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MEMORIA
DIFENSIVA
del Dott. Antonio Caracciolo in relazione all’addebito «se abbia
tenuto Lezioni agli studenti sull’olocausto, negandone o meno la veridicità
storica»Premesso che:
nel mese di ottobre 2009 io non
svolgevo Lezioni, seminari, esercitazioni o altraattività didattica, come
risulta dal Calendario delle Lezioni, affisso nella Bacheca della Facoltà;
il quotidiano “La Repubblica” del
22 ottobre 2009, con un articolo del giornalista Marco Pasqua – che estrapolava
parole e frasi dal loro contesto, estratte, a loro volta, da alcuni Blog
personali a cui dedico il mio tempo libero – mi accusava arbitrariamente di
“negazionismo”, sbattendomi in prima pagina, come il classico e proverbiale
“mostro” da additare al pubblico ludibrio;
il prof. Fulco Lanchester veniva
nominato dal Rettore quale Relatore, perraccogliere le mie dichiarazioni in
merito ad un quesito di addebito, dove mi sichiedeva: «(…) di confermare o
smentire quanto riportato dal giornale “La Repubblica” del 22 ottobre, in
particolare relativamente all’avere o meno Ella tenutoLezioni agli studenti
sull’olocausto, negandone o meno la veridicità storica»;
ho immediatamente e
tempestivamente inviato categorica smentita a “La Repubblica”, e p. c. al
Rettore, prima ancora che mi giungesse la Nota di addebito;
i miei legali hanno già promosso
azione civile, contro il direttore de “La Repubblica”, sig. Ezio Mauro, e
contro il giornalista sig. Marco Pasqua, che si allega in copia (v. All. n° 3);
il “caso” in specie è da me
considerato altamente diffamatorio, nonché inteso e percepito come emblematico
dell’esistenza o meno in Italia della libertà di pensiero,delle garanzie
costituzionali, della democrazia.
La presente Memoria è costituita e raccolta in tre Parti:
1. nella Prima, svolgo
argomentazioni relative all’addebito di inizio e prosecuzione del Procedimento;
2. nella Seconda, mi concentro sulla
Relazione del prof. Lanchester, estraneo alla Cattedra di Filosofia del
diritto, nonché sugli allegati al Fascicolo;
3. nella Terza parte, allego il
testo della Querela penale contro “La Repubblica”, dicui non ho ancora deciso
la presentazione, in aggiunta all’azione civile. Ritengoperò che il testo di
detta Querela penale sia, in ogni caso, ben descrittivo del fatto e possa
quindi essere utilmente allegato come parte Terza di questa Memoria.
Abstract
1.
della Risposta al quesito di addebito, dove confermo di non avere
tenuto maiLezioni universitarie sull’olocausto e si pongono questioni procedurali
sulla possibilità e sul diritto di difesa; in ottobre 2009 non svolgevo nessun
corso;
2.
delle controdeduzioni nelle quali sostengo che il Relatore avrebbe
dovuto mantenersi entro i limiti del mandato ricevuto e non invece introdurre
surrettiziamente o suggestivamente suoi personali e soggettivi giudizi,
peraltroinfondati in fatto e in diritto, senza che siffatte ricostruzioni siano
mai state nelledovute forme notificate e contestate all’interessato,
impossibilitato a difendersi. Ciò ha dato luogo ad una specie di processo
inquisitorio segreto, contrario al nostroordinamento giuridico, dove vengono
sottolineate e sindacate mere opinioni, estrapolate dal loro contesto e
ricostruite in violazione dell’art. 21 della costituzione.Alterazione
filologica e semantica dell’espressione “cosiddetto olocausto”,erroneamente a
me attribuita. Disamina di altre espressioni estrapolate e distaccate dal loro
contesto. Né l’inizio né la prosecuzione del procedimento disciplinare ha
fondamento alcuno, né in fatto né in diritto.
3.
Querela penale a “La Repubblica” e/o azione civile per creazione e
diffusione dinotizie false a scopo diffamatorio.
PARTE PRIMA
Risposta al quesito rettorale
1°) A seguito di un articolo apparso su “La Repubblica” del 22
ottobre 2009 ricevevoper email la Nota di addebito rettorale (v. All. n° 1) con
la quale mi si chiedeva se ioavessi tenuto Lezioni sull’olocausto
all’Università, negandone o meno la veridicità storica. Mi veniva fissato il
termine del 31 ottobre 2009 per rispondere al quesito e veniva nominato il
prof. Lanchester come Relatore delle mie dichiarazioni riguardanti l’addebito.
In verità, in ottobre, io non svolgevo nessuna attività didattica,essendo il
mio corso di filosofia del diritto (vedi il relativo programma allegato
agliatti del procedimento: qui All. n° 5) terminato nel mese di maggio 2009,
ossia nelsemestre precedente. Non ero neppure all’università nei giorni in cui
secondo “La Repubblica” vi sarebbe stato uno “shock” come conseguenza di mie inesistentiLezioni.
Anche i giornalisti che mi avvicinavano, cogliendomi di sorpresa, potevanofarlo
solo presso la mia abitazione o al mio telefono privato, non avendo io in
queigiorni impegni di nessun genere all’università. Dal Calendario delle
Lezioni affisso nella Bacheca della Facoltà risulta in modo inconfutabile che
io in ottobre non potevoassolutamente svolgere quelle Lezioni che da “La
Repubblica” mi venivano soggettivamente ed arbitrariamente attribuite e che
altri organi, suivers, si sonopermessi il lusso di ripercuotere sul
“mercato”, acriticamente e pedissequamente.
