Non avrei mai pensato che il libro di Shlomo Sand, di cui ho già redatto una scheda sull’edizione francese, sarebbe apparso anche in italiano. Ed invece eccolo uscito presso Rizzoli, in una collana ad ampia tiratura e per questo al costo di soli 21,50 euro per un volume rilegato di 540 pagine. Se avessi lo stipendio del senatore Della Seta, credo non meno di 20.000 euro mensili con infiniti altri privilegi, invierei in dono a 314 + 1 (Ciarrapico) una copia del libro di Shlomo Sand anziché le 315 - 1 (Ciarrapico) “kippah”, come il detto senatore ha fatto sapere ai media. Non so se una “kippah” costi di più o di meno di 21,50 euro: non mi sono mai posto il problema. Ma il costo di 315 copie del libro sarebbe di 6772,5 euro, sopportabile su uno stipendio mensile di 20.000 euro. Il libro giunge nelle mie mani il giorno stesso in cui la signora Fiamma Nirenstein annuncia una “maratona oratoria”, dove un un nutrito gruppo di parlamentari ci racconteranno la loro “Verità per Israele”. Intanto, possono leggersela qui, nel libro, tradotto in italiano, di Shlomo Sand, dove in modo inconfutabile si illustra e divulga al gran pubblico una “verità” già nota negli stessi ambienti accademici israeliani: che il “popolo” ebraico è una creazione sionista nel contesto del dibattito sul nazionalismo che infuriò nella seconda metà del XIX secolo. Sono pure menzogne le leggende della deportazione degli ebrei dopo la distruzione del Tempio nel 70 d.C. Vi fu già prima di quella data una spontanea emigrazione di giudei, che si sparsero per ogni dove, tentando anche loro di fare proselitismo. Il maggior successo lo ebbero in Kazaria, nell’VIII-IX secolo, da cui traggono origine la maggior parte degli ebrei attuali. Se proprio vogliamo andare alla ricerca dei più diretti discendenti di quanti abitavano in Palestina nel 70 d.C., questi sono proprio gli odierni palestinesi, contro i quali gli ebrei ovvero sionisti di Kazaria hanno sempre condotto una politica di pulizia etnica. Se ci dovessimo esprime con una formula matematica, allora l’equazione sintetica ed inconfutabile sarebbe la seguente:
Israele = pulizia etnica della Palestina
L’arco temporale dell’equazione va dal 1880 al 2010, distinguendo due periodizzazioni principali: prima e dopo il 1948. Il “prima” concide con la preparazione ideologica e tecnica della “pulizia etnica”, che equivale al “genocidio”, mentre il “dopo” corrisponde alla sua esecuzione tecnica, che si avvale anche e soprattutto di una copertura mediatica e politica.
Erano visibilmente
in lutto gli agenti della propaganda sionista per la lingua italiana che ne hanno dato la notizia con questi termini:
«Da leggere con molto senso critico la recensione di Paolo Mieli sul Corriere alla traduzione italiana del libro negazionista del solito intellettuale israeliano della sinistra antisionista Shlomo Sand, che sostiene, fuori dal suo campo disciplinare e usando argomenti che sono stati refutati dagli storici seri e perfino dalle prove biologiche al momento dell’uscita del libro in Israele, che quello ebraico non sarebbe un popolo, ma il frutto di ondate di conversioni, che i veri discendenti degli ebrei biblici sarebbero probabilmente i palestinesi, che gli ebrei europei discenderebbero dai turchi Kuzari e non dalla stirpe di Israele. Tutte storie che hanno un evidente fine politico e che Mieli approva con entusiasmo.»
Per la verità, non noto nessun entusiasmo in Mieli, che si limite a redigere non una “recensione” in senso tecnico, una scheda informativa sul contenuto del libro, rinviando ad altra occasione una sua possibile e credibile neutralizzazione. Addirittura, con estensione del senso diffamatorio del termine, anche Shlomo Sand è gratificato come “negazionista”. Il termine ormai oltre ad essere applicato agli storici revisionisti che da anni ed in misura sempre più traboccante si dedicano alla storia critica dei campi di concentramento, lo si applica anche a quegli archeologi che hanno scosso dalle fondamenta la narrazione biblica costitutiva di buona parte del fondamento mitologico dello stato ebraico di Israele, che nasce su una “Pulizia etnica della Palestina”, rivelata al gran pubblico da un altro storico ebreo e israeliano, Ilan Pappe, che in seguito a minacce ricevute ha dovuto lasciare quel “paese civile”, di cui Mieli parla a conclusione della sua scheda.
