STATO
RAPPRESENTATIVO E VINCOLO DI MANDATO
C’è da chiedersi
perché i “vecchi” giuspubblicisti e scienziati della politica chiamavano lo
Stato loro contemporaneo, ossia lo Stato post-rivoluzione francese
preferibilmente Stato rappresentativo
e, come concetti prossimi e/o derivati, le istituzioni di quello rappresentative, il regime politico rappresentativo, la stessa democrazia rappresentativa e rappresentativo il governo (e la forma di governo). Oggigiorno, a
partire (grosso modo) dalla metà del secolo scorso, al posto di rappresentativo lo si caratterizza come liberale o democratico-liberale (raramente borghese) (1).
Carl Schmitt (1888-1985) |
Scrive Schmitt
“Nella realtà della vita politica esiste tanto poco uno Stato che possa
rinunciare agli elementi strutturali del principio di identità, quanto poco uno
Stato che possa rinunciare agli elementi strutturali della rappresentanza.
Anche là dove è fatto il tentativo di realizzare incondizionatamente
un’identità assoluta, rimangono indispensabili gli elementi e i metodi della
rappresentanza, come viceversa non è possibile nessuna rappresentanza senza
raffigurazioni dell’identità”.
E.J. Sieyès (1748-1836) |
Se è vero che la
rappresentanza è necessaria perché è principio di forma politica è anche vero
che (l’altro polo del significato del termine) viene considerato rappresentante
chi è, in qualche misura, in sintonia con i rappresentati. Scrive Fisichella
“In termini di rapporto tra elezione e rappresentanza, si possono configurare
tre combinazioni principali. Si può ipotizzare, per cominciare, una elezione
senza rappresentanza … Ancora più nutrita è la combinazione inversa, cioè la
rappresentanza senza elezione. Del monarca si dice che rappresenta la nazione,
senza che nelle monarchie ereditarie egli passi attraverso il momento elettivo” (4).
Ma se “tralasciamo l’elezione che non dà luogo a rappresentanza, in quanto esula
dal nostro tema che invece ha per oggetto appunto la rappresentanza, ci
accorgiamo che rimangono i due casi della rappresentanza senza elezione e della
rappresentanza elettiva … vale chiedere in prima istanza a quale livello incide
l’elemento elettivo, cioè in altri termini quali differenze sussistono tra
rappresentanza elettiva e non” (5).
Quanto alla somiglianza sociologica delle istituzioni rappresentative “come
riproduzione del microcosmo rappresentativo del macrocosmo sociale … Siamo nel
contesto della concezione «descrittiva» della rappresentanza o, se vogliamo,
della rappresentanza come rappresentatività”, ma non è detto che un organo non
elettivo non sia meno rappresentativo in questo senso. Parimenti per la
rappresentatività psicologica per cui
“non è necessario enumerare altri casi, oltre i due ora richiamati, per
inferirne la possibilità dell’esistenza di assemblee che siano rappresentative
anche se non elettive”. Pertanto a fare “la differenza” è il carattere partecipativo dell’elezione “Solo la
rappresentanza elettiva è la rappresentanza democratica, nel senso che in essa
si realizza il precetto partecipativo” (6).
E prosegue “La repubblica di cui parla il Federalist
per distinguerla dalla democrazia, è pur sempre una realtà democratica, se la
sua rappresentanza vi è elettiva”. Anche perché la procedura elettiva ha un
(potente) effetto di integrazione.
A concludere
questo breve excursus su un tema
quanto mai trattato dalla dottrina così come dalla politica “militante”, se ne
deduce che carattere (e funzione) principale della rappresentanza è dare
capacità d’azione (e quindi esistenza) alla comunità di cui le istituzioni
rappresentative sono organi. É l’impossibilità (se non per comunità
piccolissime) di agire come politica che determina l’inevitabilità della
rappresentanza politica. E la necessità anche dei di essa corollari, affinchè possa
operare congruamente alla funzione principale.
Gaetano Mosca (1858-1941) |
Questo è in primo
luogo, relativamente allo Stato rappresentativo (o borghese) l’ordinamento di
uno status mixtus cui concorrono sia
i principi di forma politica (identità e rappresentanza, istitutivi dell’organizzazione politica) che dell’ “ordine”
borghese (con funzione limitativa del potere politico e pubblico in generale) (7).