2°) Per quanto è stato già esposto nella mia formale
risposta al Rettore (vedi All. n°2) e per quanto qui nuovamente si espone,
letti gli artt. 3, 21, 33 e 49 dellaCostituzione italiana, nonché l’art. 1
dello Statuto dei lavoratori, dichiaro di essere stato oggetto di una gratuita ed
arbitraria campagna di discriminazione, persecuzione e diffamazione ispirata
da una soggettiva e infondata orchestrazione di stampa, allaquale vari soggetti,
in buona o in cattiva fede, si sono associati. Una prima denunciapenale è già
stata da me presentata alla Procura della Repubblica e portata aconoscenza del
Rettore e già agli Atti (v. Fascicolo Procedimento). I miei legalihanno già
avuto da me incarico per tutte le altre azioni penali e/o civili di
cuirigorosamente valutino esservene gli estremi. Contestualmente a
questoprocedimento disciplinare è ora promossa azione civile contro il
quotidiano “La Repubblica” (v. All. n° 3). Si allega copia degli atti. Insomma,
visto il meschino edisonorevole trattamento che mi è stato fino ad ora
riservato, ho l’impressione di vivere tutta un’assurda ed orwelliana faccenda,
di cui vado progressivamente ricostruendo la trama. Si fa presente, inoltre,
che molte delle seguenticontrodeduzioni vertono su fatti non riconducibili alla
contestazione degli addebiti equindi esulanti dal tema del presente
procedimento disciplinare. Pertanto, vengono trattati solo per completezza e
non perché riguardino il contesto giuridicamenterilevante.
3°) Avendo risposto al semplice quesito rettorale (All. n° 2),
cioè di non aver io mai tenuto Lezioni all’Università sull’olocausto né
in ottobre del corrente anno 2009 – come falsamente attribuitomi da “La
Repubblica” – né mai nei passati anni accademici, come può riscontrasi
chiamando, come testimonio, la prof. Teresa Serra,titolare della cattedra di
Filosofia del diritto, ritenevo concluso già al suo inizio il procedimento di
addebito. Invece, con mio sommo stupore, trovo una sua prosecuzione con
richiesta di mia sospensione dall’ufficio e dallo stipendio sulla base di
«elementi» che mai – in nessuna occasione – mi sono stati sottoposti, né
specificatiné addebitati. Mi trovo, pertanto, nella condizione di non potermi
difendere, non sapendo a quali precise imputazioni io debba rispondere.
4°) Ad ogni buon conto, non volendo lasciare nulla di intentato
per la mia difesa,intervengo con controdeduzioni su «elementi» – estranei alla
Nota di addebito a me pervenuta – che mi sembra di ravvisare tanto nella
Relazione del prof. Lanchester quanto nel Fascicolo consegnato dal Rettorato al
Consiglio di Disciplina. Pur avendone fatto copia, ed avendolo nel frattempo
studiato, non riesco a cogliere la pertinenza e la logica di ogni singolo
allegato, se posto in relazione al solo addebito al quale mi è stato chiesto di
rispondere e sul quale dovermi difendere, cioè: l’avere io tenuto o meno
Lezioni agli studenti sull’olocausto, negandone o meno la veridicitàstorica. Un
quesito consistente in due parti e momenti logici: a) l’esistenza di siffatte
Lezioni; b) la veridicità storica dell’evento evocato, che mi si sarebbe
chiesto eventualmente di dimostrare scientificamente. Non essendosi mai
verificato il momento a, logica vuole che non sussista il successivo momento
b. A meno che non si intenda entrare nella mia sfera privata e chiedermi
di giustificare, in sede disciplinare, mie personali e private opinioni, per
giunta da altri travisate e falsificate.Non mi sembra però che un Consiglio di
Disciplina sia la sede adatta per dibattere opinioni tutelate dall’art. 21
della Costituzione. Sono tuttavia disposto a rispondere aqualsiasi domanda mi
si voglia fare.
5°) Le opinioni politiche e dottrinali
a me attribuite, falsamente interpretate ecostruite, rientrano in ogni caso
nell’ambito degli artt. 21 e 33 della Costituzione italiana, oltre ad essere
comprese nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, come pure
nell’ambito dell’art. 49, il mio specifico diritto alla “criticapolitica”.
Siffatte opinioni, in ogni caso, non sono mai state oggetto del mio
insegnamento universitario. Pur essendo stato sempre autonomo nelle mie
ricerche enei miei studi scientifici, per quanto riguarda la mia posizione in
Facoltà, il contenuto delle mie Lezioni, oltre che il mio comportamento agli
esami e la correttezza neiconfronti degli studenti posso chiamare a
testimoniare la già citata prof.ssa TeresaSerra, titolare dell’insegnamento di
filosofia del diritto. Benché abbia incessantemente chiesto spiegazioni sulla
natura dell’addebito che mi veniva contestato, non ho mai ottenuto i richiesti
chiarimenti. Orbene, delle mere opinioni,quali che siano, non possono in quanto
tali ledere la «dignità» e l’«onore» di un professore. Una simile
lesione può ascriversi solo ad una concreta e provata condotta.Non mi è stata
però mai contestata, e non poteva essere altrimenti, nessuna condottache
potesse ledere il mio stesso «onore» e«dignità» – per giunta che
verrebbeautolesionisticamente da me stesso leso – né dentro, né fuori,
l’università. Il pensiero è l’espressione più autentica del nostro essere. La
nostra coscienza morale ci consenteinoltre di sentire quando adottiamo una
condotta che concreti un fare disonorevole enon dignitoso. Ma nessun essere
pensante considera disonorevole e non dignitoso ilsuo stesso pensiero. Proprio
perché è l’espressione più autentica del nostro essere, laCostituzione tutela
il pensiero e la sua libertà, e così facendo tutela l’essere stesso cheera già
stato richiamato nell’art. 3. Solo un altro che ci sia apertamente “nemico”
puòconsiderare disonorevole e non dignitoso il nostro pensiero, cioè noi
stessi. Ma questa, è proprio una delle innumerevoli forme subdole di razzismo
e/o di discriminazione che si annidano nella nostra società e che sempre
riemergono, anchequando si dice di voler combattere e reprimere il razzismo e
la discriminazione. Eraproprio questo concetto – ossia la denuncia e la
condanna di un razzismo immanentenelle società e perfino in noi stessi – che io
avevo inteso esprimere in uno dei mieitesti studiatamente manipolati dal
quotidiano “La Repubblica”.
6°) Per quanto
sopra detto, ritengo perciò infondato e immotivato, sia l’inizio dellaprocedura
di addebito, sia la sua prosecuzione. In effetti, come si legge in Pascal –
nella Prima lettera delle “Provinciali” – non esiste qui né il fatto né il
diritto.
PARTE SECONDA
Controdeduzioni alla Relazione del prof. Lanchestere ai documenti
da lui allegati–
Sulle mie presunte “posizioni personali” –
Sulle mie presunte “posizioni personali” –
7°) Nella parte “conclusiva” della sua Relazione il prof.
