lunedì 9 dicembre 2019

Annotazioni in tempo reale su Hazony.

Mi è appena giunto con Amazon questo libro che mi è stato segnalato, che non pensavo di leggere o di acquistare, ma alla cui lettura ora non posso sottrarmi, libro la cui lettura,  come recita la benevola fascetta editoriale: “non può essere eleusa", e noi non la eludiamo, ma senza particolare prevenzione (ne sappiamo già qualcosa del libro dalle recensioni che ne sono state fatte) leggiamo con questo metodo: pagina dopo pagina (e ci impegnamo ad arrivare all'ultimo) lo annotiamo in forma estemporanea, e con numerazione progressiva che corrisponde alle necessarie pause nella lettura di un libro di pagine 323 indice analitico escluso.

1. L'Autore ci informa subito che: «Gli eventi politici negli Stati Uniti e in Gran Bretagna attestano una svolta verso il nazionalismo». Sono cose identiche Stati Uniti e Gran Bretagna? E cosa è poi questo "nazionalismo? Andiamo avanti. Dopo un avvio banale, trovo subito quello che mi aspettavo di trovare a pagina 12: «Mahama Gandhi e Davi Ben-Gurion guidarono movimenti politici, riscuotendo ampiamente ammirazione e stima, poichè condusseroi loro popoli verso la libertà». Non mi sbagliavo. Mettere Gandhi e Ben Gurion insieme è già ingannevole. Diversa è la storia, la cultura, la filosofia, la geopolitica...  Tutto è diverso, ma non seguirò la storia millenaria dell'India, mentre invece di Ben Gurion sottolineo che la categoria concettuale da utilizzare è quella di Ilan Pappe della "Pulizia etnica della Palestina" e di Gilad Atzmon sul sionismo come forma di primatismo razziale a carattere globale. Se gli indiani, in senso proprio, non quelli d'America, pure fatti scomparire per genocidio, si trovano sul loro territorio in modo ininterrotto da millenni, l'insediamento ebraico modorno (i bilium) inizia nel 1882.
Nel 1861 la popoloziane di religione ebraica residente era del 3,5% per cento sulla popolazione complessiva per oltre il 90 % costituito dalla "nazione" palestinese, di religione musulmana, e per circa il 5 %, senza di etnica palestinese, ma di religione cristiana. Credo che anche il 3,5% di religione ebraica possa definirsi di etnia palestinese. In un libretto che avevo incominciato a pubblicare veniva dimostrato come l'originaria sempre autoctona popolazione palestinese, in quanto rimasta sul territorio con continuità, è passata per successive conversioni: prima al cristianesimo e poi all'Islam. Ne è rimasta forse qualche infima minoranza in questo 3,5% che avevo subito manifestato avversione per i nuovi venuti e che nel 1915 partecipava insieme a cristiani e musulmani a manifestazioni contro i nuovi venuti, sponsorizzati da Rotschild e da Balfour. Il libro incomincia con una grossolano mistificazione fin dalla seconda pagina. Dobbiamo ancora andare avanti, ma se troveremo una pretesa di continuità genetica, abbastanza singolare, di un "ritorno a casa", si deve qui richiamare il libro di Shlomo Sand, altro ebreo israeliano, il quale ha chiarito:
a) come il "sionismo" in quanto "nazionalismo" si forma nel dibattito sul nazionalismo che si tenne in Europa nella seconda metà del XIX secolo: spendide e da rileggere le pagine di Sand a questo riguardo; b) da un punto di vista genetico gli ebrei che dal 1882 sbarcarono in Palestina per fare occupazione di terre e pulizia etnica sono Kazari convertitisi nel IX secolo dopo Cristo. Quindi, l'insediamento ebraico odierno in Palestina dovrebbe riguardare non la storia del nazionalismo, ma quello della violenza, dell'appropriazione di terre, del colonialismo, e a dire di Atzmon di una grave forma di razzismo, non riconosciuta e internazionalmente sanzionata come tale... No! Un momento. Nel 1975 l'ONU aveva equiparata con apposita risoluzione il sionismo con il razzismo. Questa risoluzione fu poi revocata nel 1991 nel contesto degli Accordi Truffa di Oslo, dove come gesto di buona volontà venne revocata quella risoluzione... La storia recente ha però dimostrato che Oslo era un inganno, già all'epoca intravisto e denunciato da alcuni, ma il tema del sionismo in quanto razzismo ritorna nel Consiglio Onu dei diritti umani, un'organizzazione Onu controla quale si scaglia tutto il potere degli Usa e chiaramente di israele che attraverso il suo sistema della Lobby quinte colonne influenza la politica degli stati. Perbacco! Se alla seconda pagina mi tocca già fare di queste osservazioni tocca scrivere a me un libro di 500 pagine, cosa che non ho intenzione di fare. Cercherò pertanto di essere il più selettivo possibile per liberarmi al più presto di questa incombenza che mi sono assunto. Faccio una pausa per ritrovare la Tabella statistica demografica che ho citato... L'avevo a portata di mano, ma è sparita.

