IL “FUNZIONARISMO”:
UNA SCHEDA DI SINTESI
Il saggio s’interroga sul perché un termine della lingua italiana”funzionarismo” usato nella prima metà del secolo scorso da autorevoli politici e intellettuali (da Salandra a Santangelo Spoto, da Gramsci a don Sturzo, da Giustino Fortunato a Prezzolini e De Gasperi) sia oggi così “desueto” da non essere neppure citato nei dizionari italiani, sia su carta che in rete, e neppure nella Treccani.
Parte del saggio è occupato quindi dal “contenuto di senso” da dare alla parola. Il risultato è che il “funzionarismo” è usato soprattutto in due sensi: a) per designare l’aumento del potere burocratico e b) la rappresentazione che dell’universo (e dello Stato) “a misura di burocrate” da la stessa burocrazia. Ossia denota la Weltanshauung “funzionariale”, con un significato quasi sempre dispregiativo.
Diversamente dal periodo di tempo in cui il termine era impiegato le critiche rivolte al potere burocratico erano dalla rivoluzione francese fino nella prima metà del secolo scorso, ad “ampio spettro”, mentre oggi no. Sia Max Weber che Gramsci e Fortunato (ed altri) sottolineavano l’incompatibilità/opposizione della burocrazia e della relativa weltanschauug, a: a) la politica b) l’assetto istituzionale, in particolare, dello Stato borghese c) la democrazia, d) la libertà politica e sociale, e) la libertà economica. Come scriveva Gramsci, valutando correttamente il carattere della burocrazia come “corpo estraneo” ai principi dello Stato liberale “tutta l’ideologia liberale, con le sue forze e le sue debolezze, può essere racchiusa nel principio della divisione dei poteri, e appare quale sia la fonte fonte della debolezza del liberalismo: è la burocrazia, cioè la cristallizzazione del personale dirigente, che esercita il potere coercitivo e che a un certo punto diventa casta”.
Questo perché, fin dalle prime enunciazioni dei principi e dell’ethos dello Stato borghese (v. il Federalista, i discorsi – citati nel saggio - di Robespierre e Saint-Just ecc. ecc.) la burocrazia è stata vista in contrasto con il nuovo Stato e quindi da “tenere al guinzaglio”. La sintesi delle critiche al potere burocratico più profonda e “potente” l’ha data (il giovane) Marx (nella “Critica alla filosofia del diritto pubblico di Hegel”), con un “pezzo” (anch’esso dimenticato) che sta alla pari, per efficacia e perspicuità, all’ “elogio del capitalismo” nelle prime pagine del “Manifesto”.
Dalla seconda metà del secolo scorso (mentre andava smarrita la parola) le critiche alla burocrazia sono prevalentemente economiche: più attente e approfondite, tuttavia sono per ampiezza argomentativa e “potenza” critica una frazione soltanto di quanto elaborato nei due secoli precedenti.
Il tutto è analizzato, anche in relazione all’ordinamento attuale, tenuto conto dell’enorme aumento del potere burocratico anche nella seconda metà del XX secolo e delle ideologie e dottrine che più gli si addicono e che tendono a “coprirlo” o comunque a irrobustirlo. E considerando anche la prassi interpretativa “funzionarista” della Costituzione, onde precetti rilevantissimi (come l’art. 28 o il 97 – ad esempio) hanno avuto interpretazioni corrive e, soprattutto, applicazione rara e “fiacca”; e le “garanzie” istituzionali della burocrazia fatte prevalere anche sulla garanzia dei diritti fondamentali. Contrariamente al carattere di principio costituzionale – e della forma di governo – della tutela dei diritti fondamentali.
L’analisi del carattere spesso dissolutorio dell’istituzione rivestito dalla burocrazia è ricordato con riferimento alla decadenza dell’impero romano, e all’esistenza del “doppio circuito” di governo come scrive l’autore, tipico di ogni regime: il circuito che va dal vertice governativo ai cives (e viceversa); e quelli che lega il vertice politico all’aiutantato, termine che si deve a Gianfranco Miglio, al concetto del quale l’illustre studioso riconduceva anche la burocrazia. Circuiti che devono stare in equilibrio: ma se il vertice si squilibra in favore dell’ “aiutantato” (e quindi della burocrazia) quasi sempre perde il consenso dei cittadini. E decade, e infine crolla, come l’Impero romano d’occidente.
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