Lanchester mi attribuisce lapaternità dell’espressione «cosiddetto olocausto»,
utilizzando impropriamente unamia email del 25 ottobre 2009, a lui inviata al
mero scopo di illustrare le falsificazionide “La Repubblica”. Non certo avrei
inviato quella lettera al prof. Lanchester perchémi venisse ritorta contro. Lo
stesso testo compare peraltro in un più ampio articoloesplicativo (vedi qui mio
allegato n° 8) che allo stesso scopo avevo prodotto presso la Segreteria del
Rettore, oltre l’esiguo termine di una settimana concessomi perrispondere al
quesito di addebito. Stranamente, il prof. Lanchester non coglie
tuttavial’elemento scriminante del testo pur da lui riportato (“non intendevo
negarealcunché”) e privilegia invece di significati oscuri e ambigui la mera
espressione “cosiddetto olocausto”, la cui paternità risale ad un fiero
avversario di negazionisti,che – per motivate ragioni – scriveva
ostinatamente “cosiddetto olocausto”. Ma di ciòpiù avanti. Se la mia lettera
sopra citata, del 25 ottobre, non era assolutamente da allegare, per il senso
attribuito, si omette invece, stranamente, qualsiasi menzione adaltra lettera,
al ‘Corriere della Sera, da me espressamente allegata nella risposta formale
all’addebito, e dove si trova la esatta frase, estratta qui dal contesto di
unalettera cautelativa (v. All. n° 2 ):
“Non sono un negazionista”.
Insomma, si preferisce evidenziare, in uno stesso identico
contesto, ciò che micondanna e non ciò che mi assolve: in dubio contra reum?
Questa indebita e sorprendente falsa attribuzione (“cosiddetto olocausto”)
sembra qui rivestire particolare gravità per la luce che proietta e per ciò che
forse vorrebbe lasciarintendere, quasi un segnale di riconoscimento, uno
“scibboleth”. Il prof. Lanchesterscrive testualmente:
«(…)
di quello che da lui viene definito “cosiddetto olocausto”»;
laddove
nel mio testo, da lui stesso allegato, si legge invece esattamente:
«Per
l’uso dell’espressione “cosiddetto olocausto” posso rinviare allo storico ebreo
Sion Segre Amar»,
la cui autorevole posizione (All. n° 4) era stata, tre anni
fa, riportata da me per un’analisi teologico-politica in un contesto
extra-universitario alquanto ampio.
Orbene, secondo il mio modo di
intendere e praticare la lingua italiana, in nessunmodo si può evincere che
l’espressione «cosiddetto olocausto» sia mia e non invecedello stesso storico
ebreo Sion Segre Amar, da me citato per commentare il senso della sua, e
non mia, espressione linguistica (All. n° 4). Questo sintetico rinvio,
formulato anni addietro all’interno di un’aspra polemica che ebbe ricadute in
numerose lettere – di cui due mie – pubblicate dal quotidiano “La Stampa”, non
è stato – dal prof. Lanchester – a me contestato nei colloqui intercorsi. Se lo
avesse fatto, avrei potuto immediatamente chiarirgli quanto qui cerco di fare
nel modo piùsintetico possibile.
8°) Lo storico
ebreo Sion Segre Amar, morto anni or sono, a me risulta essere stato un ebreo
eminente, assai autorevole ed organico all’interno della comunità
ebraicatorinese. Proprio lui criticava severamente l’uso del termine
«olocausto» per indicarel’evento storico qui in oggetto. Si legga il testo
allegato (v. All. n° 4) di un suoarticolo apparso sul quotidiano “La Stampa” il
3 maggio 1994. In quell’articolo,infatti, Sion Segre Amar si lamentava della
connotazione religiosa del termine, di cui – essendo ormai invalso l’uso – si peritava di scrivere
«cosiddetto olocausto», ognivolta che si fosse trovato a doverne trattare.
Mentre mi sono sempre astenuto dalmerito della fenomenologia storica
dell’evento, non avendo io specifiche competenzedisciplinari e fatta salva
l’indiscussa pietà per le vittime, rientravano – nella circostanza data e delimitata
– invece nelle mie competenze e nei miei interessi intellettuali, gli aspetti
di teologia politica connessi all’uso del termine, avendo iotradotto e prefato
il volume “Teologia Politica II”, di Carl Schmitt. Un autore del quale – dice
il prof. Lanchester – «essere io uno dei maggiori cultori in Italia».
Sembra che le osservazioni dello storico ebreo Sion Segre Amar siano state
accolteall’interno dello stesso mondo ebraico e si vada progressivamente
sostituendo altermine «olocausto» quello di «Shoah», che non è la semplice
traduzione del primo. Sul concetto di “Shoah” cito al riguardo fugacemente il
libro di Avraham Burg, già aivertici mondiali della politica e
dell’associazionismo ebraico. Egli critica peraltro ilrilievo eccessivo dato
alla Shoah e ad Auschwitz nella politica e nel sistema educativo dello Stato di
Israele. Per non citare, poi, sullo stesso tema le posizioni eterodosse di un
Gilad Atzmon o di un Norman G. Finkelstein, entrambi note personalità del mondo
ebraico, che non è tutto monolitico in merito al sionismo e allaShoah, come è
ben illustrato da altro studioso ebreo di nome Yakov M. Rabkin ovvero
rappresentato dagli haredim di Neturei Karta.
9°) Poco prima, nel suo testo, il prof. Lanchester riferisce
circa le mie “curiosità intellettuali”, facendomi pensare – nel leggere la sua
relazione – all’accezione che iltermine “curiosità” ha nella giurisprudenza
penale, dove mi pare che sia spessosinonimo di “frivolezza” e sia visto
negativamente. In filosofia, però, il termine “curiosità”, non è sinonimo di
“frivolezza”, almeno nelle intenzioni e nella comune accezione mia e del
compianto Antimo Negri, annoverato fra i maggiori filosofiitaliani
contemporanei. Trattasi pur sempre per il mio testo, quello riportato dal prof.