Dato che
l’esistenza (e la capacità d’azione) politica è costituita e modellata dai
primi (e i secondi non sono necessari a quella) sono questi, e in particolare
il principio rappresentativo a connotarlo. Anche se tale rappresentanza, avendo
un carattere democratico (o proiettato verso la democrazia), è orientata verso
tale specie del genere rappresentativo. Successivamente tale
carattere è passato in secondo piano, cedendo la priorità alla tutela del diritti fondamentali (e quale principio
organizzativo orientato alla libertà, alla distinzione dei poteri).
Ciò non toglie che
come scriveva Santi Romano “Costituzione, significa, come si è detto, assetto o
ordinamento che determina la posizione, in sé e per sé e nei reciproci rapporti
che ne derivano, dei vari elementi dello Stato, e, quindi, il suo
funzionamento, l’attività, la linea di condotta per lo stesso Stato e per coloro
che ne fanno parte o ne dipendono” (8).
3. Da qualche anno
si è contestato il precetto, derivante dal carattere rappresentativo dell’unità
politica, per cui il rappresentante non può avere vincoli di mandato (disposto
fin dalla Costituzione francese del 1791, Titolo III, cap. I, art. 7). Si
sostiene data la scarsa fedeltà dei parlamentari al partito nelle cui liste
sono stati eletti, (al punto che la maggioranza dei parlamentari della legislatura
passata ha cambiato partito) l’opportunità di abolire, ma per lo più limitare
quel principio con precetti antivoltagabbana.
A tal fine si
vorrebbe limitare la libertà di decisione dei parlamentari sia con norme
comportanti decadenza dall’incarico, sia con sanzioni economiche. Cioè
circoscrivere giuridicamente ciò che politicamente
non tollera limiti. Una proposta ufficiale è quella di recente lanciata da Di
Maio. Secondo il quale introdurre il vincolo di mandato sarebbe “l’unico vero
antidoto alla piaga dei voltagabbana che ammorba il Parlamento da anni” perché
si tratta di gente che si prende 15.000 euro al mese grazie al voto dei
cittadini per portare avanti un programma e poi invece fa quello che gli pare…
Per noi il parlamentare è un portavoce delle istanze degli italiani (cioè Di
Maio rivaluta il “corriere politico” così svalutato da Sieyès) … Se il
programma per cui è stato votato non gli sta più bene, allora prende e se ne va
a casa senza stipendio, senza buonuscita”.
Tutte tali
proposte, ancorché quelle dei Cinquestelle siano blande, violano il principio
della libertà (d’azione e di opinione) degli organi rappresentativi e dei loro
componenti e che non si limita alla sola salvaguardia dall’invadenza del
Giudice penale, ma ha portata (e ratio)
generale. Scriveva Orlando che “l’istituto delle immunità parlamentari non ha
bisogno di essere collegato con alcuna ragione di convenienza specifica, ma si
giustifica come si giustifica ogni istituto di diritto comune, cioè con la
semplice enunciazione di quella che i romani chiamavano ratio iuris” (9); onde le prerogative parlamentari vanno considerate nella loro inscindibile
connessione.
Immunità
personali, reali, funzionali sono tutte specificazioni del principio che “nessuna
volontà esteriore può, non diremo limitare, ma neanche semplicemente concorrere
con quella dell’Assemblea nell’esercizio delle sue attribuzioni”. Il principio
che le accomuna consiste nell’inviolabilità;
perché ciò che conta è che “la persona (o il collegio di persone) che
dell’inviolabilità è coperta, non può essere
sottoposta ad alcuna giurisdizione, in quanto questa si attui attraverso
una coazione sulla persona” e va intesa come “indipendenza da ogni
giurisdizione (10).
Ciò stante la
coazione che verrebbe esercitata nel parlamentare anche nell’ipotesi blanda dei
Cinquestelle, è comunque lesiva dell’indipendenza del Parlamento (11).
Perché “Che fra gli organi onde lo Stato manifesta la sua volontà e la attua,
uno ve ne sia che su tutti gli altri sovrasta, superiorem non recognoscens, e che non potendo appunto ammettere un
superiore (ché allora la potestà suprema si trasporterebbe in quest’altro) deve essere sottratto ad ogni giurisdizione
e diventa, per ciò stesso, inviolabile ed irresponsabile, è noto” (12).
