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In effetti, è dalla situazione in Arabia Saudita che possiamo aspettarci ora le novità maggiori. Ho pregato la nostra corrispondente, lettrice osservatrice dei canali televisivi esteri, in particolare mediorientali, di prestare la massima attenzione a ogni minima cosa che si muova in Arabia Saudita. Da parte mia, seguo con attenzione le reazioni degli analisti sionisti. Esilarante, come sempre, la scrittura di una nota signora, che paventava la minaccia alle «nostre coste giudaico cristiane», per indicare le coste mediterranee, sembrerebbe nuovamente in balie della navi saracene che facevano razzia di vergini e giovanette sulle coste indifese. Ma ancora più rivelatore altro analista che sembra preoccuparsi per i nostri prossimi acquisti di una bicicletta non potendosi più usare la macchina, in conseguenza di una temuta – per Israele – caduta anche dell’Arabia Saudita. Mera ipocrisia: il cuore, il cervello e la pancia di costoro ha ben altre sollecitazione. Più seria è una diversa considerazione da farsi. Per anni ed anni, per decenni, uno dei luoghi fissi, martellanti, della propaganda israeliana sionista è stato il cliché dell’«unica democrazia del Medio Oriente». Ci si chiedeva, per questo motivo, di stare dalla parte di Israele, perinde ac cadaver, qualunque cose Israele facesse. Addirittura, durante “Piombo Fuso”, abbiamo sentito dire che le bombe ed i missili israeliani erano pure essi “democratici” e per questo dovevano applaudire. Potrei fare una bella lunga lista dei nostri politici che si sono prestati al gioco: nomi per un futuro museo degli orrori. Insomma, adesso che tutti i popoli arabi e musulmani reclamano sulle piazze la democrazia, osserviamo come gli uomini politici israeliani stiano dalla parte di Mubarak e di tutti i “dittatori”, forse con la sola eccezione di Geddafi. Vengono momenti in cui cadono in un colpo solo tutti i castelli di menzogne costruiti con arte lungo un secolo intero e oltre.
- È iniziata la rivolta nell’Oman: scontri con le forze dell’ordine, 2 morti e tanti feriti, edifici amministrativi e commissariato di polizia incendiati. La manifestazione si è tenuta nella città industriale di Sohar.
Le sommosse sono scoppiate all’indomani delle riforme annunciate dal leader dell’Oman, Sultan Qaboos nel tentativo di prevenire il propagarsi delle proteste. Infatti già il 18 febbraio si erano visti i primi disordini. Il re del piccolo stato nel Golfo Persico aveva anche sostituito 6 ministri, ma come in altri paesi arabi, tali manovre non hanno ingannato i cittadini. Le popolazioni arabe vogliono disfarsi dei loro governi repressivi, fantocci delle potenze imperialiste occidentali. Certamente la sommossa non finirà qui.
È iniziata la rivolta in Arabia Saudita! E QUESTA È UNA GRANDE NOTIZIA, seppure la protesta non sia ancora massiccia. La popolazione è cauta, agisce per gradi, ha molto più da temere rispetto ad altri paesi arabi. L’Arabia Saudita è considerata il regime più potente e repressivo di tutti. Ospita le più grandi basi militari americane al di fuori del territorio statunitense. Ma i giovani sauditi sono molto bene organizzati, la mentalità è moderna e lo sguardo è rivolto all’occidente tecnologicamente avanzato.
Le proteste sono scoppiate nella provincia ricca di petrolio, Qatif. Ufficialmente i manifestanti chiedevano la liberazione dei prigionieri detenuti illegalmente senza accuse formali. Simili proteste si erano manifestate alcuni giorni prima nella vicina Awwamiya. Le autorità si erano affrettate a liberare 3 prigionieri.
Nel tentativo di prevenire rivolte, alcuni giorni fa il re Abdullah di ritorno dal suo viaggio negli Stati Uniti per motivi di salute, ha annunciato alcune riforme in merito a posti di lavoro e nuove abitazioni.
Ma i giovani sauditi non si fanno ingannare. Hanno annunciato su Facebook una manifestazione progettata per il 13 Marzo, a cui hanno dato il nome di “Giorno dell’Ira”. Molte migliaia già gli aderenti alla proposta.
Il governo del maggiore paese esportatore di petrolio è finora riuscito a tenere a bada la popolazione, e teme il contagio della rivolta dal Bahrein, che si trova a pochi chilometri dalle coste saudite. Allo stesso modo il governo del Bahrein teme che i giovani sauditi, bene organizzati, possano dare man forte ai loro “cugini” nel Bahrein.