Lanchester, di una bozza abbandonata e dimenticata da anni, per la quale non
avrei mai e poi mai immaginato sarebbe finita
in un processo inquisitorio. Tuttavia,essendo io “filosofo”, e non un giurista
penalista, il tema della “curiosità” era oggettodi conversazione nelle passeggiate
che facevamo con Antimo Negri, mio compianto amico, morto da qualche anno.
Ricercando i fondamenti della filosofia, il suomomento di nascita nell’antica
Grecia, convenivamo che esso dovesse individuarsinella “curiosità
intellettuale” che è all’origine di ogni ricerca, di ogni sapere, di
ognifilosofia. Dunque, il termine “curiosità” in filosofia non è sinonimo di
“frivolezza”,almeno per me e per Antimo Negri. La letteratura sulla “curiosità”
in filosofia è sterminata.
10°) Stupisce, invece, che dal mio testo in questione, pur
allegato dal Relatore, non sia stata neppure menzionata quella espressione che
era più direttamente attinente e dirimente il tema evocato dal quesito di
addebito. Infatti, si può leggere:
«(…)
i miei iniziali ed autonomi intendimenti non erano di “negare” alcunché…».
Lo stesso concetto – non essere io un “negazionista” –
ricorre poi più volte nelcontesto dello stesso ampio articolo, da cui il brano
era estratto. Se l’addebito voleva essere quello di “negazionismo” (del resto,
non previsto, sotto nessuna forma dal codice penale), non poteva esservi
affermazione più scriminante! Il verbo all’imperfetto si riferiva alle
delucidazioni fornite nel corso di un’acre polemica,avviata l’anno precedente
da una testata militante. Già allora, sotto l’indicazione delmio titolo, di cui
non è stato letto altro (solo il titolo… Peraltro contraffacendolo!), era
contenuta la piena solidarietà con le vittime, tutte le vittime, con piena
condivisione dei valori costituzionali richiamati dall’art. 3 della nostra
Costituzione e della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo. Il post
era una semplice raccolta di links che venivano da me descritti e
commentati. Uno di questi, se ben ricordo, siriferiva al caso di un Ministro
tedesco della Giustizia: una donna, che veniva subitodimissionata, per aver
affermato che George W. Bush, scatenando – lui – una guerrapreventiva, non
si era comportato diversamente da Hitler. Occasionalmente, osservo che il
titolo de “La Repubblica” è un clamoroso ed ingiustificabile falso,
nonesistendo – in nessuna parte delle migliaia e migliaia di miei testi in rete
– la frase: «L’olocausto è una leggenda», dove per leggenda il giornalista
Marco Pasqua (“LaRepubblica”) intende e lascia intendere che l’evento storico
evocato «non esiste».Assolutamente non è così che ho io inteso e non è questo
il senso che ho dato altermine “leggenda”, chiarito poi come “mito” e
soprattutto collegato ad un temadibattuto in Germania e posto da un Ministro
tedesco circa l’uso di Auschwitz come“mito” fondativo della Repubblica federale
tedesca. Questo tema era sottinteso, manon fu sviluppato. A riprova della
scorrettezza e della malafede dell’articolista de “LaRepubblica” sarebbe stato
sufficiente che quest’ultimo avesse letto poche righe sottoil titolo, da lui
fotograficamente riportato, per avere la testuale sconfessione delle
suemedesime e gratuite affermazioni. Certo, non potevo immaginare che
un’asprapolemica sarebbe stata ripresa tre anni dopo, facendone riferimento a
presunte mie Lezioni
mai avvenute, e posta al centro di una studiata orchestrazione di stampa. È
undistinto problema da valutare, se ad un ricercatore – non in quanto tale ma
nella suaveste di privato cittadino – sia inibito l’uso privato, all’interno
della sua abitazione,delle moderne tecnologie informatiche di comunicazione.
Infatti, il mio uso della rete
– qui contemplato – è una faccenda del tutto privata che, in
nessun modo, rientra ointerferisce con la mia attività universitaria. Potrei
fare un lungo elenco di docenti italiani e stranieri che dispongono di una loro
pagina privata sul web, senza entrarenel merito dei loro contenuti. Lo stesso
giornalista Marco Pasqua, quando non scrivesu “Repubblica”, ha un suo proprio
blog, dove non fa certo mistero delle posizionipolitiche che gli sono proprie,
e che egli reputa – evidentemente – insindacabili, e tali da non poter essere
criticate.
11°) Come già per altri termini da me usati, il Relatore, prof.
Lanchester, sembrasuggestivamente caricare di negatività l’uso dell’espressione
«semplice ‘sterminio’ di popolazioni…»,
dove, per fortuna, gli apicetti dovrebbero essere originali
miei, quasi lasciandotacitamente intendere che, per me, uno ‘sterminio’ ovvero
un genocidio non siaqualcosa di estremamente grave, il più grave di tutti i
possibili crimini. Probabilmentel’espressione è infelice, ma non potevo
immaginare che sarebbe poi finita, anni dopo,in un fascicolo investigativo. Se
l’espressione può essere infelice, ho però bene inmente cosa intendevo
effettivamente dire. Nella mia biblioteca si trova un libro dal titolo: Il
secolo dei genocidi, dove è fatto un elenco ed una tipologia dei genocidi
registrati come tali in tutta la storia del Novecento. Conosco anche un altro
titolo chefa la storia dei massacri e dei genocidi durante gli ultimi 2000
anni. Per fare solo alcuni esempi, recenti, lo storico Ilan Pappe spiega in un
suo libro, che sta suscitandoforti reazioni in tutto il mondo, “La pulizia
etnica della Palestina”, avvenuta nel 1948,che la “pulizia etnica” è equiparata
nella più recente legislazione internazionale ad unvero e proprio “genocidio”,
che chiaramente si distingue dallo “sterminio”: cioè, dalla semplice uccisione
di popolazioni mediante uso di armi convenzionali. Altro esempio, indicato
dalla normativa ONU come forma di “genocidio” è la decapitazione delle classi
dirigenti di un popolo mediante uccisione mirata e sistematica di tutti i suoi
capi e leaders. Per non parlare, poi, della più recente ricerca in campo
militare biologico, dove sulla base della mappatura del genoma, sembra si
stiano individuando virus patogeni che dovrebbero selettivamente colpire
determinateetnie, escludendo le altre. Si potrebbe perfino concludere che il
“genocidio semplice”,mediante ‘sterminio’ fisico, difficile da occultare, è sempre
meno praticato, preferendosi altre forme più discrete ed al riparo
dall’attenzione dei media (controllabili) e soprattutto dalla reazione della
comune coscienza morale: morte perfame e malnutrizione (oltre due miliardi di
persone, nel mondo), malattie e mancato soccorso medico, epidemie procurate,
avvelenamento e contaminazionedell’ambiente, pulizia etnica, decimazione e
decapitazione di gruppi etnici, ecc. È diquesti giorni la notizia che in Gaza
come conseguenza della contaminazione ambientale dell’operazione “Piombo
fuso”, giusto un anno fa, si siano già registratele prime nascite di bambini
deformi o affetti da tumori. Se sopravviveranno, porteranno per tutta la vita
le stimmate di un ‘genocidio’ che non potrei certo considerare ‘semplice’ e che
non so come altrimenti definire, mancando nel lessicocorrente un’espressione
standardizzata. Ma qui soprattutto si tratta di una divisione delle coscienze
su un fatto storico contemporaneo della nostra quotidianità, dove con tutta la
sua forza bruta agisce la politica, volta a condizionare l’opinione e
laformazione della coscienza morale.