La notorietà di
cui scriveva il Presidente della vittoria si è, evidentemente, assai ridotta;
ciò non toglie che l’esigenza per cui era (ed è) stata (fin dagli albori del
costituzionalismo moderno) prescritta nelle Carte Costituzionali non sia venuta
meno.
Sanzionare il
parlamentare anche solo con pronunce di decadenza dall’incarico o di perdita
dello stipendio e della pensione è una forma, meno intensa di altre, di
esercitare pressioni sul rappresentante. Da parte o di altri poteri dello
Stato, nel caso quello giudiziario, e/o anche di poteri non statali (partiti e
non solo).
Perché anche se a
promuovere il giudizio per la decadenza dallo stipendio fosse anche solo un
comitato di elettori, a pronunciarlo sarebbe – a quanto pare – un Giudice
(ossia un potere costituito esterno al Parlamento).
E quello del quis judicabit? è il problema principale
della decisione. Mentre la “sanzione” prevista dall’ordinamento rappresentativo
(ed esercitata da sempre) è quella più logica e conforme al sistema: che il
rappresentante fellone sia giudicato
dagli elettori i quali, conformemente al carattere democratico della
rappresentanza, come hanno il potere di nominarlo, hanno anche quello di
giudicarne l’operato e negargli la conferma nell’incarico (13).
Potere che è più
complicato da esercitare – e ce ne rendiamo conto – quando, con la seconda
Repubblica si sono promulgate leggi elettorali che, progressivamente, hanno prodotto
più camere di nominati (dai partiti) che di eletti (dal popolo).
Nella speranza (o
illusione) che il futurellum dia
maggior spazio alla scelta da parte degli elettori delle persone (e non solo
dei partiti), non è comunque ravvisabile l’opportunità che si proceda ad un
ulteriore condizionamento dell’indipendenza delle camere.
Insomma: pezo el taco del buso.
Teodoro
Klitsche de la Grange
(1). Si ricordano alcuni luoghi in cui
il termine rappresentativo è
utilizzato come nel testo v. V.E. Orlando principi
di diritto costituzionale, Barbera (s.d.) p. 64 ss.: “Il governo
rappresentativo suppone innanzi tutto che i cittadini partecipino, per mezzo di
diritti politici, alla cosa pubblica: riferendocene quindi al criterio delle tre
forme secondarie, possiamo dire che questa forma di governo deve
necessariamente essere semilibera o libera… esso è dunque una forma di governo
popolare o libera o democratica che dir si voglia” nel concetto di
rappresentanza si differenzia la distinzione da quello diretto “Il criterio che
distingue questo tratto caratteristico si può averlo da questa considerazione materiale, cioè che l’esercizio dei
diritti politici, al popolo riservati, non si fa direttamente dai cittadini medesimi… ma bensì per mezzo di rappresentanti, scelti dal popolo”.
Caratteristica del governo rappresentativo erano l’armonia tra coscienza popolare e diritto positivo, la distinzione
dei poteri, la tutela giuridica e la pubblicità (e con ciò l’opinione pubblica
è elemento di controllo). La forma di governo rappresentativo si connette sia
alla forma monarchica che a quella repubblicana democratica; Gaetano Mosca parla
di “sistema” e “regime” rappresentativo, i quali riproducono, anche in forma
democratica (elezione dei rappresentanti) il potere delle minoranze organizzate
sulla maggioranza “Quel che avviene colle altre forme di Governo, che cioè la
minoranza organizzata domina la maggioranza disorganizzata, avviene pure, e
perfettamente, malgrado le apparenze contrarie, col sistema rappresentativo…
Accade nelle elezioni, come in tutte le altre manifestazioni della vita
sociale, che gl’individui, che hanno la voglia e soprattutto i mezzi morali,
intellettuali e materiali per imporsi
agli altri, primeggiano su questi altri e li comandano” Elementi di scienza politica, Torino 1923, p. 142 (in altre opere
ripete sempre l’aggettivo “rappresentativo”, con significato conforme. V. ad
es. “Lo Stato città antico e lo stato
rappresentativo moderno” in Partiti e sindacati nella crisi del regime parlamentare,
Bari 1949, p. 37 ss.). Scrive
Santi Romano “Più volte, si è avuta l’occasione di notare che, fra le