In effetti, mi soprende l’uscita di una traduzione in lingua italiana che avevo auspicato e che mi sembrava difficile, anche per la limitata estensione dei lettori italiani e quindi per il minore margine di profitto commerciale rispetto alla lingua inglese o francese ma anche spagnola. Ma era già apparsa presso Mondadori la traduzione del grosso volume di Mearheimer e Walt sulla “Israel lobby e la politica estera americana”. Almeno altri due libri, disponibile per il pubblico che vuole essere informato ed è immune alla propaganda, stanno assestando un formidabile colpo al sionismo: di Ilan Pappe, La pulizia etnica della Palestina, e di Avraham Burg un libro dal titolo un poco strano, Vincere Hitler, ma che sostanzialmente è incentrato sulla mistica della Shoah come attuale fondazione ideologica dello stato di Israele. In soldoni il messaggio di questa mistica puà essere riassunto in questo modo: noi siamo quelli che “hanno sofferto”, decisamente più di tutti, e guai se qualcuno dice che ha sofferto di più; dunque, lasciateci fare con i palestinesi quel che vogliamo, abbiamo diritto a quell’atomica che nessun altro e meno che mai l’Iran deve avere, e che le carceri europee vengano stipate al massimo con quanti, “negazionisti”, pensino di fare le pulci sui fatti storici della seconda guerra mondiale; le loro “opinioni” non sono “pensiero” protetto dalle costituzioni e dalle dichiarazioni dei diritti universali dell’uomo, ma sono in se stesse “crimini” e quindi sanzionabili con il massimo delle pene, e per giunta a pena scontata simili criminali non sono “rieducabili” e non possono più essere ammessi nel contesto sociale con parità di diritti e di dignità. Per chi sa leggere il libro di Burg, che ha definito lo stato di Israele uno stato alla nitroglicerina, si traggono verità che i mediatori culturali (traduttrice, recensori, ecc.) cercano di sviare e ridimensionare. Faccio un torto a Jacob Rabkin, e non solo a lui, se ometto il suo fondamentale libro sul “nemico interno”, che ci fa capire meglio di altre fonti la distinzione fra giudeo, ebreo, sionismo, ed in sintesi chiarisce molto bene l’opposizione radicale e irriducibile fra il giudaismo fondato sulla Torah, dei vecchi ebrei praticanti e autenticamente religiosi, e gli “ebrei” (?) che hanno sposato la causa del sionismo, per non dire i lestofanti religiosi che interpretano alla lettera passi biblici che inneggiano al genocidio e dove sono descritte pratiche che oggi verrebbero condannate da qualsiasi tribunale internazionale per i crimini di guerra.
Avendo già dedicato al libro di Sand una scheda relativa all’edizione francese, svolgeremo su questa scheda le considerazioni e le riflessioni che nascono dalla lettura e rilettura del testo, mentre in questa scheda seguiremo con attenzione quella che sarà la recezione italiana del libro, per la quale oltre al lutto dei “Corretti Informatori” si segnala una recensione del sionista
Paolo Mieli, la cui presenza è annunciata oggi sul palco della signora Nirenstein. Abbiamo già dato una scorsa alla recensioni di Mieli e ci è parsa un mero sunteggio, in attesa che qualcuno si faccia avanti per tentarne una stroncatura e facendo buon viso ad un colpo formidabile alla propaganda sionista:
«Scritto da un israeliano, per il pubblico israeliano, a dispetto della storia ufficiale che si insegna nelle scuole di Israele. E contestato da coloro che non sono d' accordo in punta d’argomento e senza ricorrere a tentativi di screditare l' autore. Così si dibatte del passato in un Paese civile».
È un rinvio ellittico al paese “incivile”, di cui non è detto chiaramente quale sarebbe, ma non è difficile intuire. Probabilmente, tutti quelli dell’area, eccetto Israele stesso. Il sionismo di Mieli resta sempre sempre in agguato e non ci si deve lasciar ingannare dalla scheda riassuntiva, dove il suo pensiero lo si può cogliere solo in impercettibili incisi.
Il libro esce poi addirittura presso Rizzoli, dove lo stesso Mieli riveste forse un ruolo importante. Esisteva una volta in un settimanale a larga diffusione una rubrica intitolata “segreti degli editori”. Sarebbe veramente intereressante sapere come si è giunti ad un’edizione italiana, a cui non speravo e che mi sorprende. Può darsi che siano state esclusivamente valutazioni di carattere commerciale, ma non si può escludere che in questo modo si pensi forse di controllarne meglio l’influsso sul pubblico italiano.
