Da quanto si
legge sulla stampa il Ministero degli esteri russo avrebbe tacciato il
comportamento italiano nella guerra russo-ucraina “servile e miope” e che dimostrerebbe “anche l’a-moralità” di alcuni
rappresentanti delle autorità pubbliche e dei media italiani. In risposta – si
legge in un comunicato – la Farnesina “ha respinto con fermezza le accuse di
amoralità di alcuni rappresentanti delle istituzioni e dei media italiani,
espresse in recenti dichiarazioni del Ministero degli Esteri russo…” Ad aver
attirato quasi universalmente l’attenzione è stata quell’ “amoralità”; a mio
avviso avrebbe dovuto esserlo quel “servile”. E spiego il perché.
Non so se al
Ministero degli esteri russo conoscono il discorso di V.E. Orlando alla Costituente,
perorante il rifiuto della ratifica del trattato di pace tra Italia e vincitori
della seconda guerra mondiale. Probabilmente lo conoscono, perché tra i
vincitori c’era anche l’U.R.S.S.; e Orlando – Presidente della vittoria - era
un personaggio da non passare inosservato. Quel discorso terminava con una
profezia: “Questi sono voti di cui si risponde dinanzi alle generazioni future:
si risponde nei secoli di queste abiezioni fatte per cupidigia di servilità”.
Sempre nello
stesso discorso, ben conoscendo i difetti nazionali, Orlando sosteneva che
malgrado grandi personaggi francesi avessero collaborato con i nazisti, come i
fascisti repubblichini, la differenza era che noi dovevamo essere rieducati
alla libertà e alla democrazia, i francesi no, perché la “vera superiorità
della Francia su di noi può riconoscersi nella fierezza dei suoi rappresentanti” (peccato che Letta non l’abbia
assimilata). E quanto alla nostra esterofilia (coniugata ad un “complesso di
colpa”): “nei rapporti con l’estero noi ci dobbiamo sempre precipitare; noi
sentiamo sempre l’urgente bisogno di dar prova al mondo che siamo dei ragazzi
traviati”. Anche questo difetto ricorrente è inestinguibile: vi contribuisce un
fondo di (parziale) verità. Le classi dirigenti nostrane non sono all’altezza
di quelle estere, dedicandosi con eccessivo zelo al proprio particulare piuttosto che all’interesse
generale quasi fossero dei privati. E hanno quindi la convenienza ad addebitare
al popolo italiano un difetto che grava maggiormente sulle élite.
Il fatto che il
governo russo stigmatizzi il servilismo italiano è un’ulteriore conferma della
differenza della profondità di vista tra statisti, come Orlando, e non: i primi
vedono a lungo termine, i secondi solo a breve (o brevissimo). A più di
settant’anni dalla sconfitta non riusciamo a scuotercene di dosso le
conseguenze. Perfino la Germania con le enormi responsabilità di Hitler, è
riuscita (e riesce) a non appiattirsi sugli U.S.A. Quando Busch jr iniziò la
seconda guerra irachena (finita come sappiamo) i tedeschi (e i francesi) gli
risposero di accomodarsi da solo. L’Italia si mise sull’attenti e fornì le
proprie truppe (e il loro sangue – Nassiria): gli ascari della NATO. Inoltre quando
i governanti esternano e praticano la dipendenza dall’estero (i “compiti a casa”)
se la cavano senza danni; laddove hanno un soprassalto d’indipendenza (v. Craxi
e Andreotti a Sigonella) finiscono in esilio o sotto processo, comunque senza
potere perché giudicati poco sottomessi a quelli “forti” (spesso tali solo per
la debolezza loro). Attitudine sottomessa confermata anche nella guerra
russo-ucraina e oggetto della (facile) ironia di Mosca, come della profondità
della previsione di Orlando.
Ma quand’è che
un comportamento diventa “servile”, ossia qual è per così dire il “criterio
della servilità” (almeno il principale)?
E qua bisogna
andare ad un concetto – e ad una conseguente distinzione – che pur risalente
(almeno) a S. Tommaso “La legge è un ordinamento di ragione volto al bene comune, promulgata da chi abbia la
cura della comunità”, preferiamo riportare da Jean Bodin. Questi ritiene che
“Per Stato si intende il governo giusto che si esercita con potere sovrano su
diverse famiglie e su tutto ciò che esse hanno in comune”, governo che dev’essere ordinato al bene comune; concetto che, evolvendosi nella
secolarizzazione dei secoli successivi, ha cambiato nome (ma meno i connotati)
diventando l’interesse generale, s’intende dei cittadini.
Notare che Bodin
insiste (ripetutamente sul fatto che il sovrano “non deve essere in alcun modo soggetto al comando altrui, e deve poter
dare la legge ai sudditi…Il principe o il duca, infatti… non è sovrano se a sua
volta la riceve da un superiore o da un uguale (…); ancor meno poi si può dire
sovrano se non ha il potere altro che in qualità di vicario, luogotenente o
reggente…”.
Ciò stante il
dovere del governante è di fare l’interesse generale: se fa quello di altri,
compreso il proprio, a scapito di quello generale, non solo fa male, ma
distorce la condizione perché possa esercitare il potere di fare l’interesse di
tutti: la propria indipendenza; che è il carattere principale della sovranità.
E infatti
l’Italia, come gran parte del pianeta, è a sovranità limitata. Che significa
servilità assicurata.
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