1.0 L’esito –
scontato – delle elezioni presidenziali in Russia, con un plebiscito a favore
di Putin ha suscitato, in Occidente, una copiosa contestazione della legittimità delle stessa (e quindi
dell’esito).
A parte il fatto
che, indubbiamente, le condizioni in cui si sono svolte e, ancor di più, la
storia della Russia – così diversa da quella dell’Europa occidentale – fanno sì
che pretendere lì le stesse garanzie normali
da noi è come sparare sulla croce rossa. Altro sono le elezioni in Stati che da
secoli si sono evoluti in democrazie liberali altro quello di un popolo che, a
parte qualche mese nel 1917 (!)fino al 1989 è passato da autocrazia al
totalitarismo. Insomma il Cremlino e S. Basilio
possono essere belli, ma sicuramente non profumavano di democrazia e libertà
come Downing Street.
Tuttavia
l’occasione è provvida per tornare sul concetto di legittimità, di cui, specie
da noi, si fa, a parte questa occasione un uso parsimonioso e, nemmeno a dirlo, parziale.
La legittimità è
definita (trascriviamo il tutto dal Dizionario
di politica di Bobbio-Matteucci-Pasquino) consistere “nella presenza in una
parte rilevante della popolazione un grado di consenso tale da assicurare
l’obbedienza senza che sia necessario, se non in casi marginali, il ricorso
della forza” tuttavia “il processo di legittimazione non ha come punto di
riferimento lo Stato nel suo complesso, ma i suoi diversi aspetti; la comunità
politica, il regime, il governo... Pertanto la legittimazione dello Stato è il
risultato di una serie di elementi disposti a livelli crescenti, ciascuno dei
quali concorre in modo relativamente indipendente a determinarla”. Riguardo al
potere costituito si possono individuare “due tipi fondamentali di
comportamento. Se determinati individui o gruppi percepiscono il fondamento e i
fini del potere come compatibili o in armonia con il proprio sistema di
credenze e operano per la conservazione degli aspetti di fondo della vita
politica, il loro comportamento si potrà definire come legittimazione. Se, invece, lo Stato viene percepito nella sua
struttura e nei suoi fini come contraddittorio con il proprio sistema di
credenze e questo giudizio negativo si traduce in un’azione” allora non c’è
legittimazione. Ora Weber individuava tre tipi di legittimità: tradizionale,
razionale-legale, carismatica. In genere strumenti istituzionali di verifica
della compatibilità dei governanti, con il common
sense dei governati si trovano soltanto in un tipo di Stato: quello
democratico, soprattutto attraverso le elezioni (a larga base elettorale). Il
che non vuol dire che non votandosi in altri tipi di Stato questi non siano
legittimi.
Pellicani scrive
che “La legittimità è lo specifico attributo che hanno gli Stati che godono di
un diffuso consenso da parte dei governati. Essa non va confusa con la
legalità, Questa si riferisce al modus
operandi del potere sovrano, mentre la legittimità riguarda la titolarità
dello stesso. È legittimo il potere che l’opinione pubblica percepisce come
l’istituzione che ha il diritto di governare” onde “naturalmente, il principio
di legittimità varia da civiltà a civiltà, società e società e da epoca a
epoca. Ma la sua funzione è sempre la stessa: quella di conferire a un soggetto
(individuale o collettivo) il diritto di comandare e di dare all’obbedienza dei
governati una base morale”.
Onde anche se
non legittimati elettoralmente, come ad esempio i monarchi negli Stati dell’età
moderna (come anche di quella feudale), erano legittimi perché i sudditi
credevano che avessero il diritto di comandare. Fino al punto di prendere le
armi per difenderne il trono come nell’insurrezione vandeana e nelle guerre
partigiane (ossia di popolo) in Italia e in Spagna.
Nel caso di
Putin quindi, e premettendo che le elezioni, tenuto conto della situazione
interna, hanno comunque dato una legittimazione positiva a Putin
vediamo perché.
Dicono i
sondaggi che il Presidente russo goda di un’ampia popolarità, non lontana dalla
percentuale di voti favorevoli riscossi. Non sappiamo se fidarcene: comunque
bisogna registrarla e cercare in altre, possibili cause il consenso che Putin
avrebbe.
In primo luogo
se è vero che il concetto più condiviso di legittimità è quello della “coincidenza
di valori” o meglio dell’idem sentire de
re publica tra governati e governanti è noto che ce n’è anche un altro,
dovuto ad Hobbes, cioè della concreta ed effettiva prestazione della protezione
da parte dei governanti a fronte dell’obbedienza richiesta ai governati che
esponiamo trascrivendola dal Dizionario di politica citato “Quando il potere è
stabile ed è in grado di assolvere in modo progressista o conservatore alle
proprie funzioni essenziali (difesa, sviluppo economico ecc.), esso fa valere
contemporaneamente la giustificazione della propria esistenza, facendo appello
a determinate esigenze latenti nelle masse, e con la potenza della propria
positività si crea il consenso necessario”. Orbene Putin ha conseguito indubbi
risultati positivi nel suo più che ventennale governo della Russia. Emerge dai
dati internazionali che il PIL individuale è cresciuto di circa 4 volte (tanto
per fare un confronto in Italia la crescita è stata, nello stesso periodo, di
pochi punti percentuali).
