giovedì 15 febbraio 2018

“Traditi, sottomessi, invasi”: Teodoro Klitsche de la Grange recensisce il libro di Antonio Socci.

Antonio Socci, Traditi sottomessi invasi, Rizzoli, Milano 2018, pp. 312, € 18,00.
Questo libro appartiene a quella pattuglia di saggi – per la verità, in rapido accrescimento – in cui si considera l’Italia in piena decadenza, ma si spera che possa esserci una resurrezione, un Rinascimento. Per aversi quest’ultimo è tuttavia necessaria la consapevolezza di trovarsi nell’altra: proprio quel che la classe dirigente – e la cultura di regime – occulta e/o evita di ammettere perché dimostrerebbe sia la propria decrepitezza che, ancor più, quella delle idee e della formula politica che sostiene.

Antonio Socci: pagina ufficiale.
Scrive l’autore “Il popolo italiano da secoli è stato dalle sue élite, umiliato, svenduto e sottomesso agli stranieri… L’Italia è stata pascolo, anche negli ultimi decenni, per grandi, medie e piccole potenze che hanno scorrazzato e spadroneggiato indisturbate (pure con i loro servizi segreti) fra le sue gloriose vestigia, imponendoci i loro interessi e calpestando i nostri. Gli italiani sono stati trattati da sudditi, senza più sovranità sostanziale… Perciò non sorprende che il rapporto Censis 2017 sveli che il 64 per cento degli italiani è convinto che gli elettori non contino nulla… un italiano su due (il 49 per cento) dichiara di sentirsi straniero in patria e il 73 per cento ritiene che l’Italia sia un Paese in declino”. Circostanze confermate (tra l’altro) dai dati economici dell’ultimo quarto di secolo. L’Italia è cresciuta di circa 2 punti del PIL, mentre la crescita media dei paesi dell’Unione europea è di circa 30 punti nello stesso periodo. Il risultato è che “è esplosa la povertà fra le famiglie italiane, lo stato sociale è a pezzi, aziende chiuse, operai rimasti disoccupati e imprenditori suicidi, spazzati via decenni di conquiste sociali, i lavoratori depauperati e prostrati”. Lo Stato sociale, che era il fiore all’occhiello del “compromesso fordista” (socialdemocratico-liberale) deperito come e forse di più di quanto si sia bloccata la crescita economica. Questo a convalidare che tutti i discorsi fatti sui diritti del Welfare, come sulla “Costituzione più bella del mondo” (ecc. ecc.) valgono poco o niente quando non sono sostenuti dallo sviluppo economico.

Peraltro “si continua a non vedere il problema di fondo costituito dalla moneta unica e dai vincoli Ue che significano dominio tedesco e sfacelo italiano”; in effetti “abbiamo classi dirigenti che sembrano non sapere nemmeno cos’è l’Italia, cosa rappresenta nella storia umana”. L’unione europea ha svolto un ruolo negativo (e non solo perché piegata agli interessi della Germania). In effetti l’Unione europea “non è stata solo un disastro per la nostra economia nazionale: ha preteso pure di imporre un’omologazione culturale e ideologica”. Tuttavia “non è stata solo dabbenaggine quella dei governi che – nel corso degli anni – ci hanno portato a questo punto. C’è stata soprattutto subalternità psicologica e ideologica e anche grossolana incompetenza, arroganza, cecità irresponsabile, mancanza di senso dello Stato, disprezzo per il nostro popolo”. La classe dirigente decaduta è “Un mondo che si abbevera ai giornali politically correct sfornati dal capitale e solidarizza con tutti i popoli meno il nostro… Un mondo di bella gente che si ritiene colta, illuminata e professa l’ovvio dei popoli. Cercano di riempire il vuoto delle anime con utopie sempre nuove: oggi quelle cosmopolite appena messe in commercio dalle multinazionali del cazzeggio ideologico… Oggi come ieri detestano la fede e la tradizione cattolica del nostro popolo che non conoscono, ma trovano interessante da sostenere qualunque altra religione”.

La conclusione è che “fra pochi anni l’Italia non esisterà più. Non solo per un crollo demografico che, a breve, rischia di diventare tecnicamente irrimediabile. Nell’arco della nostra generazione infatti si sta consumando precisamente questo avvenimento epocale: la sparizione dell’Italia come Stato indipendente e sovrano, la nostra estinzione demografica come popolo, come nazione e il nostro dissolvimento come civiltà, come storia, fede e cultura, che – come ho detto – stanno per essere sostituite da altri popoli e altri costumi e religioni. Magari con moschee al posto delle chiese”. E con i media che accompagnano e definiscono questo scenario come “normale. La classe dirigente, si legge in un importante quotidiano “ha il dovere di condurre il Paese, senza strappi al futuro multiculturale e multirazziale”.