2. Grazie dell'ammissione, sempre a pag. 12, poco più sotto: «Per tutta la mia vita sono stato un nazionalista, un sionista». Vi è qui una nota 2  che a noi non interessa: «Circa le mie opinioni sul nazionalismo ebraico, cf.». Le opinioni invece sul "nazionalismo ebraico, sul sionismo», intesi come sinonimo sono desunte normativamente da Gilad Atzmon, oltre che dalla risoluzione Onu del 1975. Non ripeto quanto sopra detto. Al nonno di Hazony affianco il nonno di Atzmon, sionista e terrorista dell'Irgun, con Atzmon che ripudiò tutto questo, in modo assai netto. Vi è un sionismo autoreferenziale, che può essere tutto ciò che l'interessato vuol vederci, ma vi è anche un sionismo visto, per così dire, dall'esterno, da un altro, ed in particolare dai palestinesi, che su una popolazione di un 1.500.000 abitanti nel 1948, si videro espulsi dalle loro case in 750.000, e con i loro villaggi cheb  erano 800 distrutti e minati in 400. Il famoso monumento dell'Olocausto sorge su due di questi villaggi palestinesi distrutti, se ben ricordo. Per non dire poi della sala dei professori dove insegnava Ilan Pappe: era ricavata da un'abitazione di pregio sottratta ai palestinesi. Questo è il sionismo che a me interessa conoscere e di cui tengo conto. Le autocelebrazioni dell'Hasbara non sono cose di cui io debba tener conto. La faccia tosta (chutzpah) prosegue nella stessa pagina: «La mia famiglia giunse nella Palestina britannica negli anni Venti e nei primi anni Trenta, con l'obiettivo di fondarvi uno Stato ebraico indipendente», a spese e sulla pelle dei palestinesi: questo Hazony lo chiama "nazionalismo" e chissà che più avanti, come fanno certi recensori benevoli, non lo troveremo perfettamente equiparato al nostro Risorgimento, del quale se ne può dire tutto il male ma non credo fino al punto delal pulizia etnica, come è principalmente il caso del nazionalismo sionista. Se questo è l'inizio del libro, sarà per noi duro arrivare alla fine. Cercheremo di procedere per salti soffermandoci sugli aspetti essenziali. Veramente una stonatura, leggere a pag. 13 di "lealtà, coraggio, buon senso e rigore morale"! Chissà a quali lettori Hazony pensa di rivolgersi.

