sabato 14 febbraio 2015

“Scene della guerra d’Italia”: una recensione di Teodoro Klitsche de la grance a George Macaulay Trevelian

George Maucaulay Trevelyan, Scene della guerra d’Italia, Edizioni di Storia e Letteratura (info@storiaeletteratura.it), Roma 2014, pp. 176, € 24,00.

La mancanza di consapevolezza storica e la critica ad un’Italietta considerata di “classe”, fanno sì che oggigiorno non sia neanche sospettato che l’esito favorevole all’Intesa della I guerra mondiale fosse ritenuto, da tanti contemporanei, determinato dall’intervento italiano.

A ciò ha contribuito anche la propaganda e la storiografia francese e inglese (nonché americana) portata a ritenere decisivo il fronte occidentale e l’intervento     U.S.A. (il cui effetto fu sul piano politico importante, ma su quello militare di scarso rilievo). Diversamente pensavano Pareto, buona parte del Quartier generale tedesco e altri: tra questi Trevelyan, che durante la guerra comandò un reparto inglese di autoambulanze operante sull’Isonzo.

(1876-1962)
Scrive Trevelyan che già la proclamazione della neutralità italiana nel 1914 “salvò la Francia sulla Marna, permettendole di sguarnire la frontiera alpina”.

L’intervento a fianco dell’Intesa secondo lo storico inglese fu la logica conclusione del Risorgimento: gli idealisti (cioè gli interventisti) “videro nella guerra contro le Potenze Centrali l’unica via per salvare l’indipendenza, le tradizioni, l’anima della Patria”. Essi erano “il partito dell’idealismo, del governo democratico e libero, e dell’unità nazionale – tre principi che in Italia sono legati l’uno all’altro, perché erano stati i tre principi del Risorgimento che aveva creato lo Stato”.

Nelle giornate di maggio la decisione d’intervenire fu presa per le manifestazioni popolari “Il popolo d’Italia, quando si desta, è assai più formidabile del Parlamento. In tempi ordinari, il Parlamento amministra il paese; ma i suoi atti non suscitano quell’interesse costante e appassionato che gli affari parlamentari destano in Inghilterra. L’Italia non è una grande nazione parlamentare, ma una grande nazione democratica”.

Marcia nella valle dell’Isonzo
Quanto a Caporetto scrive Trevelyan “Il cataclisma scoppiò come un fulmine a ciel sereno. Rovinò quasi l’Italia e per poco non compromise la causa degli Alleati, ma finì per dare alla prima rinnovati propositi e una nuova disciplina nazionale, ai secondi una più stretta unità”; e addebita la disfatta di Caporetto (in un certo modo, come Cadorna) agli “elementi inesperti e non lodevoli mandati in quell’autunno, per trascuratezza, a Caporetto… È noto che questi erano composti, in buona parte, da parecchie migliaia di operai dei proiettifici, che avevano preso parte alla sommossa di Torino, di poco precedente. Radunare questi uomini a Caporetto, per punizione, non fu certo un’idea molto felice”. Tuttavia la durezza della guerra era tale che “non il fatto che la ritirata avvenne richiede per me una spiegazione, quanto il fatto che non avvenne prima, e che l’esercito e il popolo d’Italia si ripresero e ricostruirono il proprio «morale» imponendo a se stessi una disciplina nuova e migliore”.

Ingresso a Trento il 3 novembre 1918
A ciò contribuì la nuova direzione politica (Vittorio Emanuele Orlando) e militare (Diaz): un grande successo fu la battaglia del Solstizio in cui fu respinta l’ultima offensiva austriaca. E che fu il prologo di Vittorio Veneto.

Al di là di come oggigiorno possono valutarsi quegli avvenimenti e le conseguenze che ne sono derivate (l’inizio della decadenza dell’Europa, la disastrosa pace di Versailles, il “secolo breve”) queste pagine di Trevelyan servono a ricostruire una verità dimenticata, anche per l’orgoglio francese ed inglese: che il fronte italiano non fu teatro di una guerra secondaria, che non fu una guerra “da poco” e, soprattutto l’intervento italiano fu decisivo per la vittoria degli alleati.

Teodoro Klitsche de la Grange

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