Invece una classe dirigente ha il dovere di fare gli interessi della comunità che guida. Ma le nostre élite “si attardano a scontrarsi su questioni secondarie, un po’ per colpevole impreparazione e dilettantismo, ma in molti casi perché non si vuole riconoscere il vero, grande problema di fondo che imporrebbe loro una cocente autocritica”.

Se invece di discutere su argomenti di scarso o nullo rilievo spesso offerti al dibattito come espedienti di disinformazione per distrarre l’opinione pubblica dalle cause reali della crisi si ragionasse su quelle l’esito sarebbe probabilmente diverso, ma esiziale per le élite.

Queste – in particolare le sinistre ci hanno regalato anche, scrive Socci, la prevalenza della  normativa europea su quella nazionale, ma nessun paese d’Europa, e soprattutto   la Germania ha adottato un precetto siffatto, che consacra sul piano giuridico una situazione  di subalternità   e di non reciprocità estranee alla parità vigente tra Stati sovrani: Per cui si può adattare alla sovranità italiana la (famosa) frase di Orwell sull’uguaglianza “che tutti sono sovrani, ma qualcuno è meno sovrano degli altri” Quel qualcuno, grazie alla classe dirigente, è per l’appunto l’Italia.                   

Socci cita a tale proposito i tweet di Renzi e Gentiloni. Il primo nel giugno 2016 scriveva che “le nostre battaglie in Ue non erano per l’interesse dell’Italia, ma perché ritenevamo fossero interesse dell’Europa”; ad agosto 2017 ci ripensava “abbiamo sbagliato a non difendere i nostri interessi nazionali”. Il che è (appunto) una conferma del fatto che effettivamente non hanno difeso gli interessi dell’Italia come era loro dovere morale e costituzionale. Gentiloni nell’agosto 2012 scriveva “Dobbiamo cedere sovranità a un’Europa unita e democratica”; e poi è diventato Presidente del Consiglio. D’altra parte se si va a guardare l’operato di gran parte delle élite, della seconda repubblica   soprattutto, si constata che a fronte   dei pessimi risultati   del loro agire, i principali attori hanno fatto splendide carriere; ciò suscita il sospetto che tra quelli e queste vi sia un rapporto di causa/effetto. Poi, negli ultimi anni era evidente la ribellione dei popoli ai loro establishment Trump e Brexit, ma non solo, docunt (forse i governati si stanno rendendo conto di quella causalità) e ciò ha fatto sì che, le élite abbiano cominciato a esternare ampiamente contro la democrazia, e soprattutto contro la “capacità” dei popoli di decidere. A sintetizzare una concezione del genere si può parafrasare quella che designava i monarchi costituzionali del XIX secolo “il popolo vota, ma non decide” (perché può scegliere male). Come se i governanti fossero, di converso, infallibili. Ma se lo fossero non si capisce perché “invece, siamo sempre più indebitati, pur avendo sottoposto gli italiani a salassi micidiali che hanno messo in ginocchio la nostra economia e il nostro Welfare? Non è questa la più grande bufala, la vera fake news, della storia d’Italia dei nostri anni? Perché – nonostante decenni di sacrifici – non se ne viene a capo e anzi il debito pubblico è sempre più grande, lo stato sociale ridotto al minimo e la nostra economia sempre più devastata?”.

