All’inizio di
marzo scrissi un articolo “A colpi di Grossraum” sulla guerra russo-ucraina
ricordando l’idea di Schmitt che, data la decadenza dello Stato westphaliano
aveva previsto la divisione del pianeta in più spazi d’influenza politica,
raggruppanti ciascuno più Stati guidati da una potenza egemone. A distanza di 3
mesi è opportuno tornarci sopra, non senza notare che l’evoluzione successiva
ha confermato parte delle considerazioni lì esposte.
In primo luogo
lo iato tra sovranità giuridica e sovranità di fatto. . Lo Stato, scriveva
Spinoza, è “autonomo in quanto è in grado di provvedere alla propria
sussistenza e alla propria difesa dall’aggressione di un altro…è soggetto ad
altri, in quanto teme la potenza di un altro Stato o in quanto ne è impedito
dal conseguire ciò che vuole o, infine, in quanto ha bisogno del suo aiuto per
la propria conservazione o per il proprio incremento” onde la “formula” della
sovranità è tantum juris quantum
potentiae. Ma l’Ucraina, come gran parte (probabilmente tutte) delle
repubbliche ex-sovietiche non ha il quantum
potentiae per opporsi, almeno in misura decisiva, a tutte le pretese del
potente vicino. Come rispondeva Vittorio Amedeo di Savoia ai rappresentanti
protestanti (per la rinnovata persecuzione ai valdesi in Piemonte, a seguito
della revoca, in Francia, dell’editto di Nantes) “in politica sono le ruote
grosse che fanno muovere quelle piccole”.
Di fronte al
differenziale di potenza, l’unica possibilità per l’Ucraina di non perdere la
guerra è che si cronicizzi in guerra partigiana. Ma con costi umani, sociali ed
economici enormi per i contendenti e non indifferenti per europei e popolazioni
non europee.
Secondariamente
Schmitt sostiene che nella contrapposizione tra “grande spazio” (ossia Grossaum) e universalismo alla base dell’originaria
“dottrina” Monroe, contano tre semplici idee, una delle quali (la decisiva) è
la “non intromissione di potenze extraamericane in questo spazio, unitamente
alla non intromissione dell’America nello spazio extraamericano”; e per questo
è essenziale che la dottrina non venga mistificata. Infatti “È essenziale che
la dottrina Monroe resti autentica e non falsificata, fintantoché è fissa
l’idea di un grande spazio concretamente determinato, nel quale le potenze estranee
allo spazio non possono immischiarsi. Il contrario di un siffatto principio
fondamentale, pensato a partire dallo spazio concreto, è un principio mondiale
universalistico, che abbraccia tutta la terra e l’umanità. Questo conduce
naturalmente a intromissioni di tutti in
tutto”; al contrario il grande spazio ha il vantaggio di un principio
giuridico ordinatore mentre “la pretesa universalistica di intromissione
mondiale distrugge ogni delimitazione e destinazione razionale”. E della
dottrina Monroe (autentica) faceva un precedente per ordinare il pianeta in
grandi spazi. Non gli si può dar torto, tenuto conto che la contraria
concezione universalistica ha portato ad una serie d’interventi umanitari senza
limiti, se non quelli fisici del pianeta. Dalla ex Jugoslavia all’Iraq e in
parte anche all’Afghanistan (salvo altri), il trentennio decorso ci ha mostrato
l’apogeo della distruzione del principio di non-intervento (alle volte anche
oggettivamente sostenibile) in funzione della protezione dei “diritti umani”,
asseritamente violati da e negli Stati-canaglia e anche in Stati falliti.
Oltretutto, come scriveva il giurista di Plettemberg, la concezione
universalistica risultava, già ai tempi suoi, per lo più a servizio
dell’imperialismo economico di certi Stati.
In questo senso
il principio di non-intervento, in particolare nell’ultimo trentennio, è stato
sostituito dall’opposto – almeno in relazione alle esigenze umanitarie, e senza
limiti spaziali. Non pare che la pace ci abbia granché guadagnato. E neanche i “diritti
umani” atteso che non sono tutelati (o lo sono poco), laddove farlo sarebbe
considerato un’ingerenza inammissibile negli affari interni di uno Stato
sovrano e potente (come per gli uiguri in Cina).
In terzo luogo,
lo stesso Grossraum o qualcosa di
assai simile è richiamato nelle dichiarazioni - dei leaders non occidentali – degli ultimi mesi, a contrasto delle tesi
globaliste criticandone in particolare due aspetti negativi (oltre alla intromissione politica). Il primo è la pretesa
(attraverso – anche – la tutela dei diritti umani) d’imporre il modello
d’esistenza civile, economica e politica prevalente in occidente, ma modificato
o rifiutato altrove. A dispetto dalla volontà di altri popoli (e governi) di
conservare il proprio. La seconda che giudicare dalla corrispondenza tra Ethos globale e nazionale e sulla relativa
congruità e appetibilità è pretesa del globalizzatore. Pretesa estesa
ovviamente al sistema politico e sociale. Neanche in molti imperi nella Storia,
la potenza dominante cercava di imporre un modo d’esistenza ai dominati.
I romani non
imponevano a galli, greci o ebrei un modello uguale per tutti, dalla Giudea
alla Britannia. Religione, diritto, consuetudini, costumi rimanevano diversi,
pur essendo i popoli politicamente soggetti all’autorità romana e al relativo (vario)
prelievo erariale. Il rispetto delle differenze era, di solito, una
caratteristica degli imperi, che dalla globalizzazione non appare apprezzata. Col
risultato che popoli e governi possono non gradire di essere globalizzati, con tanto
di esaminatori e compiti a casa.