3. «…in cui sono cresciuto…»: questo autobiografismo ce ne richiamo almeno altri due, o forse anche quattro, ma vado a memoria, e avverto di possibili inesattezze e confusioni: 1) quello di Atzmon, qui autore di maggior riferimento,  che narra di come al termine quasi del suo servizio militare in Israele, durante una tante guerre del Libano nel 1982, entrando in un campo militare israeliano, vide delle gabbie di cemento di 1 m x 1,30. Pensava ci tenessero dei cani e si chiedeva di come si potesse essere così crudeli verso delle povere bestie. Gli fu spiegato che ci tenevano invece dei palestinesi, i quali dopo tre giorni di quel trattamento, diventavano devoti sionisti. Fu così che nel "vissuto" di Atzmon, fu gettata via la divisa e si scelse di andar via per sempre da Israele, considerata terra sottratta ai palestinesi, avendo poco senso esserci nato, e ancor meno rivendicare un presunto alla terra dopo 2000 anni. Allo stesso titolo i moderni cittadini di Roma potrebbe sbarcare a Londra e rivendicarne il possesso, perché fondata dagli antichi romani. 2) Di Avraham Burg ricordo che aveva definito Israele uno "stato alla nitroglicerina", decidendo di usare il suo passaporto francese, per andarsene lì, dove peranto vi sarebbe un diverso discorso da fare, per il quale rinvio a un recentissimo articolo di Israel Shamir, tradotto in italiano. È quanto mai probabile che questo libro di Hazony abbia come suo pubblico destinatario propria quella che in Israele chiamano la Diaspora, inglese, francese, italiana... per la quale credo ci sia un apposito minitero. 3) Di Ilan Pappe esiste una autobiografia, credo forse solo in italiano. L'ho letto anni fa, appena uscita... Viene ricostruito il "vissuto" di Pappe in Israele. Tutto cominica con una tesi di laurea di uno studente seguito da Pappe e condotta alla laurea. Fu scoperta e denunciata nella tesi un vero e proprio "genocidio", ovvero uccisione di un consistente gruppo di palestinesi, i cui corpi furono occultati. Da quel momento Pappe fu soggetto a pressione di ogni genere, credo anche a un "procedimento disciplinare" che provoca all'estero una raccolta di firme... Questi i particolari che posso ricordare male, ma la conclusione fu che Pappe se ne andò via, all'università di Exeter (non di ultima categoria come pretenderebbe un compione del sionismo, un noto avvocato americano, teorico della tortura, a scopo di confessione), non per libera sceltà come Atzmon, ma sotto minacce continue che riceveva "in patria". La verità raccontata dallo stesso Pappe fu poi presentata diversamente da un campione italiano dell'Hasbara: me ne occupai a suo tempo. 4) Infine mi sovviene il caso di Shlomo Sand, di cui ho letto oltre al suo più noto "Come fu inventato il popolo ebraico", anche un altro suo testo dove prende congedo dalla sua "ebraicità”.

4. L'opposizione far "nazionalismo" e "imperialismo", su cui pare volersi fondare tutto il libro, è direi piuttosto lambiccata.  Infatti, il sionismo è "imperialistico" in sommo grado, nel senso che non ha "confini" e prevede una espansione illimitata. Difficile trovare un "imperialismo" più imperialista di quello ebraico o sionista che dir si voglia. Allo stesso modo potrei fissare una distinzione fra municipalismo e regionalismo, regionalismo e unità nazionale, ed imbastirci sopra tutto un discorso, o meglio un cicaleccio. Inoltre gli imperialismo vanno poi distinti: non sono tutti uguali. L'imperialismo romano è la stessa cosa dell'Imperialismo britannico e statunitense? Gli Imperi precolombiani? quello cinese? Tutte cose uguali perché adoperiamo lo stesso termine Imperialismo? Si parla poi di "nazioni" con non minore approssimazione e soprattuto se ne parla da una posizione affatto peculiare, come quella ebraica, che con le nazioni (i Gentili) ha un rapporto assai delicato, e perfino pericolose se a trattarlo è un "goy". Appunto, per evitare una campagna mediatica come quella che sta imperversando in questi giorni evito una certa soglia di approfondimento. Le note al testo non mi paiono illuminanti o probatorie rispetto al testo. Veder poi citare Mazzini mi insospettisce. Delle note al testo, dopo quelle iniziali, terrò conto, ma vi darò un'occhiata. No... La caduta del Muro associata a un progetto imperiale della UE, che per me è cosa quanto mai artificiale e lontanissimo dal poter essere racchiusa con il concetto di Impero e Imperialismo. È una ben misera creazione della CIA, come dice un "complottista" di nome Meyssan, ma non è il solo a pensarlo, ed un terreno di dominio della Nato, con singoli stati che fanno a gara nel servilismo verso gli USA e verso Israele. Magari la UE fosse un Impero come poteva esserlo quello napoleonico, o quello romano. A me sembra che questa grande scrittore israeliano manchi di vocabolario. Non abbia a portata di mano un comune lessico.