Infatti, secondo quanto riportato dal New York Times, due giorni fa il re del Bahrein Hamad al-Khalifa ha fatto visita tempestiva al suo collega saudita, re Abdullah, per discutere la situazione di emergenza con il suo alleato chiave nella regione, appena l’anziano sovrano saudita è rientrato nella capitale Riyadh. Sono costretti a lavorare, gli emeriti sovrani, e ad avere notti insonni, come tanti sudditi e bambini affamati che dormono nelle strade di quei reami stra-ricchi.
Gli Stati Uniti sono preoccupati. Temono per le operazioni di sicurezza assegnate alle loro basi militari disseminate in vari paesi arabi del Golfo persico. Secondo l’agenzia AFP circa 27.000 soldati americani sono stanziati nelle varie basi militari installate nei paesi arabi del Golfo Persico: Qatar, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrein, Arabia Saudita. Il Bahrein inoltre ospita il quartier generale della 5a Flotta della Marina Americana, con almeno 4.000 presenze militari.
Il Pentagono (la Difesa americana) si è affrettato a dichiarare pubblicamente, che le rivolte in atto nella regione non sono altro che “movimenti popolari” che non avranno alcuna ripercussione sul quartier generale della marina o sulle altre basi militari nella regione.
Dichiara l’ex diplomatico americano David Aaron “Nessuna delle Basi militari o degli Accordi (con i dittatori) è messo seriamente a rischio. Tuttavia la sicurezza della rete militare è critica per il potere militare americano”. (Che faccia tosta!).
Le operazioni militari americane nel Golfo hanno lo scopo principale di mantenere il controllo sul passaggio delle petroliere destinate all’occidente e di servire ostentatamente da deterrente per eventuali mire dell’Iran. E questa è, ovviamente una balla colossale. L’Iran non costituisce alcuna minaccia, e la Casa Bianca lo sa, ma è questa la linea ufficiale che l’America deve sostenere agli occhi del mondo, perché così vuole Israele, che ha bisogno di far credere ai popoli di essere sotto costante minaccia di annientamento da parte di un “nemico”.
In ogni discussione sull’Iran è mia abitudine chiedere all’interlocutore di turno: “ricordi per caso qual è l’ultima volta che l’Iran abbia invaso un altro paese? Israele invece? E gli Stati Uniti?
Esiste un filmato che viene spesso riproposto nei media di un certo tipo, quando si parla della controversia nucleare Iran/Israele. Nel filmato, che si svolge nella sala stampa della Casa Bianca con tutti i giornalisti riuniti per il “question time” con il Presidente, la famosa giornalista Helen Thomas rivolge al presidente Obama una domanda scabrosa che lo mette in evidente imbarazzo. Domanda: “Signor Presidente, che Lei sappia, esiste una nazione nel Medio Oriente che sia in possesso di armi nucleari?” Si sa che Helen Thomas era allora il simbolo, l’emblema, della rappresentanza stampa nella Casa Bianca, prima di cadere in disgrazia con il suo commento su “Israele se ne deve andare dalla Palestina”. Un altro giornalista che quel giorno avesse rivolto una simile domanda al Presidente, sarebbe stato licenziato in tronco. Comunque, per raccontare la fine della storia, Obama se l’è cavata con un sorriso e una risposta evasiva che a sua volta ha messo in imbarazzo gli altri presenti della stampa, ben consapevoli della menzogna. E’ un segreto aperto che Israele sia l’unico stato nel Medio Oriente a possedere armi atomiche: almeno 200 testate nucleari, e cioè quanto basta per fare il mondo a pezzi.
Quanto all’Iran. Anche due giorni fa, come ripetutamente nel corso degli anni, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) ha rilasciato una ennesima dichiarazione confermando che gli impianti iraniani per la produzione di materiale nucleare sono esclusivamente destinati e adatti all’impiego per uso civile. Ma non serve a niente: il mondo non ci crede, tanto è indottrinato dai media.
Alcuni osservatori politici (più ottimisti) sono dell’avviso che le rivolte arabe possano azzoppare seriamente il potere militare e l’influenza americana nella regione. E che possano costringere Israele a terminare l’occupazione della Palestina, che peraltro è un’occupazione militare.
Altri invece fanno notare quanto seguente ( e personalmente concordo):
EGITTO.
Questa notte, da ore, non si fa che parlare di Egitto nei media alternativi che guardo. La situazione è seria e preoccupante. La giunta militare che ha preso il potere illegalmente tenta di imporsi con prepotenza, violenza e repressione. La manifestazione massiccia di ieri in Piazza Tharir è finita in un ennesimo assalto armato, con molti feriti e tanti arresti. Questa mattina il portavoce del Consiglio militare ha dovuto presentare le scuse ufficiali onde evitare una sommossa che rischiava di trasformarsi in qualcosa di veramente pericoloso, vista la determinazione dei manifestanti. Ora sono in atto frenetiche trattative tra forze militari e portavoce del popolo. Ma la situazione desta forti preoccupazioni tra gli esperti.