Certo avendo governanti che, invece di trattare con Stati, istituzioni, potentati (esteri e interni) avendo come bussola l’interesse nazionale, erano tutti contenti di “fare i compiti a casa”, il risultato non poteva essere diverso.
Secondo l’autore, decisivo ai fini della (nostra) decadenza economia – oltre alla perdita della “sovranità monetaria” con l’euro è stato il “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro che ha costretto lo Stato a finanziarsi a tassi di mercato “Quello che ci mette k.o., sono gli interessi che paghiamo ogni anno sul debito, circa 70 miliardi di euro... Ma ci siamo indebitati così proprio a partire dal «divorzio» Tesoro/Bankitalia, primo passo delle grandi riforme modernizzatrici in senso europeista. Fu proprio la nostra rinuncia alla sovranità monetaria che fece esplodere il debito e gli interessi relativi, con la zavorra che tuttora ci grava addosso. Ciò che accadde dopo – cioè Trattato di Maastricht e poi l’euro – moltiplicò gli effetti devastanti di quel primo passo verso la moneta unica”. Questo è un salasso colossale (pare abbiamo pagato gli interessi tra il 1980 e il 2012 circa due volte il nostro PIL), pari ad una guerra persa. Al posto delle “riparazioni” così denominata dal Trattato di Versailles lo chiamiamo spread, e le élite soddisfatte, si congratulano per essere entrate in Europa (perché non ci stavamo da qualche millennio?). E ripetendo questi ritornelli finisce, scrive l’autore, che “ci troviamo avviluppati in un circolo vizioso da cui non si esce. Se si continua a sbagliare la diagnosi del male, si sbaglia anche la cura e si aggrava la malattia”. La sinistra poi è diventata l’imbonitrice della globalizzazione “negli Stati Uniti e in Europa la cosiddetta sinistra è di fatto la classe dirigente ritenuta più affidabile dai «mercati»”. “Per questo ciò che appare come sinistra non corrisponde più, da tempo, a una politica di difesa dei lavoratori e dei più poveri. Come ha scritto Costanzo Preve, dopo il ’68 e soprattutto dopo il 1989, «le burocrazie amministrative del comunismo italiano» si sono riciclate come «personale politico di gestione dell’attuale americanizzazione culturale»”. La classe dirigente di origine comunista, «è stata il vettore ideale dell’attuale cancellazione dell’identità culturale nazionale» e così invece di difendere i diritti dei lavoratori si considera progressista con “l’invenzione della battaglia per i cosiddetti «diritti civili» che sono una grande arma di distrazione di massa”. Come sostiene Camille Paglia “La sinistra è diventata una frode borghese, completamente separata dal popolo che dice di rappresentare”. Principale ostacolo al saccheggio globale è la rivendicazione della sovranità della comunità. Ritiene Diego Fusaro “La sovranità nazionale sussiste dopo la caduta del Muro di Berlino come l’ultimo muro di cinta contro il quale i poiliorceti del mondialismo stanno con violenza scagliando arieti per poter penetrare nella cittadella e depredarne ogni bene”. Ed è del pari ovvio perché (per la sopravvivenza dei popoli e delle loro istituzioni) è necessario riprendersela, quella monetaria compresa. 

E così continua l’autore mostrando il nesso tra rappresentazioni (errate) della realtà, risultati (pessimi) e intenzioni (esternate) della classe dirigente.

A conclusione del tutto e lasciando il resto ai lettori, che si augurano numerosi, è necessario ricordare che, tra i tanti (dimenticati dal pensiero unico) che avevano previsto il (loro) futuro e il (nostro) presente, è interessante quello che scriveva un illustre giurista, Maurice Hauriou, che può offrite una chiave di sintesi al saggio di Socci.

Maurice Hauriou.
Il giurista francese non credeva che l’umanità vada in una sola direzione (del progresso) ma che periodi di progresso e di decadenza si alternino – e indicava come fattori di crisi il denaro e lo spirito critico; e come fattori di trasformazione (cioè di crisi, ma anche di rifondazione comunitaria e istituzionale) la migrazione dei popoli e il rinnovamento religioso. Prevedeva anche che lo spirito economicista finisce per distruggere perfino le proprie creature (come la speculazione finanziaria fa con l’economia reale).

Quanto allo spirito critico – che oggi si direbbe relativismo - la demistificava in una linea di pensiero che va da Vico ai pensatori controrivoluzionari come Maistre e Bonald, l’idea che il relativismo possa legittimare autorità e istituzioni. Non foss’altro perché, queste esistono per dare certezze. Senza certezze, senza fede, una comunità umana non può (alla lunga) avere un’esistenza. Può anche credere in un assoluto non trascendente, ma deve necessariamente avere un ubi consistam. Ogni popolo trova il suo: quel che è impossibile è non averlo. O averne uno incompatibile con la tradizione, lo “spirito” e i valori della comunità.

Nel concludere il libro Socci ricorda come il Risorgimento italiano fu viziato da un errore “l’idea  di unificare l’Italia non per via pacifica e federale come prospettava il papa, ma per via militare e sotto una sola dinastia fu devastante anche per il meridione d’Italia, dove da secoli governava una monarchia legittima quanto quella sabaudia” Il nuovo regno nacque così (più per caso che per volontà del genio di Cavour) da una guerra civile e da una frattura col cattolicesimo (il non expedit), una cesura tra la tradizione nazionale e la novità istituzionale. Indebolendo così l’istituzione-Stato nazionale fin dalla nascita. Questa gracilità, aumentata dall’esito della seconda guerra mondiale, ci ha dato istituzioni, in particolare quelle della Repubblica, poco idonee a superare i momenti di crisi e a proteggere così la comunità nazionale, come successo in questi ultimi trent’anni.

Teodoro Klitsche de la Grange

1 commento:

Unknown ha detto...

Un Altro Propagandista di sciagure per cuocere a fuoco lento nel morale gli Italiani ,un popolo avvilito mai potra' ribellarsi il Ghetto conosce bene I nostri vizi e difetti come nessuno altro ,questo Socci fa parte dei pennivendoli di Regime capace solo di sopire I sani istinti di rivolta degli Italiani fascisti ( lo siete tutti )ma ormai e' tardi ,di sputasentenze come il socci CE n'e' a strafottere in internet son tutte marionette in mano agli Ebrei