Ecco che qui troviamo, in ordine causale, un
primo tentativo di quella neutralizzazione del libro di cui appunto parlavamo testè. Ed ora finalmente appena uscito in traduzione italiana e quindi direttamente disponibile al giudizio del lettore interessato. È buona regola leggere i libri che ci interessano e non affidarci mai al giudizio di un recensore, più o meno interessato. Non bisogna lasciarsi ingannare dal sunteggio di Mieli, che in realtà è ostile al libro. Il fuoco di sbarramento contro il libro inizia almeno un anno prima dalla sua uscita in italiano. Ne è un esempio questo tentativo di
stroncatura che troviamo immancabilmente “Giornale”, a firma di un certo Segre, sul quale è bene leggere quanto in altro contesto ne dice
Blondet. Sand – per chi legge il libro – non è «l’asino» che Segre vorrebbe, mentre l’«altoparlante» Segre è chiaramente uno di quei sionisti che il libro ci consente appunto di conoscere in tutta l’ideologia di cui sono portatori. I “commenti” de il “Giornale” riflettono la linea editoriale del quotidiano, anche se viene fatto passare qualche intervento “nemico”.
Utili le
informazioni che si ricavano dalla pagina di Arianna Editrice, che mette insieme una scheda del Corriere con la traduzione di una recensione di Tom Segev a cura del compianto Mauro Manno. Siamo all’aprile del 2008, ben prima dell’edizione italiana (ottobre 2010) del libro, che certamente segnerà una fase nuova della sua recezione presso il pubblico italiano. Possiamo considerare il periodo precedente come “esorcistico” o di “annuncio” e quello che verrà come vero periodo della recezione critica del libro. Da notare quali siano le preoccupazioni di una certa parte della intellettualità accademica.
«Dina Porat, storica dell’Olocausto, gli ha detto di aver completamente trascurato la realtà politica dopo la Shoah».
Appunto! Abbiamo qui una nuova conferma di come tutta la storiografia ebraica sia sempre stata condizionata dalle sue finalità politiche. Si legga al riguardo
questo bel saggio di Gilad Atzmon, tradotto da Gianluca Freda. Nel testo di Atzmon si trova anche una citazione di Shlomo Sand. Quanto per rispondere idealmente a Dina Porat si può ricordare sulla “realtà politica dopo la Shoah” il libro di Abraham Burg, ben diverso e pur complementare. Ma non poteva chiedere a Sand quello che ha invece fatto Burg per un verso, o Pappe per l’altro, e Jakob Rabkin ancora per un altro. Tutti questi libri vanno letti in modo complementare. Ne manco forse uno ancora sulla cosiddetta «unica democrazia del Medio Oriente», quale appunto si pretende sia Israele. Si tratta in realtà di un mostro giuridico, al quale ben si adatterebbe la nozione di “Stato criminale”, proposta da Karl Jaspers per lo stato nazista. Manca però – che io sappia – una trattazione adeguata per questo aspetto e tale da poter affiancare alle opere qui citate, tutte efficaci per darci un’immagine di Israele finalmente sottratta alla propaganda.
* * *
Non è stata cattiva l’idea di postare questa scheda, appena avuto notizia dell’uscita di un’edizione italiana del libro di Shlomo Sand. Non ci speravano ed abbiamo dovuto leggerlo in traduzione francese. Una sorpresa nella sorpresa è stata l’uscita presso Rizzoli, diretta dal sionista Mieli, che ne ha fatto non una recensione, ma una scheda riassuntiva condita da qualche inciso dove si coglie la posizione sionista del Mieli. Non credo di aver capito fino in fondo la strategia editoriale del Mieli o della Rizzoli. Probabilmente, se ne vuol fare un fatto commerciale – se il libro tira e può tirare –, ma non un fatto culturale. Se Shlomo Sand vorrà dare un peso al suo libro, dovrà fare come ha fatto Ilan Pappe, cioè fare una tourné promozionale del libro in Europa. E che farà l’editore? Metterà a disposizione i suoi circuiti? Mah! Ma non anticipiamo. Stiamo stiamo soltanto ad osservare.
Ed ecco qui che appare un intervento dello specialista in Eurarabica, che conduce una quotidiana guerra a tutto ciò che scalfisce la sua amata Israele. L’Italia è solo terra di occupazione e questi signori non concepiscono che qualcuno in un paese controllato da ben 114 basi americane possa non piegarsi ai voleri e desideri di Israele. Viviamo in tempi di guerra ed ogni parola deve qui essere misura e preferibilmente evitata. Ma vediamo cosa dice la “
stroncatura”. Il libro di Shlomo Sand sarebbe “brutto”. Dicevano gli antichi:
de gustibus ne dipundam est. Ho letto il libro in francese e in italiano. E non l’ho trovato per nulla brutto. Per chi appena un poco conosce la prosa velenosa e astiosa dello “stroncatore” salta subito un: “senti chi parla!”. E non sono il solo a dirlo. Persino dal suo stesso campo si è sollevata una voce al riguardo, potendosene concludere che un simile propagandista alla fine avrebbe prodotto verso Israele ed il sionismo molte più antipatie che non simpatie.
