Questo saggio è
stato pubblicato tre anni orsono. Malgrado ciò, e anzi anche per quanto accaduto
in tale periodo di tempo, è interessante recensirlo.
Visani scrive
una storia della guerra del XX secolo, che, pur nella concisa e gradevole
scrittura, descrive sommariamente gli eventi bellici. La corposa bibliografia
del saggio (quasi 100 pagine) e l’apparato esauriente delle note sono la misura
dell’abbondanza delle fonti con implicito invito all’approfondimento dei fatti (e
delle relative valutazioni). Quello che è il merito maggiore dell’opera è di
aver distinto, anche nella storia contemporanea le regolarità della guerra (e della politica), dalle novità dei conflitti moderni.
All’interno dei
quali regolarità e novità ricorrono entrambe. Ad esempio che la guerra è
essenzialmente uno scontro di volontà.
Sia nella genesi: alla volontà di aggredire si contrappone quella di difendersi
(senza la quale, cioè con la resa, la guerra non inizia). Sia nel condurla (la
volontà di sopportare i sacrifici che comporta) sia nello scopo di imporre la
propria volontà al nemico (Clausewitz e Giovanni Gentile); sia nella
conclusione (la volontà di concludere e di dare un nuovo ordine).
Tutti gli altri fattori e rapporti sono importanti; ma subordinati a quello.
Così’ il fattore potenza: tante guerre, in
particolare nel XX secolo quelle partigiane, presentavano uno squilibrio enorme tra potenza dell’occupante, e
potenza dei movimenti di liberazione, ma si sono concluse, il più delle volte,
con la sconfitta di Golia e il successo di Davide. Né la disparità ha dissuaso
il debole dall’iniziarla, né il forte dall’accettare la sconfitta.
O le regolarità
dell’obiettivo politico, il cui conseguimento e la possibilità dello stesso è
condizione del successo.
Il XX secolo ha
rappresentato la novità della potenza distruttiva della tecnica, culminata nel
bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki. Ma il carattere distruttivo (anche
del pianeta) ha fatto sì che le guerre successive non abbiano mai ripetuto
questa “ascesa agli estremi”. Per cui la guerra si è sviluppata nei rami
bassi: ha guadagnato in estensione
quello che perdeva d’intensità.
Il che è
particolarmente chiaro nel capitolo dedicato alla guerra ibrida.
Scrive Visani
che “La guerra ibrida è forse la più importante forma bellica emersa in questi
ultimi anni e può essere definita come una forma di strategia che mescola
diverse forme di guerra, da quella politica a quella mediatica, da quella
regolare a quella irregolare, dalla guerra informatica a quella economica, fino
ad altri mezzi di influenzamento dell’avversario… La sua maggiore peculiarità è
che essa ha luogo a tre livelli diversi: quello convenzionale, quello della
popolazione locale e quello dell’opinione pubblica mondiale… Naturalmente non
si tratta di una forma bellica del tutto nuova, ma nuova è l’estrema
dilatazione dei livelli e degli scenari in cui essa può oggi avere luogo”. Il
pregio della guerra ibrida, oltre che essere “sottosoglia” atomica, è di
permettere di “sfruttare deliberatamente la creatività, l’ambiguità, la non
linearità e le componenti cognitive della guerra”. La guerra russo-ucraina, in
particolare nella narrazione prevalente sui media
occidentali, ha evidenziato questi caratteri. Per cui il saggio di Visami è profetico.
L’opera si apre
con la frase di Eraclito che “La guerra è il padre di tutte le cose”. Nella
conclusione l’autore chiede “se la guerra non sia diventata – per quanto in
forme sempre più ibride e non lineari – l’essenza stessa delle nostre vite,
sempre più atomizzate, parcellizzate, conflittuali, in cui al nemico – non importa
se interno (inimicus) o esterno (hostis), secondo la nota distinzione
schmittiana – non solo non sia più riconosciuta alcuna legittimità, ma neppure
ci sia lontanamente l’intenzione di riconoscerla”. Cioè il contrario di quanto
pensano le “anime belle”; col risultato, scrive Visani, se “avrà avuto ragione Eraclito,
nel senso che la guerra non sarà più solo
il padre di tutte le cose, ma sarà TUTTE le cose. O forse lo era già…?”.
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