12°) Orbene, astraendo da qualsiasi contesto di luogo e di tempo,
per non so qualifini, il Relatore prof. Lanchester introduce l’espressione «semplice
‘sterminio’», dicui nessun accenno è stato fatto nelle nostre conversazioni
e di cui non possodeterminare il senso che lui voglia dare. Lo stesso dicasi
per tutte le altre espressioni,artatamente riprese dai miei blogs personali, e
caricate di oscuri e sinistri significati,ma senza che esse mi siano mai state
direttamente ed esplicitamente contestate.
13°) Riguardo al mio pensiero, sarei nondimeno lieto di poter
discutere le miemodeste opinioni con chiunque ritenga che esse meritino
attenzione: possibilmente,non in una sede disciplinare. Ma, nella sua specifica
funzione di Relatore, il prof.Lanchester – incaricato soltanto di accertare
l’addebito rettorale in merito al fatto se io avessi o non tenuto Lezioni
sull’olocausto all’Università – non mi ha tuttavia contestato nessuna mia
opinione, che fuori dell’ambito dell’art. 21 della Costituzione,possa
costituire uno specifico ed ulteriore titolo di addebito, peraltro mai
specificato.Pertanto, appaiono illazioni, tanto gratuite quanto infondate, le
ricostruzioni sulle mie «posizioni personali», chiaramente diverse e
antitetiche, sul piano politico, a quelle del prof. Lanchester. È infine
sorprendente che il Relatore, più di me esperto diinternet, non abbia
individuato il brano, da lui riportato, in tutto il suo contesto di unarticolo
molto più ampio, presente in rete da circa tre anni, e di cui mi ero
perfinodimenticato. Non avrebbe dovuto dar credito al quotidiano “La
Repubblica” – per opera di un suo giornalista, politicamente schierato –
interessato a realizzare il suo “scoop” scandalistico, a danno di un suo
avversario. Leggendo il mio articolo nellasua interezza, infatti, vengono meno
tutte le congetture sollevate dal Relatore, edappare plausibile quel
“dibattito” (su un blog personale), a cui il titolo espressamente rinviava.
14°) Nella documentazione allegata al Procedimento (qui,
All. n° 8) – non tanto perillustrare la risposta al semplice quesito di
addebito, risolvibile con un semplice “si” o “no”, ma quanto per offrire
un esempio di stralcio di «posizione personale», si trova del materiale
pubblicitario riguardante una campagna internazionale di boicottaggiodello
Stato di Israele, sul modello di una prassi, non violenta, già in uso
nellavittoriosa campagna contro il regime di Apartheid sudafricano. Un siffatto
materialenon è per nulla pertinente alla Nota di addebito e si tratta di
etichette adesivepubblicitarie illustrative di alcuni articoli del blog. Altro
materiale allegato è del parinon pertinente e sarebbe qui macchinoso doverne
trattare analiticamente.
15°)
Trovo invece strumentale che nella individuazione e descrizione di una
miapresunta «posizione personale» venga totalmente omesso, nessuno
accenno sia fatto, alla «posizione personale» effettivamente da me
espressa e caratterizzante nel casoaddebitatomi, e cioè: mentre mi dichiaro
estraneo ed incompetente in merito al«cosiddetto negazionismo», esprimo e
rivendico invece, in qualità di filosofo deldiritto – oltre che come cittadino
– il mio attivismo per la strenua difesa del principiocostituzionale della libertà
di pensiero e di ricerca, che occorre riconoscere,incominciando dai più deboli
e meno protetti. Avevo perfino quantificato in circa
15.000 il numero delle persone che nella sola Germania ogni anno
vengono perseguiti penalmente per meri reati di opinione, contrari alla lettera
e allo spirito, non solo della nostra Costituzione (art. 21), ma anche alla
Dichiarazione universaledei diritti dell’Uomo e alla stessa Carta europea dei
diritti. Di questa mia «posizione personale», più volte da me
evidenziata e pubblicamente espressa, non è fatto nessuncenno dal Relatore
prof. Lanchester, che si è limitato, purtroppo, ad assecondare una campagna di
stampa arbitraria e diffamatoria contro la mia persona senza che vengano mai
riportate le mie smentite e le mie precisazioni. Secondo un “copione”ben
collaudato, è risaputo che la strategia ordinariamente seguita da questo genere
didiffamatori, tenta di collocare l’accusato di turno (cioè, me) su un piano
del discorso che essi stessi hanno scelto (cioè, il “negazionismo”), obbligando
il loro interlocutorea stare necessariamente sulla difensiva. Il piano di
discorso che io, da almeno tre anni, tento di intavolare, è invece un’altro: la
difesa del principio della libertà dipensiero, sempre e comunque. Che io non
sia o almeno non mi dichiari un “negazionista” – termine moderno per indicare
la «strega», l’«eretico», l’«untore», etc. – è stato detto, tre anni fa, in
modo inequivocabile, almeno due volte nel testointernet che il prof. Lanchester
ed i falsificatori de “La Repubblica” – quotidianocontro il quale promuovo
contestualmente azione legale – pur citano, senza leggere(un caso?) le righe
seguenti e i paragrafi successivi che contraddicono e sconfessanoquanto
pretendono di attribuirmi. In altre parole, si altera il senso di mie frasi
testualie si tace del tutto la problematica che avevo inteso porre ed
evidenziare: cioè, ilgrande pericolo che incombe in Europa ed ora, anche in
Italia, sulla libertà dipensiero.