istituzioni governative dello Stato, alcune hanno carattere rappresentativo,
cioè rappresentano il popolo o la nazione e sono quindi, quelle nelle quali
trova la sua più tipica espressione la forma del governo democratico, in quegli
Stati in cui alla democrazia diretta si è sostituita, in tutto o in parte,
quella indiretta, ossia rappresentativa. Fra tali istituzioni, basti ricordare
le camere parlamentari, che nelle costituzioni che hanno adottato il sistema
bicamerale sono spesso entrambe rappresentative, mentre talvolta siffatto
carattere ha una sola delle due camere, e il presidente o la suprema
istituzione governativa della repubblica, che, per definizione, è sempre
rappresentativa… l’istituto della rappresentanza politica è uno di quegli
istituti, che erano sorti nel medioevo anche nell’Europa continentale, compresa
l’Italia, ma che, in quanto sono ora tipiche espressioni del moderno costituzionalismo,
derivano, direttamente o indirettamente, dal diritto costituzionale inglese…
Essa partiva dal principio della sovranità popolare, e riteneva che gli
elettori, come organi del popolo, delegassero, mediante l’atto elettivo, detto
perciò mandato, l’esercizio di tale sovranità agli eletti… I primi dubbi sulla
consistenza di tale teoria sorsero quando al principio della sovranità popolare
fu sostituito quello della sovranità dello Stato”. Tali
istituzioni “si dicono rappresentative vengono così qualificate perché, nella
loro stessa struttura, nel modo con cui sono designate le persone ad essere
preposte, in tutti i momenti del loro funzionamento, è implicito lo scopo che
esse hanno di mantenere in un continuo e stretto rapporto lo Stato con la
nazione, cioè col suo popolo”. Anche se l’elezione non basta a conferire loro
il carattere rappresentativo. La rappresentanza può essere “necessaria, che si
ha quando il rappresentato non ha la capacità di agire da sé, e quella
volontaria, che ha luogo per volontà dello stesso rappresentato, nonché del
rappresentante, fuori dei casi di incapacità”. La rappresentanza politica “è
una rappresentanza necessaria. Il popolo quando non si ha un governo
democratico diretto, non ha la possibilità giuridica di curare e tutelare i
suoi interessi se non per mezzo di rappresentanti e, di solito, scegliendo esso
stesso questi ultimi. È inoltre rappresentanza legale, che ha, cioè per fonte
la legge” (v. Principii di diritto
costituzionale generale, Milano 1947, p. 160 ss.). Testo ↑
(2). V. anche “La diversità delle forme
di Stato si basa sul fatto che ci sono due principi di forma politica
contrapposti, dalla cui realizzazione ogni unità politica assume la sua forma
concreta … Lo Stato è una condizione, e precisamente la condizione di un popolo.
Ma il popolo può raggiungere e ottenere in due diversi modi la condizione
dell’unità politica. Esso può già nella sua immediata datità – in virtù di una
forte e consapevole omogeneità, in seguito a stabili confini naturali o per
qualsiasi altra ragione – esser capace di agire politicamente. Inoltre esso è
come entità realmente presente nella sua immediata identità con se stesso
un’unità politica … Il principio contrapposto parte dall’idea che l’unità
politica del popolo in quanto tale non può mai esser presente nella reale
identità e perciò deve esser sempre effettivamente presente” V. Verfassungslehre trad. it. di A.
Caracciolo La dottrina della costituzione,
Milano 1984 pp. 270-272. Testo ↑
(3). V. Diceva l’abate rivoluzionario
“È quindi necessario convenire che il sistema di rappresentanza e i diritti che
volete ricollegarvi in tutti i gradi devono essere determinati prima di
decidere alcunché sulla divisione del corpo legislativo e sull’appello al popolo delle nostre
deliberazioni. I moderni popoli europei somigliano ben poco a quelli antichi.
Tra noi non si tratta che di commercio, di agricoltura, di opifici … Tuttavia
non potete rifiutare la qualità di cittadino e i diritti correlativi, a questa
moltitudine senza istruzione che la necessità di lavorare assorbe completamente.
