Scriveva
Clausewitz che la guerra è caratterizzata dalla “nebbia” che non consente o
consente con poca chiarezza e distinzione la percezione della situazione
effettiva.
Tale nebbia non
è però solo quella di Austerlitz, cioè un fenomeno naturale, ma è dovuta ad
attività (ed errori) umani: alla confusione, allo scarso o contraddittorio
afflusso d’informazioni, agli espedienti del nemico volti ad ingannare. Le
informazioni, scriveva il generale prussiano, sono la base per le “nostre idee
ed azioni… base fragile ed oscillante, e si comprenderà ben presto quanto
pericolosa sia l’impalcatura della guerra, con quanta facilità possa crollare,
e schiacciarci sotto le sue macerie”. Le informazioni perciò “in guerra sono in
gran parte contraddittorie, in maggior parte ancora menzognere, e quasi tutte
incerte”. Tale difficoltà è già importante per chi deve decidere, cioè i
comandanti politici e soprattutto militari, gli esperti. Ma è assai peggiore “la cosa per colui che non ha
esperienza…ed invece le notizie successive si sostengono, si confermano,
s’ingrandiscono, aggiungono”. E il “pubblico” cioè coloro che osservano le
descrizioni belliche, sono il massimo della non-esperienza, e non si rendono
conto o in misura minima che “la maggior parte delle informazioni è falsa…
Ciascuno è disposto a credere più il male che il bene, ciascuno è tentato di esagerare un poco il male: ed i pericoli
fittizi che vengono segnalati, in tal modo, pur dissolvendosi in se stessi come
le onde del mare, si affacciano, al pari delle onde, senza una causa visibile”.
Il capo ha così il difficile compito di valutare e selezionare tra le tante che
gli giungono, le notizie più attendibili.
Quando poi le
informazioni generosamente distribuite
sono dirette al pubblico radio-televisivo e dei media in genere, la nebbia s’infittisce e si amplifica l’interesse
a produrle, anche quando la saggezza le rende improbabili. Con ciò si passa alla
“guerra psicologica”, definibile come l’insieme delle iniziative volte a
controllare l’opinione pubblica e i di essa giudizi ed azioni, agendo –
prevalentemente – sul sentimento e
l’emotività. Se indirizzato al nemico (in atto o in potenza) lo scopo assolutamente
prevalente è di condizionarne e fiaccarne la volontà, inducendolo alla trattativa
(a perdere), se la guerra è in atto, o a non farla (o a non intervenire) se è
in potenza. Questo è ovvio, perché da un lato la guerra è un mezzo per
affermare la propria volontà e potenza, onde il miglior nemico è quello poco
determinato a combattere; dall’altra la prima regola dell’agire strategico è
ridurre il numero (o almeno la potenza) dei nemici, come ben sapevano i romani.
Il generale prussiano, tuttavia, in un’epoca in cui la stampa quotidiana
muoveva i primi passi non era in grado di prevedere quanto si sarebbe
intensificata col progredire dei media.
La guerra
russo-ucraina è connotata, ancor più che le precedenti del XX e XXI secolo, da
essere una guerra telematica, combattuta sui media, non meno – anzi di più – che sul campo. Ma sempre
caratterizzata dallo scopo, ovvero fiaccare la volontà del nemico e indurlo a
sottomettersi – e dei mezzi all’uopo spiegati: una massa d’informazioni false,
artate, contraddittorie. Che non reggono, o sono del tutto improbabili una
volta verificate o valutate.
Ad esempio il
ruolo di Putin, elevato – in mancanza di più acconci interpreti – ad
incarnazione del male assoluto. È lo stesso statista che fino a pochi mesi fa
interloquiva con tutti i grandi della terra, che stringevano accordi e facevano
affari con lui. Mostrandosi così, almeno, un po’ ingenui, facenti parte della
razza dei Chamberlain, non dei Bismarck. E anche dimentichi che il nemico non è
solo quello cui si fa la guerra, ma anche quello con cui si conclude la pace.