16°) Riguardo la mia collocazione non sul piano del
“negazionismo” – dove artatamente ed abusivamente mi si vuole inserire – ma su
quello della tutela dellalibertà di pensiero si trova nel fascicolo rettorale
una corrispondenza (qui al mio All. n° 8) di cui non è chiarito per nulla il
senso. Non si comprende perché stia nelfascicolo e non è data nessuna
spiegazione. Non è neppure chiaro da chi sia stata allegata e perché. Tocca
perciò a me darne qui una spiegazione. Terminata la presidenza di facoltà del
prof. Lanchester ed iniziata qualche anno fa quella del prof.Rossi, mi ero io
fatto promotore di una proposta associativa universitaria nazionaleed europea
con sede presso la Facoltà di Scienze Politiche. Essa, riunendo personalità
rappresentative, avrebbe dovuto occuparsi di un costante monitoraggio italiano
ed europeo e quindi di iniziative a tutela della libertà di pensiero. Il
tentativo, fortunatamente
abortito, da parte del ministro Mastella di introdurre anche in Italia la
legislazione tedesca, aveva lasciato non poche preoccupazioni in me e in
parecchi altri colleghi. Avevo informalmente accennato la cosa al nuovo preside
che non eraostile all’idea, pur ponendo qualche condizione operativa. Non avevo
potuto però avanzare nella realizzazione del progetto, gravato com’ero dagli
ordinari impegni.Paradossalmente, proprio l’orchestrazione di stampa, messa in
piedi contro di me, suun inesistente caso di “negazionismo”, aveva creato una
certa pubblicità ed erano giunte adesioni e sostegni che mi avevano fatto
ripensare a questo precedenteprogetto, oggi più attuale che mai. Da varie
università italiane, dalla Germania, dalla Francia, dalla Spagna e da altri
Paesi si è manifestata una sensibilità al problema epure avvertita la necessità
di fare qualcosa. È a tutti perfettamente chiaro che non sitratta qui di
“negazionismo”, ma di difesa della libertà di pensiero, certamenteminacciata e
in serio pericolo. Voglio sperare che – come si suol dire – non tutto ilmale
venga per nuocere, e cioè: concluso al più presto il presente
procedimentodisciplinare, acclarata la mia assoluta innocenza rispetto
all’addebito e ad ogni altrainsinuazione, possa prendere corpo ed impulso
quella che era finora solo un’idea ingestazione. E che sia proprio l’Università
di Roma La Sapienza e la Facoltà diScienze Politiche a farsi promotrice e sede istituzionale
di una grande aggregazione europea per il Monitoraggio costante e la Difesa
della libertà di pensiero e di ricerca in tutti i luoghi dove essa appare
violata o minacciata. La corrispondenza intercettataed allegata al fascicolo
rettorale aveva ed ha questo senso e nessun altro: creare una mobilitazione in
difesa dei valori costituzionali contenuti nell’art. 21 dellacostituzione. È
probabile che in un clima di caccia alle streghe vi sia stato qualche
malinteso, del tutto ingiustificato.
17°) Per riassumere e per una migliore
intelligenza del mio testo, che è stato allegato al suo rapporto dallo stesso
prof. Lanchester, trovo utile riportarne integralmente ilcontenuto, per poi
ricapitolarne la manipolazione messa in atto da “La Repubblica”.Così recita il
breve testo che è stato successivamente e completamente stravolto, nelsuo senso
letterale, dal giornalista Pasqua de “La Repubblica”:
«Il tema del “cosiddetto olocausto” era per me poco
più di una curiosità intellettuale, ma dopo gli incredibili attentati alle
libertà democratiche a proposito del caso teramano, che è soltanto un fatto di
provincia, diventa per me un obbligo morale conoscere in modo diretto tutta
quella letteratura che è stata posta sotto divieto da una ben individuabile
lobby.Per l’uso dell’espressione “cosiddetto olocausto” posso rinviare allo
storico ebreo Sion Segre Amar, ma i miei iniziali ed autonomi intendimenti non
erano di “negare” alcunché: sulla semplice espressione linguistica si è
costruita un’incredibile polemica da caccia alle streghe finita su uno dei
maggiori quotidiani d’Italia!
Le mie espressioni esprimevano soltanto l’incomprensibilità
linguistica e storica di un termine a valenza religiosa e la mia riluttanza e
fastidio ad utilizzarlo per definire un semplice “sterminio” di popolazioni,
ammesso che vi sia stato. Non immaginavo le reazioni che avrei scatenato.
Invece “leggenda” vuolealludere ad un misto di verità confuso con falsità e
soprattutto strumentalizzazioni. Potrei anche usare l’espressione “mito” nel senso
soreliano. Infatti, non mi pare dubbio che sull’olocausto il neostato d’Israele
abbia inteso fabbricare il suo mito fondativo. Ed i miti,si sa, non bisogna
toccarli e disturbarli».
Il testo sopra riportato si trova nel corpo di uno degli
oltre 1300 articoli di cuiconsistono i due blogs qui citati, su circa una
trentina complessivi, e in quel contestovanno interpretati. L’articolista de
“La Repubblica” si è esclusivamente limitato a citarne il titolo: «La
leggenda dell’olocausto: riapertura di un dibattito» senza minimamente
darsi la cura di leggere ciò che sotto quel titolo era scritto. Non soddisfatto
di ciò, ha alterato il mio titolo che è diventato per “La Repubblica”: «L’olocausto
è una leggenda», titolo che è un vero e proprio falso, che si accompagna ad
altro falso: “shock alla Sapienza”, uno shock, in realtà, creato ad hoc
dallo stesso quotidiano, non esistendo né il giorno prima né mai nessuno
“shock” come conseguenza delle mie Lezioni, che peraltro – come ho già
accennato – non erano in corso durante il mese di ottobre, ma erano terminate,
in maggio, nel semestre precedente. Una simile titolazione altera il senso
inequivocabile di quanto da mescritto poco sotto il titolo anni prima: i miei «intendimenti
non erano di “negare” alcunché», richiamando una vecchia polemica già
intentata circa tre anni or sono dauna veemente, volgare e faziosissima testata
della Rete, nel cui archivio ha attinto ilgiornalista Marco Pasqua, che scrive
anche su “La Repubblica”, ma che ha – nella Rete stessa – una sua ben individuabile
appartenenza e militanza politica. Questatestata è stata da me monitorata da
quando avevano incominciato ad attaccarmi, proprio sul solo titolo in
questione, senza neppure curarsi di leggere ciò che sotto iltitolo era scritto.
