Quando un
problema serio come la tutela dell’ambiente è affrontato da attivisti,
politici, giornalisti, intellos in
modo spesso improbabile e, non poche volte, involontariamente
comico, il contrappasso è che a criticarlo sia un divulgatore scientifico
come Ebert, ma anche styand-up comedian.
È la legge del
contrappasso: a comici involontari replica un comico professionista. Come
scrive Abbadessa nella prefazione, il saggio “si identifica nella tradizione
che attraversa tutta la storia del pensiero occidentale, che vede nell’ “arma”
dell’ironia la tecnica migliore per smontare quelle che a volte appaiono come
verità consolidate. Ironia e preparazione scientifica per avere uno sguardo
lucido e aperto sul mondo”.
E in effetti
usare l’ironia per argomenti seri ha generato alcune delle opere più acute e
divertenti della cultura europea: dalle “Provinciali” di Pascal al “Tartufo” di
Moliére, dalla “Sacra giraffa” di Madariaga all’ “Ispettore generale” di Gogol.
Gli è che gli argomenti, ironicamente demoliti o ridimensionati da Ebert, hanno
in comune il connotato, prevalente, di trarre conclusioni apocalittiche da
fenomeni di rilevanza assai più modesta, preoccupanti per il benessere di
persone e comunità, ma del tutto inidonei a causare la fine del pianeta. Altre
presentano evidenti errori, logici e non. Ad esempio la sostenibilità
ambientale. Diversi ambientalisti ritengono che la crisi climatica sia dovuta
al capitalismo. Ma Ebert ricorda che di solito “i Paesi economicamente più
liberi hanno anche i punteggi più alti nell’indice di sostenibilità ambientale.
I Paesi economicamente meno liberi sono quelli che hanno anche i valori
peggiori di sostenibilità ambientale. Da un punto di vista ecologico, il
capitalismo non sembra essere il problema ma la soluzione”. E la Cina, sia
quando era comunista che post-comunista
è il più grande bruciatore di carbone
del pianeta.
Poi c’è la
pressione di gruppo, cioè il ripetere corale (e coordinato) delle tesi
ambientaliste.
Ebert scrive che
a tanto chiasso il più delle volte corrisponde un riscontro reale modesto: se
“un extraterrestre atterra in Germania, legge un giornale qualsiasi, visita un
sito di notizie, guarda una televendita o facendo zapping capita un talk show
politico. Crederà che per i cittadini di questo Paese quasi niente è più
importante del cambiamento climatico” ma non è così. Stando ai dati reali
“attualmente 1,6% dei tedeschi mangia vegano, il 5,7% degli alimenti acquistati
è bio e la quota di auto elettriche è dell’1,2%”. La conclusione è che
l’indifferenza è prevalente perché il Ragnarok ambientalista non è un pensiero
che preoccupi le masse “il mainstream non è ciò che pensa la maggioranza, ma
ciò che la maggioranza pensa che la maggiorana pensi”.
D’altra parte se
la Cina ha triplicato negli ultimi vent’anni le emissioni di Co2 e Sud-Africa e
Nigeria investono in centrali a combustibili fossili, è chiaro che, anche se le
richieste dei catastrofisti climatici fossero integralmente accolte a Parigi,
Londra e Berlino, l’effetto sul riscaldamento globale sarebbe insignificante
data la modesta percentuale europea di inquinamento.
Nel complesso un
saggio che in un dibattito carico di scomuniche e anatemi, porta l’aria fresca
della ragionevolezza.
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