Carlo Galli Sovranità
Il Mulino, Bologna 2019, pp. 154, € 12,00
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Uno degli effetti
dell’esplosione dei partiti sovran-popul-idealitari è di aver tolto dal cono
d’ombra creato nella seconda metà del novecento il concetto di sovranità.
Solo a parlare del
quale si era spesso stigmatizzati come reazionari, sciovinisti e, in una logica
tutta contemporanea, fascisti. Che la sovranità nazionale fosse stata la
bandiera di Mazzini e Garibaldi, dei patrioti polacchi ed irlandesi, dei coloni
americani e, anche se meno enfatizzata, di tanti partiti comunisti (da quello
cinese a quello vietnamita), non valeva a questa legittima aspirazione/concetto, di essere sottratto all’anatema
dell’oblio, al doversi rassegnare a un posto nell’archivio della Storia.
È quindi assai
interessante questo saggio di Carlo Galli che ripercorrendo la storia dell’idea
di sovranità e le concezioni della stessa colloca “le cose a posto” nella prima
parte, per poi formulare le conclusioni negli ultimi due capitoli.
Non è il caso di
ricordare al lettore il percorso che fa Galli nella prima parte, sintetica ed
esauriente.
Importante è
ricordare comunque alcuni connotati fondamentali della sovranità. Questa, nata
con Bodin nell’intento di neutralizzare i conflitti di religione (avente
funzione cioè di decisione-neutralizzazione del conflitto), fu pervertita nel fine dai totalitarismi del novecento: da strumento di
protezione della società (individualistica) borghese (Hobbes), era diventato
quello di affermazione aggressiva del “noi” comunitario (classe, nazione o
razza); ed è stata superata dalla sconfitta dei totalitarismi (nel 1945 e nel
1989).
Altro punto – dall’autore
passato ripetutamente in esame - è che il rapporto conflitto/sovranità è
l’inverso di quanto pensano i “politicamente corretti”. Non è la sovranità a
creare i conflitti: in effetti è il contrario. Se non vi fossero conflitti, se
gli uomini fossero angeli, di sovrani (e anche di governi) non se ne avrebbe
bisogno.
Resta il fatto che
dalla lotta e dall’ostilità come presupposti del politico (Freund) non si può
prescindere: “la sovranità è il farsi carico del fatto che all’origine della
normalità c’è l’incompletezza dell’esistere associato”. Al sovrano, inoltre,
compete non solo (e non tanto) dare delle norme, ma, ancor di più, decisioni
per applicare quelle o anche per derogarle
nello stato di eccezione (Schmitt).
La sovranità,
inoltre, è realismo e prudenza politica, non “ipertrofia” dell’Io, individuale
o collettivo “Sovranità per un corpo politico è la capacità di stabilire come
stare nel mondo e nella storia, come organizzare l’interdipendenza fra più
soggetti politici... Quindi sovranità come volontà della nazione non è
necessariamente nazionalismo: è autonomia di quella volontà”
Pertanto alla
domanda di sovranità contemporanea occorre dare risposte non demonizzaitrci
(come quelle delle élite declinanti): nelle concezioni delle quali sintetizzate
da Galli “Il funzionamento della politica interna è la governance, cioè la mediazione, fin che si può; ma quando ci sono
ostacoli … allora interviene la decisione politica…. La politicità implicita
nel sistema torna a farsi esplicita”. La governance
è insomma una politica in maschera: una politica che non ha il coraggio di
qualificarsi tale, ma non rinuncia ai mezzi propri: forza ed astuzia. In effetti
una sovranità mistificata.
Come sostiene
Galli: “Il problema, semmai, è decifrare quanto la richiesta di sovranità che
nasce nelle società occidentali sia funzione del dominio già esistente, che
cambia forma e legittimazione per mantenere la propria valenza oppressiva, o
quanto al contrario quella richiesta sia uno sforzo di risolvere in direzione
emancipativa le contraddizioni dell’oggi. Per gran parte dei cittadini europei
la richiesta di sovranità politica è il ritorno alla funzione protettiva, la prima
prestazione della sovranità … è insomma sintomo di una sofferenza economica e
psicologica, di un’autodifesa della società davanti all’eccesso di movimento,
di mobilità, di instabilità”. E la stessa domanda di sovranità non ha finalità
imperialiste o iperpolitiche “ha più il segno della tutela delle esistenze
singole e familiari, dei piani di vita individuali, che non della ipertrofia
del «politico», della volontà di potenza nazionalistica. Ciò che si chiede è
più uno Stato protettore che uno Stato guerriero”. L’autore conclude “La tesi
di questo libro è che la sovranità è una tematica ineludibile, e che – se
l’Italia non vuole sperimentare la «non-sovranità in un solo Paese» - va
trattata seriamente, in chiave storica e politica, e non con anatemi”. Anche se
la richiesta di sovranità è superficiale, carente di capacità progettuale e di
direzione politica incerta, chi oggi teme la democrazia “illiberale” dovrebbe
chiedersi quanto sia il “tasso di democraticità” del “neoliberismo” o di altre
“ideologie” post moderne che della sovranità pretendono (e credono) di fare a
meno.
Per cui “un tempo
il pensiero non conformista doveva criticare la sovranità e la sua pretesa di
autosufficienza, la sua intrinseca alienazione, la violenza implicita nelle sue
istituzioni. Oggi, davanti ad altra violenza, ad altra alienazione, ad altra
pretesa di autosufficienza deve vedere nelle pur contraddittorie richieste di
sovranità il sintomo dell’esigenza di ritrovare un approccio integrale, ed
emancipativo, alla politica”.
Un saggio, in
definitiva, la cui lettura è la migliore difesa contro gli idola dei mass-media allineati al (non-) pensiero unico.
Teodoro
Klitsche de la Grange
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