Nessuno degli storici revisionisti, che io sappia, nega l’esistenza
della tragedia dei campi di concentramento. Gli aspetti storiografici
controversi, mipare, riguardano singole problematiche, su cui non ritengo di
dilungarmi in questa sede. Ma a parte il merito delle questioni storiche, la
mia annunciata escursione ditesti revisionisti aveva uno scopo preminente:
stabilire se l’avere scritto dei meri testi di critica storica poteva meritare
la prigione, oltre che la “gogna”, ai loro autori. Lamia conclusione è che
l’attività di critica storica di eventi, ogni anno sempre piùremoti, rientra
perfettamente nell’attività lecita e costituzionalmente garantita dagliartt. 21
e 33 della nostra Costituzione, dalla Dichiarazione universale dei
dirittidell’Uomo, dalla Carta europea. Orbene, allo stesso modo in cui “La
Repubblica” si èinventata di sana piana l’espressione a me attribuita «L’olocausto
è una leggenda»,suscita pure ambiguità l’espressione «cosiddetto
olocausto», di cui nella Relazione.Se il prof. Lanchester mi avesse reso
edotto prima, gli avrei mandato l’articolo diSion Segre Amar, pur presente nel
mio blog e dove era chiarito il senso del termine.
Del resto, l’espressione in sé è
filologicamente neutra ed io mai avrei immaginato didoverne rispondere in una
sorta di processo alle intenzioni. In altra epoca, un Censoredisse della
«Divina Commedia» – non avendo letto altro che il titolo – che trattavasi di
blasfemia facendosi “commedia” di cose “divine”.
18°) Secondo la migliore giurisprudenza – rinvio al “caso” francese
di Edgar Morin,sul quale non posso attardarmi – il senso di un pensiero si deve
ricostruire in tutto il suo contesto. La maggior parte degli oltre miei 1300
post, rimasti spesso allo stato dibozze abbandonate, nei soli due blog
personali citati, concernono soprattutto la problematica della libertà di
pensiero in tutte le situazioni concrete in cui essa appareminacciata e/o
conculcata. In sostanza, esprimo le mie opinioni politiche in libertà esenza
timori, fiducioso nella solidità della nostra democrazia. E, come militante
politico, ho inteso esercitare uno specifico e aggiuntivo diritto di critica
politica.Atteso il mandato da lui ricevuto per la verifica dell’addebito (“aver
o non avertenuto Lezioni...”) non riesco a capire la pertinenza del materiale da
lui allegato. Adesempio, quello relativo ad un articolo da me ripreso da un
organo di stampa e,quindi, commentato, dove si parla di clandestini provenienti
dal Sudan che vengono non “accolti” alla frontiera di Israele, ma uccisi a
fucilate – sia pure da Egiziani – e seppelliti davanti ad un cimitero
israeliano. Il fatto è stato da me commentato,certamente con indignazione, ma
non capisco proprio perché il prof. Lanchester abbia pensato di allegare al
fascicolo quel mio testo. Rilevo con forza come ciò non sia pertinente con il
suo mandato di verifica dell’addebito: “avere o non avere io tenuto Lezioni
sull’olocausto, negandone o meno la veridicità storica”.
PQM
Per questi motivi, sopra sommariamente elencati, ritengo accettabile
la Relazione del prof. Lanchester solo nella parte in cui si limita a
riferire in merito al quesito posto dall’addebito rettorale, e cioè nella
constatazione del non aver mai io tenuto Lezioni agli studenti in materia di
olocausto, atteso che bastava leggere il calendario deicorsi per
constatare che in ottobre io non svolgevo nessuna attività didattica;
mentreritengo inaccettabile e inammissibile la parte dove egli,
in modo erroneo, non vero einattendibile, descrive mie «posizioni personali».
In particolare, è totalmente erronea,infondata, non pertinente
l’attribuzione dell’espressione «cosiddetto olocausto», a
meattribuita, nonché la ricostruzione del senso di altre espressioni,
totalmente sganciate dal loro specifico contesto. Ritengo, in fine,
completamente infondato, in fatto e diritto, l’addebito a me
mosso dal Rettore, al quale ero disponibile a dare tempestivi chiarimenti e rassicurazioni
di ogni genere, qualora mi avesse semplicemente chiamato.
A riprova di quanto da me espresso, riguardo il contenuto
dei miei corsi e delle mieLezioni, si potrebbero chiamare a testimoniare sia la
già citata titolare della cattedradi Filosofia del diritto, prof. ord. Teresa
Serra, sia i colleghi che nel corso degli annihanno fatto parte delle
commissioni di esami, sia gli studenti che si riescano a
rintracciare. Con riserva finale
lasciata ai miei legali – Avv. Teodoro Klitsche de laGrange e Avv. Aldo Costa –
di rappresentare, riformulare e illustrare meglio in tuttele sedi competenti e
opportune quanto da me qui espresso.
In fede Antonio Caracciolo Roma, 5
gennaio 2009
PARTE TERZA
Allegato del testo di querela penaleal giornalista Marco Pasqua e
al Direttore Ezio Mauro
– Mi resta ancora da decidere, nei termini dei 90 giorni che
decorrono dal 22 ottobre 2009, se siaopportuno aggiungere all’azione civile già
avviata anche l’azione penale. Il presente testo è comunque utile per una
descrizione dei fatti.
Al Commissariato di P.S.
presso l’Università di Roma “La Sapienza”
Oggetto: querela per
creazione e diffusione di notizie false e tendenziose e di conseguenza, per
diffamazione, contro il giornalista di Repubblica Marco Pasqua e contro il
direttore Responsabile Ezio Mauro.