Una speranza invece arriva dagli STATI UNITI. La rivolta iniziata due settimane fa nel Wisconsin, si espande a macchia d’olio ovunque nel Paese, e fa sentire la solidarietà con la Rivolta Araba.
Di questo e altro (Tunisia, Bahrein, Palestina, Iraq, Libia, Yemen e anche Qatar – tutte zone in rivolta anche oggi) parlerò domani, se posso. Le notizie sono tante e importanti.
AC
* * *
LE RIVOLTE ARABE EVOLVONO DI MINUTO IN MINUTO
Oggi si aggiungono Oman e Arabia Saudita !!!
Sono costretti a lavorare, gli emeriti sovrani …
Sono costretti a lavorare, gli emeriti sovrani …
- È iniziata la rivolta nell’Oman: scontri con le forze dell’ordine, 2 morti e tanti feriti, edifici amministrativi e commissariato di polizia incendiati. La manifestazione si è tenuta nella città industriale di Sohar.
Le sommosse sono scoppiate all’indomani delle riforme annunciate dal leader dell’Oman, Sultan Qaboos nel tentativo di prevenire il propagarsi delle proteste. Infatti già il 18 febbraio si erano visti i primi disordini. Il re del piccolo stato nel Golfo Persico aveva anche sostituito 6 ministri, ma come in altri paesi arabi, tali manovre non hanno ingannato i cittadini. Le popolazioni arabe vogliono disfarsi dei loro governi repressivi, fantocci delle potenze imperialiste occidentali. Certamente la sommossa non finirà qui.
È iniziata la rivolta in Arabia Saudita! E QUESTA È UNA GRANDE NOTIZIA, seppure la protesta non sia ancora massiccia. La popolazione è cauta, agisce per gradi, ha molto più da temere rispetto ad altri paesi arabi. L’Arabia Saudita è considerata il regime più potente e repressivo di tutti. Ospita le più grandi basi militari americane al di fuori del territorio statunitense. Ma i giovani sauditi sono molto bene organizzati, la mentalità è moderna e lo sguardo è rivolto all’occidente tecnologicamente avanzato.
Le proteste sono scoppiate nella provincia ricca di petrolio, Qatif. Ufficialmente i manifestanti chiedevano la liberazione dei prigionieri detenuti illegalmente senza accuse formali. Simili proteste si erano manifestate alcuni giorni prima nella vicina Awwamiya. Le autorità si erano affrettate a liberare 3 prigionieri.
Nel tentativo di prevenire rivolte, alcuni giorni fa il re Abdullah di ritorno dal suo viaggio negli Stati Uniti per motivi di salute, ha annunciato alcune riforme in merito a posti di lavoro e nuove abitazioni.
Ma i giovani sauditi non si fanno ingannare. Hanno annunciato su Facebook una manifestazione progettata per il 13 Marzo, a cui hanno dato il nome di “Giorno dell’Ira”. Molte migliaia già gli aderenti alla proposta.
Il governo del maggiore paese esportatore di petrolio è finora riuscito a tenere a bada la popolazione, e teme il contagio della rivolta dal Bahrein, che si trova a pochi chilometri dalle coste saudite. Allo stesso modo il governo del Bahrein teme che i giovani sauditi, bene organizzati, possano dare man forte ai loro “cugini” nel Bahrein.
Infatti, secondo quanto riportato dal New York Times, due giorni fa il re del Bahrein Hamad al-Khalifa ha fatto visita tempestiva al suo collega saudita, re Abdullah, per discutere la situazione di emergenza con il suo alleato chiave nella regione, appena l’anziano sovrano saudita è rientrato nella capitale Riyadh. Sono costretti a lavorare, gli emeriti sovrani, e ad avere notti insonni, come tanti sudditi e bambini affamati che dormono nelle strade di quei reami stra-ricchi.
Gli Stati Uniti sono preoccupati. Temono per le operazioni di sicurezza assegnate alle loro basi militari disseminate in vari paesi arabi del Golfo persico. Secondo l’agenzia AFP circa 27.000 soldati americani sono stanziati nelle varie basi militari installate nei paesi arabi del Golfo Persico: Qatar, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrein, Arabia Saudita. Il Bahrein inoltre ospita il quartier generale della 5a Flotta della Marina Americana, con almeno 4.000 presenze militari.
Il Pentagono (la Difesa americana) si è affrettato a dichiarare pubblicamente, che le rivolte in atto nella regione non sono altro che “movimenti popolari” che non avranno alcuna ripercussione sul quartier generale della marina o sulle altre basi militari nella regione.