5. Curioso il riferimento a un Krauthammer come se appartenesse a un universo valoriale diverso, e magari opposto, a quello dello stesso Hazony. Quanto a "neolingua", con cui H. liquida espressioni correnti come "comunità internazionale", egli stessa ne ha una sua peculiare che dobbiamo affaticarci a decostruire. Si criticano altri per poi fare le stesse cose, producendo ideologia. Discutibile confondere e rendere equivalente il "globalismo" o globalizzazione con il vecchio imperialismo. Di tutte le definizioni che avevo sentito di glibalizzazione una mi aveva particolamente colpito. La globalizzazione è internet. Il vecchio imperialismo soffriva e trovava i suoi limiti nella comunicazione delle informazioni. Roma aveva dovuto creare una rete di strade per unire un impero sempre più vasto, ma quelle strade bisognava percorrerle, a piedi o a cavallo. Troco alquanto opinabile questa riduzione del globalismo all'imperialismo. Certo, se H. la vuole porre come equivalenza obbligata per svolgere tutto il suo ragionamente, si tratta di uno svolgimento del discorso forzato sui binari che si sono scelti e lungo i quali si vuole condurre il lettore, che già dalle prime pagine potrebbe non gradire il viaggio: «il procedere dei miei ragionamenti  si sviluppera come segue»: appunto i ragionamenti dell'Autore che non sono necessariamente quelli del Lettore, che può trarre conclusioni del tutto diverse. In definitiva il libro, nelle sue 300 e rotte pagine, si può riassumere in questo: avete sentito parlare del naziolismo, io invece ne parlo bene, e vi scopro perfino delle "virtù”. Quello che non dice l'Autore è dove lui abita, in Israele., luogo che ha suoi peculiari problemi che rendono strumentale qualsiasi discorso sul nazionalismo. È di ben altro che per questi posti si dovrebbe parlare. Anzi, sentire riproporre il nazionalismo partendo da lì, dove è pratica quotidiana la pulizia etnica, in genocidio, l'apartheid - cose che naturalmente sarà probabilmente saranno negate anche da H. - significa rendere un pessimo servizio ai concetti di nazione, patria, nazionalismo, se queste cose possono tornare ad avere un significato positivo. In altri termini, sarebbe come se il galantuomo e il malfattore volessero fare società comune. Stiamo messi davvero male se noi, diciamo europei, dobbiamo apprendere da un i «motivi per essere un nazionalista»: ripiomberemmo negli orrori del passato se dovessimo andare a scuola da lui, prendere lezioni da lui. Non voglio qui fare contrapposizioni che ci porterebbe lontano, ma è molto più limpido il discorso di Putin e dei geopolitici sul ripristino del diritto internazionale e delle sovranità che ne sono il presupposto necessaria. In altri termini, l'autore israeliano tira acqua al suo mulino, perché se vi è un posto dove una "nazione" e un "nazionalismo“ non può esserci, non deve esserci è proprio in Israele, dove il nazionalismo è costruito a spese di terzi, ed è fonte di frammentzione politica conflittuale come previsto dal piano Yinon, credo nel 1982, che a suo modo è pure un progetto nazionalista, anzi tribale.

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