In data 22 ottobre 2009 usciva sul quotidiano a tiratura nazionale
“La Repubblica”, inprima pagina e a pagina 25, un articolo (che si allega) di
Marco Pasqua, che lo immette poi in rete, nel suo blog, facendolo circolare in
numerosi siti.
In merito al suddetto articolo non è qui presentata querela
contro le palesifalsificazioni e caricature del mio pensiero, ma è invece
oggetto della presentequerela il fatto che il Pasqua ascrive a contenuto delle
mie Lezioni all’università diRoma La Sapienza quanto da lui stesso e solo da
lui artatamente ricostruito in assenza di ogni mio contesto e mio
contradditorio.
In non ho mai detto ai miei studenti, o in sede universitaria, la
frase virgolettata daRepubblica: “L’olocausto è una leggenda” né che
«l’olocausto non esiste» né simili espressioni si trovano mai neppure scritte
nei miei blogs pur citati da Pasqua. Anzi sitrova il contrario.
Il giornalista Pasqua irride sul fatto che
io abbia numerosi blogs privati, su un server e un sito che non è
dell’università. Su oltre trenta blog ve n’è ad esempio uno diarchivistica
parrocchiale, dove vado digitalizzando l’anagrafe storica. Ebbene, lastoria
della parrocchia non è certo argomento delle mie Lezioni di filosofia del
dirittoall’università di Roma La Sapienza! Ognuno di noi, fuori servizio, ha
pieno dirittoalla sua vita privata, dove può dedicarsi – se crede – tanto
all’attività politica quantoal giardinaggio, all’archivistica, alla fotografia,
alla storia locale, alla filosofia, etc.
Nella titolazione de “La Repubblica” si dice grottescamente che vi
sarebbe stato uno «Shock alla Sapienza», intendendo e facendo intendere: a
causa delle mie Lezioni.Fino al giorno prima dell’uscita dell’articolo de “La
Repubblica” alla Sapienza non viera proprio nessuno “shock”; esso è stato
creato ex nihilo, dal nulla, solamente da “La Repubblica” come
conseguenza delle falsità pubblicate, diffuse, amplificate da unarete di
complicità. Il grottesco è che io, in ottobre, non svolgevo nessuna
attivitàdidattica, essendosi il mio corso concluso nel mese di maggio, nel
semestre precedente. Nei giorni dello “shock”, che sarebbe stato da me causato,
non ero neppure presente all’università!
Che non sia solo un problema di titolazione, dovute al
“titolista”, ma si tratti di operadello stesso Pasqua lo si evince dalla frase
testuale del suo articolo, dove egli scrive:«C’è da chiedersi, allora, se tra i
suoi studenti… qualcuno si sia mai ribellato». Tra imiei studenti nessuno si è
mai “ribellato” perché non hanno mai sentito da me le cose che il
giornalista Pasqua mi ha attribuito. Non so che faccia abbia il Marco Pasqua,ma
il suo nome non risulta dal registro dei miei studenti.
Non sono certamente miei studenti, ma suoi lettori, gli ignoti che
sui muri della miaFacoltà hanno affisso manifesti istiganti al mio omicidio o a
percosse. Ho già presentato al riguardo separata querela contro ignoti. Dal
procedimento amministrativo, seguito dell’articolo del Pasqua, è subito emerso
che da me non sonomai state fatte le Lezioni (olocausto, Priebke, leggi
razziali, etc.) che Pasqua miattribuisce. La malafede del Pasqua emerge dallo
stesso articolo de “La Repubblica” dove è fotograficamente riportato parte di
un mio blog privato il cui titolo esatto è:«La leggenda dell’olocausto:
riapertura di un dibattito», risalente al 21 ottobre 2006.
Nella parte
tagliata del suddetto testo, poche righe più sotto, è detto espressamente
ilcontrario di quanto Pasqua riporta ed è spiegato anche il significato del
termine “leggenda”. Il Pasqua in sostanza ha attinto all’archivio di un sito
denominato«Informazione Corretta», con il quale vi era stata appunto nel 2006
una polemicaextra-universitaria di cui, se occorre, riferirò ampiamente agli organi
inquirenti.
Ripetesi: oggetto di
questa querela non sono le falsificazioni e le manipolazioni del Pasqua,
quali che siano, riguardo il mio pensiero politico e filosofico, ma il fatto
che egli abbia indicato simili grossolane manipolazioni, proprie dello stesso
Pasqua,come oggetto delle mie Lezioni, il cui contenuto è invece quello
risultante daiprogrammi affissi nonché dai verbali di esame.
In altri termini, il Pasqua ricostruisce, falsificandole, mie
private opinioni, in quantotali peraltro lecite e protette dall’art. 21 della
costituzione, opinioni espresse in blogspersonali (“Club Tiberino” o nella
Societas “Civium Libertas”), e ne fa oggetto delmio insegnamento universitario,
quindi mi denigra non per le mie private opinioni, espresse privatamente ovvero
in sede extrauniversitaria, ma in quanto docente universitario, che avrebbe
utilizzato indebitamente la sua funzione per propagandare tesi abominevoli, se
non criminali, circa tematiche estranee alle discipline insegnate.
La malafede della campagna diffamatoria risulta ancora dal fatto
che, in violazionedelle leggi sulla stampa, il quotidiano “La Repubblica”,
ovvero lo stesso Pasqua, nonha voluto pubblicare la mia tempestiva smentita, ed
in tal modo propagando la falsanotizia dell’avere tenuto io fantomatiche
Lezioni alla Sapienza, cui subito seguival’affissione di manifesti velatamente
inneggianti al mio omicidio.
Chiedo pertanto la punizione dei colpevoli in relazione al
reato di diffamazione amezzo stampa e per ogni altra ipotesi delittuosa dovesse
esser ravvisata nei comportamenti sopra descritti.
Chiedo di essere avvisato ex art. 406.3 dell’eventuale
richiesta di proroga del termine delle indagini preliminari cpp, nonché, ex
art. 408.2 cpp, nel caso in cuiil PM ritenga di avanzare richiesta di
archiviazione.
In fede Antonio Caracciolo Allegati alla Querela.
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