Dichiara l’ex diplomatico americano David Aaron “Nessuna delle Basi militari o degli Accordi (con i dittatori) è messo seriamente a rischio. Tuttavia la sicurezza della rete militare è critica per il potere militare americano”. (Che faccia tosta!).
Le operazioni militari americane nel Golfo hanno lo scopo principale di mantenere il controllo sul passaggio delle petroliere destinate all’occidente e di servire ostentatamente da deterrente per eventuali mire dell’Iran. E questa è, ovviamente una balla colossale. L’Iran non costituisce alcuna minaccia, e la Casa Bianca lo sa, ma è questa la linea ufficiale che l’America deve sostenere agli occhi del mondo, perché così vuole Israele, che ha bisogno di far credere ai popoli di essere sotto costante minaccia di annientamento da parte di un “nemico”.
In ogni discussione sull’Iran è mia abitudine chiedere all’interlocutore di turno: “ricordi per caso qual è l’ultima volta che l’Iran abbia invaso un altro paese? Israele invece? E gli Stati Uniti?
Esiste un filmato che viene spesso riproposto nei media di un certo tipo, quando si parla della controversia nucleare Iran/Israele. Nel filmato, che si svolge nella sala stampa della Casa Bianca con tutti i giornalisti riuniti per il “question time” con il Presidente, la famosa giornalista Helen Thomas rivolge al presidente Obama una domanda scabrosa che lo mette in evidente imbarazzo. Domanda: “Signor Presidente, che Lei sappia, esiste una nazione nel Medio Oriente che sia in possesso di armi nucleari?” Si sa che Helen Thomas era allora il simbolo, l’emblema, della rappresentanza stampa nella Casa Bianca, prima di cadere in disgrazia con il suo commento su “Israele se ne deve andare dalla Palestina”. Un altro giornalista che quel giorno avesse rivolto una simile domanda al Presidente, sarebbe stato licenziato in tronco. Comunque, per raccontare la fine della storia, Obama se l’è cavata con un sorriso e una risposta evasiva che a sua volta ha messo in imbarazzo gli altri presenti della stampa, ben consapevoli della menzogna. E’ un segreto aperto che Israele sia l’unico stato nel Medio Oriente a possedere armi atomiche: almeno 200 testate nucleari, e cioè quanto basta per fare il mondo a pezzi.
Quanto all’Iran. Anche due giorni fa, come ripetutamente nel corso degli anni, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) ha rilasciato una ennesima dichiarazione confermando che gli impianti iraniani per la produzione di materiale nucleare sono esclusivamente destinati e adatti all’impiego per uso civile. Ma non serve a niente: il mondo non ci crede, tanto è indottrinato dai media.
Alcuni osservatori politici (più ottimisti) sono dell’avviso che le rivolte arabe possano azzoppare seriamente il potere militare e l’influenza americana nella regione. E che possano costringere Israele a terminare l’occupazione della Palestina, che peraltro è un’occupazione militare.
Altri invece fanno notare quanto seguente ( e personalmente concordo):
- per mettere fine al dominio americano sul Medio Oriente (compresi Iraq, Afghanistan e Pakistan) devono cadere i regimi di Arabia Saudita e Bahrein (e di conseguenza il Kuwait);
- per mettere fine all’occupazione israeliana della Palestina, devono cadere Egitto e Giordania. (Ho già illustrato brevemente la questione Giordana nel mio precedente “Corrispondenza di Una Lettrice: 4 – I Popoli Arabi Tutti In Rivolta …”)
EGITTO.
Questa notte, da ore, non si fa che parlare di Egitto nei media alternativi che guardo. La situazione è seria e preoccupante. La giunta militare che ha preso il potere illegalmente tenta di imporsi con prepotenza, violenza e repressione. La manifestazione massiccia di ieri in Piazza Tharir è finita in un ennesimo assalto armato, con molti feriti e tanti arresti. Questa mattina il portavoce del Consiglio militare ha dovuto presentare le scuse ufficiali onde evitare una sommossa che rischiava di trasformarsi in qualcosa di veramente pericoloso, vista la determinazione dei manifestanti. Ora sono in atto frenetiche trattative tra forze militari e portavoce del popolo. Ma la situazione desta forti preoccupazioni tra gli esperti.
Una speranza invece arriva dagli STATI UNITI. La rivolta iniziata due settimane fa nel Wisconsin, si espande a macchia d’olio ovunque nel Paese, e fa sentire la solidarietà con la Rivolta Araba.
Di questo e altro (Tunisia, Bahrein, Palestina, Iraq, Libia, Yemen e anche Qatar – tutte zone in rivolta anche oggi) parlerò domani, se posso. Le notizie sono tante e importanti.
… continua …
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