Quanto alla difesa
non ha esitato a difendere lo Stato sia contro le forze secessioniste (v.
conflitto ceceno) sia contro le intromissioni internazionali (Georgia ed
Ucraina).
Se poi si condivide
idea di un pensatore come Bonald secondo il quale la Costituzione è (in primo
luogo) il modo di esistenza di un popolo, Putin, sia con le opere che con i
discorsi, ha dimostrato di voler proteggere il mondo d’esistenza russo, e ancor
più di non volerlo fotocopiare da quello americano-occidentale.
In sostanza la
legittimità di Putin può essere contestata ma prendendo come elementi
qualificanti l’accettazione da parte dei governati e la conformità allo spirito e agli interessi
nazionali.
2.0 Diversamente
gli osservatori occidentali delegittimano
Putin sulla base di presupposti e valutazioni ideologiche e soprattutto non riferentesi alla legittimità come
rapporto tra capo e seguito, lubrificante
del potere e del presupposto del comando/obbedienza. Vediamo come.
Sui soggetti. A giudicare se un potere sia
legittimo o meno sono coloro che gli sono soggetti. Cioè i russi e non politici
e giornalisti occidentali. Che un potere sia legittimo o meno è un giudizio su fatti: il consenso, la pace, l’ordine.
Potrà pure essere un colossale errore condiviso, ma resta il fatto che se i
sudditi sono convinti del diritto dei governanti a governare il potere è
legittimo. Il fatto che non lo pensino gli stranieri non ha significato e
conseguenze di rilievo.
Sui parametri. Anche qui mentre i parametri
con cui gli esterni giudicano il
potere di Putin sono procedurali e valoriali (e soprattutto non sono – o solo
in parte – quelli dei russi); quelli dei russi sono assai più ampi e soprattutto
più concreti: a cominciare
dall’incremento del benessere economico e della salvaguardia delle specificità nazionali.
I diritti LGBTQIA+ e l’attuazione del
green deal non sembra che siano in
cima alle aspirazioni ed ai giudizi dei russi. Probabilmente una maggiore
libertà lo sarebbe: ma tenuto conto che ne hanno sempre avuta poco, quel di più
che i governi post-comunisti hanno loro assicurato non appare disprezzabile.
Infine è curioso
che a giudicare della legittimità di un governo siano coloro che, con quello,
sono in uno stato di ostilità manifesta.
A parte il resto, è chiaro che contestare, fino a demolire la legittimità del
nemico è una risorsa importante – e spesso decisiva – della guerra psicologica. Perché indebolisce il nemico; e quindi è poco credibile
sia come giudizio sine ira et studio
che come strumento di pace.
3.0 C’è una
terza considerazione da fare: politici e giornalisti omettono di considerare
che se Putin deve fare ancora molta strada per essere considerato un ineccepibile liberaldemocratico, anche
ad ovest della Vistola ci sono stati e governanti che dovrebbero “rifare gli
esami”; e non ci riferiamo al solito Orban. Ma soprattutto all’Italia.
Specialmente alla c.d. “seconda repubblica”. Se è vero che Putin è poco
liberale, è altrettanto vero che in Italia abbiamo avuto: a) governanti mai
eletti dal popolo, non solo in elezioni per la carica di governo ma in nessuna
elezione, neppure nell’assemblea di condominio (Monti e Draghi). Per cui è
impossibile verificare elettoralmente il consenso che avevano (per Draghi) e
verificarne solo a posteriori (per Monti) accertando che godeva di percentuali da
prefisso telefonico (v. elezioni europee del 2014 il risultato delle liste
“montiane”); b) che tutti i Presidenti del Consiglio dal 2011 sono stati
nominati malgrado non designati elettoralmente ma altrove. La prima a
infrangere questa costante è proprio la Meloni, che ha rammendato (per noi) lo
strappo tra democrazia parlata e oligarchia praticata; c) per essi come per il
Presidente della Repubblica a decidere è il Parlamento. Pertanto se Putin ha
riportato un consenso plebiscitario, anche se contraffatto, in genere i governanti italiani né sono stati
nominati dal popolo, né al popolo piacevano un granché. E questo senza voler
approfondire circostanze che, forse, hanno alterato i risultati elettorali in
maniera decisiva (v. politiche 2006 con la maggioranza risicata dei voti al centrodestra in una Camera e nell’altra al
centrosinistra) e che è superfluo ricordare. In particolare quelli che
conseguono al controllo dei principali strumenti di informazione. Per cui se
Putin lascia, come liberaldemocratico, a desiderare, certi governanti nostrani
non sono certo un esempio di virtù. Anche
nel senso di Machiavelli.
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