Onde è meglio, come nel diritto (romano) e internazionale classico non demonizzarlo,
o anche solo criminalizzarlo, perché così si rende ancora più difficile
concludere la pace. E la stessa pace diventa così una tregua di briganti.
Altra notizia
non falsa, ma costante, è quella sui “danni collaterali”, ossia sui civili
morti a causa delle operazioni belliche. É cosa vera, semplicemente perché da
millenni a far le spese della guerra sono (anche) gli innocentes (come scrivevano i teologi-giuristi del ‘600). Ancor più
nelle guerre moderne dove la straordinaria forza distruttiva delle armi ne ha
reso l’uso limitato spesso
impossibile, Con la conseguente violazione del principio del diritto “in guerra”
di risparmiare gli innocentes, ossia
i non combattenti.
Solo che a
distinguere tra crimine di guerra e “danni collaterali” è, molto spesso, la natura
dell’obiettivo e l’intensità (e potenza) dell’attacco. Ad esempio non risulta
che i russi abbiano impiegato l’aviazione per bombardamenti terroristici, tipo
quelli di Dresda, Amburgo e Tokio (e di tante altre città dell’Asse) della
seconda guerra mondiale. In cui i morti, nella più modesta delle valutazioni
furono alcune decine di migliaia (a bombardamento). E dove furono largamente
impiegate le bombe al fosforo per causare incendi difficilissimi da spegnere. Cioè
proprio ordigni fatti con lo stesso elemento che tanto tiene banco tra le
atrocità russe praticate in questa “operazione militare speciale”. Peraltro
anche in tal caso qualcuno s’è impancato a docente di chimica bellica,
confondendo fenomeni e norme. Le bombe al fosforo sarebbero armi “chimiche”
perché… basate su una reazione chimica (produrre la combustione). Ma essendo
una reazione chimica altresì l’esplosione causata dalle bombe convenzionali,
anche queste, ragionando come certi esperti,
sarebbero delle armi chimiche. Sul piano giuridico invece le bombe al fosforo
sono classificate armi convenzionali e, per questo, vietate dalla Convenzione
di Ginevra del ’98, ma tenute ben distinte dalle armi chimiche vietate da altra
convenzione. Per cui reagire all’uso di ordigni al fosforo con un bombardamento
di gas nervini sarebbe una rappresaglia sproporzionata.
Soprattutto non
si può confondere il nemico con il criminale come fa la propaganda argomentando
che l’uno e l’altro uccidono e danneggiano. La Russia – e così l’Ucraina – ha,
come qualsiasi Stato lo jus belli, e
quindi il diritto di servirsene. Chi la governa non è un animale, un essere non-umano,
né un delinquente. Già lo sapevano i romani. Nel Digesto (L, 16, 118) si legge “Hostes’
hi sunt, qui nobis aut quibus nos publice bellum decrevimus: ceteri ‘latrones’
aut ‘praedones’ sunt”; e traducendo “i nemici sono coloro che a noi, o noi
a loro, abbiamo dichiarato pubblicamente
guerra: gli altri sono briganti o pirati”. Caso mai Putin ha, secondo una moda invalsa da quasi un secolo, fatto
la guerra chiamandola diversamente (operazione militare speciale). Ma in ciò è
stato preceduto da tanti altri – Nato compresa – che ha condotto guerre
denominandole “operazioni di polizia internazionale” (ecc. ecc.). L’ipocrisia
non è una pratica peculiare a un contendente ma appare estesa a tutta un’epoca
che, vagheggiando un pacifismo integrale, ha cominciato a realizzarlo dal vocabolario. Purtroppo non
andando oltre.
Resta da vedere
se, diversamente dalle buone intenzioni
esternate, una pratica siffatta non faccia crescere d’intensità lo scontro
bellico: anzi la creazione del male, del nemico assoluto porta proprio a quello:
ad intensificare il sentimento ostile (Clausewitz);e così a popolarizzare la guerra.
Le vie dell’infermo sono lastricate di buone intenzioni.
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