Perché proprio come noi debbono obbedire alla legge, devono anche, come voi,
concorrere a farla. E questo concorso dev’essere uguale. Può esercitarsi in due
modi. I cittadini possono accordare la loro fiducia a qualcuno di loro: senza
spogliarsi dei loro diritti, ne affidano l’esercizio. È in vista dell’utilità
comune che nominano delle rappresentanze ben più capaci di loro di capire gli
interessi generali, e d’interpretare, in vista di questi, la loro propria
volontà. L’altro modo d’esercitare il proprio diritto a formare la legge è di
partecipare in prima persona a farla. Questa partecipazione diretta è ciò che
caratterizza la vera democrazia. Quella mediata è connaturale al governo rappresentativo. La differenza
tra questi due sistemi politici è enorme” e proseguiva “Non è dubbio, tra noi,
su quale debba essere la scelta tra questi due metodi per fare la legge. In
primo luogo, la stragrande maggioranza dei nostri concittadini non ha
abbastanza istruzione, né abbastanza tempo a disposizione per volersi occupare
direttamente delle leggi che devono governare la Francia; la loro opinione è
dunque di nominare dei rappresentanti”. Ciò comporta che “i cittadini che si
nominano dei rappresentanti rinunciano e devono rinunciare a fare essi stessi
direttamente la legge: e, di conseguenza, non hanno alcuna volontà particolare
da imporre. Ogni influenza, ogni potere compete ad essi sulla persona dei loro
mandatari; ma questo è tutto. Se dettassero delle volontà questo non sarebbe
più uno stato rappresentativo; sarebbe uno stato democratico”: di conseguenza è
inammissibile il mandato imperativo come se ciascun deputato fosse il commesso
del proprio committente (il collegio elettorale) “un deputato lo è della
nazione intera; tutti i cittadini ne sono i mandanti … non c’è né può esservi,
per un deputato altro mandato imperativo, o del pari, altre aspirazioni, che
quelle nazionali; non deve dar ascolto ai suggerimenti dei suoi elettori se non
quando siano conformi ai desideri generali”; infatti nell’assemblea “Non si
tratta, qui, di registrare, uno scrutinio popolare, ma di proporre opinioni,
infine formare in comune una comune volontà”; e “È pertanto inutile che vi sia
una decisione nei baliaggi o nelle
municipalità, o in ciascuna casa di città o di paese, perché le idee cui mi oppongo
non portano che ad una specie di Certosa
politica. Questi tipi di pretese sarebbero assai più che democratiche. La decisione non spetta, e non può non
spettare che alla sola Nazione, riunita in assemblea. Il popolo o la
nazione non può avere che una sola voce, quella della legislatura nazionale”
(il corsivo è mio). Testo ↑
(8). E proseguiva, criticando la
concezione di chi ritiene costituzionale solo lo Stato borghese “E sempre in
base a tale principio nel campo della dottrina si è spesso ritenuto e da
qualcuno si ritiene ancora, che diritto costituzionale sia soltanto quello
dello Stato a regimec.d. libero, o, specificando di più, con riguardo alla
figura che tale regime ha assunto nello Stato moderno, quello dello Stato
«rappresentativo», mentre un diritto costituzionale non avrebbero gli Stati
c.d. assoluti o dispotici o anche semiliberi… Ogni Stato è per definizione,
come si vedrà meglio in seguito, un ordinamento giuridico, e non si può
immaginare, quindi, in nessuna sua forma fuori del diritto… Uno Stato «non
costituito» in un modo o in un altro, bene o male, non può avere neppure un
principio di esistenza, come non esiste un individuo senza almeno le parti
principali del suo corpo”, op. cit.,
pp. 2-3. Testo ↑
(13). C’è da valutare poi se un simile
tipo di sanzione (il cambiamento di gruppo politico e perciò di partito) sia
volto a tutelare (e in quale misura) la fedeltà al partito o quella agli
elettori nel caso, non infrequente che non coincidano. L’antico reato di
fellonia prescriveva sanzioni contro il vassallo sleale verso il signore
feudale (il rapporto era tra persone fisiche determinate). Così
com’è stato sinteticamente esposta la proposta dei 5 stelle (ed altre analoghe)
pare prevedeva una fattispecie - il
cambio di gruppo parlamentare – più volta ad assicurare la fedeltà al partito
che ai propri elettori. Sarebbe poi interessante a tal fine sapere chi può
farlo valere (il partito? Un suo organo?
O sarebbe attivabile con azione popolare? Testo ↑
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