi di prigionia o uccisi: «Il nostro esercito avanza e conquista i villaggi arabi e i loro abitan ti fuggono come topi», scrisse Yossef Weitz54.Ilan Pappe,Note:
La pulizia etnica cit., 139-40
53. Questo fornisce le fonti principali per Benny Morris, The Birth of the Palestinian Refugee Problem Revisited.
54. Yossef Weitz, My Diary, vol. 3, 21 aprile 1948.
2. Urbicidio sionista e mito della fuga palestinese. – Il villaggio di Khirbat al-Manshiyya subisce la sorte che era stata freddamente premeditata nei decenni precedenti dalla ferocia coloniale sionista. Personalmente, avverto un forte senso di disgusto ed indignazione quando leggo in limine Shlomo Ben-Ami, che nella Prefazione al ben recensito suo volume sulla Palestina, rende colpevole gli arabi per la loro durissima e tenace opposizione «ad accettare una comunità ebraica al loro interno» (op. cit., 11). Da fervente sionista con pratica di ambasciatore, costui pensa di poter impunemente coniugare ipocrisia morale ed eufemismo diplomatico. In realtà, gli ebrei avevano convissuto pacificamente con gli arabi per tutti gli anni che precedettero i primi insediamenti coloniali sionisti nel 1882. Da quest’anno le cose cominciano progressivamente a deteriorarsi con vivissimo disappunto sia degli ebrei residenti ante 1882 sia dei loro ospiti arabi. Le fonti dottrinali del sionismo e la sua prassi politica documentazione che la pulizia etnica dei palestinesi era contenuta in nuce nella genesi stessa del sionismo, che non ha autonoma consistenza senza il suo contenuto razzista e coloniale. L’ambasciatore scrittore Ben Ami, che ben si guarda dall’attingere a fonti primarie, è inoltre ambiguo nell’uso dell’espressione “comunità ebraica” quasi che “ebraico” fosse la stessa cosa di “sionista”. A negare decisamente una siffatta equivalenza, oltre a scrittori ebrei come Rabkin, troviamo anche lo storico Pappe che così descrive l’urbicidio del 1948, attingendo a fonti primarie:
Già verso la fine di marzo, le incursioni ebraiche avevano distrutto una gran parte dell’entroterra rurale di Giaffa e di Tel Aviv. C’era un’apparente divisione di compiti tra l’Haganà e l’Irgun. Mentre l’Haganà si spostava in modo ordinato da un posto all’altro secondo un piano, l’Irgun si permetteva azioni sporadiche in villaggi non inclusi nell’elenco originale. Ed è così che l’Irgun arrivò al villaggio di Shaykh Muwannis (o Munis, come è conosciuto oggi) il 30 marzo e ne cacciò con la forza gli abitanti. Oggi, sopra le rovine del villaggio, si estende l’elegante campus dell’Università di Tel Aviv, mentre una delle poche case rimaste ospita il club del corpo insegnante40.Rimarchevole il fatto che il campus dell’università di Tel Aviv sorga sopra le rovine del villaggio di Shaykh Muwannis e che addirittura «una delle poche case rimaste ospita il club del corpo insegnante» (ivi, 132). E dire che quando si parla in Inghilterra e in Europa di boicottaggio accademico si trova chi tira fuori i principi della libertà scientifica e simili corbellerie, ignorando da dove nasce e su cosa lavora gran parte del “corpo insegnante” israeliano. Voci fuori del coro come quella di Ilan Pappe subiscono minacce e devono emigrare.
Senza il tacito accordo tra l’Haganà e l’Irgun, Shaykh Muwannis forse si sarebbe salvato. I capi del villaggio si erano seriamente sforzati di intrattenere rapporti cordiali con l’Haganà, proprio per evitare l’espulsione degli abitanti, ma gli “arabisti” che avevano concluso l’accordo, il giorno in cui comparve l’Irgun ed espulse il villaggio intero, erano spariti41.
Ad aprile le operazioni nelle campagne erano più strettamente collegate all’urbicidio. I villaggi vicini ai centri urbani furono occupati e i loro abitanti espulsi, e, a volte, anche massacrati in una campagna di terrore volta a preparare il terreno per la conquista delle città.
La Consulta si incontrò di nuovo mercoledì 7 aprile 1948. Si decise di distruggere tutti i villaggi sulla strada Tel Aviv-Haifa e Gerusalemme-Giaffa ed espellerne gli abitanti. Alla fine della giornata, quasi nessun villaggio era stato risparmiato, a parte pochissimi 42.
Così, il giorno in cui l’Irgun cancellò Shaykh Muwannis, l’Haganà occupò in una settimana sei villaggi nella stessa zona: Khirbat Azzun fu il primo, il 2 aprile, seguito da Khirbat Lid, Arab al-Fuqara, Arab al-Nufay'at e Damira, tutti epurati entro il 10 aprile, e Cherquis il 15. Prima della fine del mese, altri tre villaggi in prossimità di Giaffa e di Tel Aviv, Khirbat al-Manshiyya, Biyar ‘Adas e il grosso paese di Miska, furono presi e distrutti43.
Tutto ciò avvenne prima che riuscisse a entrare in Palestina il primo soldato regolare arabo, e ora diventa arduo tenere il passo, sia per gli storici di allora che per quelli successivi. Tra il 30 marzo e il 15 maggio, furono occupati 200 villaggi e i loro abitanti espulsi. Questo è un fatto che deve essere ripetuto, poiché infrange il mito israeliano secondo il quale gli “arabi” fuggirono quando cominciò l’«invasione araba». Circa metà dei villaggi arabi erano già stati attaccati quando, alla fine, come sappiamo, i governi arabi, pur riluttanti, decisero di inviare le loro truppe. Altri 90 villaggi sarebbero stati cancellati tra il 15 maggio e l’11 giugno, quando finalmente entrò in vigore la prima delle due tregue 44.Ilan Pappe,Note:
op. cit., 132-133
40. Deposizione resa da Hanna Abuied, sul sito web www.palestineremember.com.
41. Benny Morris, The Birth of the Palestinian Refugee Problem, p. 118. [La lettura di Morris, che non si può tuttavia ignorare, ci riesce quanto mai irritante. Ad esempio, ci dà qui fastidio già il solo titolo: per noi non di “problema” si tratta, ma di vero e proprio crimine. L’uso del termine “problema” fa già capire in quale ottica si pone lo storico ufficiale di regime Benny Morris e quale uso delle fonti, messe a sua disposizione, ci si può aspettare che faccia. La lettura di Morris va perciò fatta con il dovuto sospetto e la dovuta circospezione. Nota di A.C. alla nota di I.P.]
42. Benny Morris, nella versione ebraica, fa riferimento alla riunione a p. 95, Ben Gurion lo ricorda nel suo Diary.
43. Molte di queste operazioni sono ricordate in ibidem, pp. 137-167.
44. Le informazioni più precise sui numeri, metodi e le mappe sono in Salman Abu Sitta, Atlas of the Nakbah.
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