Quanto al “forte lancio pubblicitario” per la verità non me ne sono accorto. E non ne avrei avuto notizia, se non avessi appreso dallo stesso propagandista l’uscita del libro che si tentava subito di esorcizzare. Devo ringraziare l’Esorcista per avermi consentito di poter comprare subito il libro e finirlo di leggere prima che lui potesse scriverne. Una prima stonatura è il collegamento del libro di Sand con la recente legge sul giuramento di fedeltà al presuto stato “ebraico e democratico”, un ossimoro che sfugge al semiologo. Direbbe Di Pietro nella sua lingua italiana riformata: « E che c’azzecca?» Ma andiamo avanti.
Da notare che il sinodo sul Medio Oriente, appena concluso, è un sinodo «famigerato». Poco ci manca che venga indicato come un raduno di criminali di guerra, se non mafiosi e camorrista. Ma questo è l’uomo e questa la sua quotidiana e postale limpidità e obiettività di giudizio. Lasciamo pure stare la “serenità” di giudizio, giacché neppure io sono capace di “serenità” davanti a tanti sproloqui che offendono l’intelligenza prima ancora che il diverso sentire politico. La lettura del libro sembra non vada oltre la quarta di copertina. Quanto a “popolo” e “religione” ne voglio raccontare una che è inedita quanto vera. Chi legge è libero di crederci o meno.
Per la formazione del cosiddetto “popolo” ebraico e o sionista si era creato un flusso emigratorio che partiva dalla ex-Unione Sovietica e paesi satelliti. Le persone coinvolte venivano attirate con una falsa promessa di emigrazione negli USA. Ad un certo punto si scoprivano le carte ed il paese di destinazione non erano più gli USA, ma Israele, dove appunto bisognava costituire e rafforzare i ranghi del “popolo ebraico”. Un riscontro a questa storia, sulla cui veridicità non ho dubbi, la si può trovare nel saldo negativo fra immigrazione ed emigrazione in e da Israele. È probabile che chi non aveva nessuna intenzione di arruolarsi nel “popolo ebraico”, potendo cerchi di evadere. Ma, come diceva Pasolini, siamo in un campo dove si sa tutto senza poterlo provare. Per noi è qui sufficiente sapere. Ma cerchiamo di trovare qualcosa di pertinente nell’analisi eurabica del libro.
Di “bizzarro” vi è l’incomprensione del libro, unito all’abituale saccenza. Sul carattere religioso dell’ebraismo ovvero del giudaismo è quanto mai utile la citazione del libro di Jakob Rabkin, dove sono chiariti e distinti molti termini (giudaismo, ebraismo, sionismo) che nell’uso giornalistico e propagandistico vengono mantenuti in una deliberata confusione. Non possiamo qui adesso entrare rigorosamente nella problematica svelata da Rabkin, ma ne ricordiamo l’assunto principale: la radicale e assoluta opposizione di giudaismo e sionismo, dove per giudaismo si intende la rigida ortodossia con la tradizione religiosa giudaica, che non è il nazionalismo religioso di incredibili personaggi che vivono e prosperano in Israele. Quanto poi al tasso di religiosità e di nazionalità presente oggi in Israele basta leggere la tipologia riportata da Shlomo Sand in apertura del libro.
Altra distinzione andrebbe fatta fra “popolo” e “nazione”, ma usciremmo forse fuori dal libro stesso di Shlomo Sand, che in modo egregio in buona parte del libro riporta il dibattito che vi fu, soprattutto in Germania, nella seconda metà del XIX secolo sulla formazione dei concetti di “nazione”, “nazionalismo”, “razzismo”. Sand spiega bene ed in modo convincente come da questo coacervo uscì fuori il sionismo e con esso l’«invenzione» del popolo ebraico, cosa che ovviamente non significa che in Palestina dal 1882 ad oggi non vi sia stata una conquista coloniale ad opera di concrete persone in carne ed ossa. Come essi si chiamino o intendano chiamarsi può interessare relativamente. Di fronte alla realtà di una “pulizia etnica” che dura fino ai nostri giorni poco interessano gli ideologismi con i quali si pretende di giustificare e legittimare un vero e proprio sterminio che la nostra coscienza morale giustamente rifiuta. Non ci si può chiedere di fissare la nostra attenzione sulla narrazione di “stermini” di epoche sempre più remote per poi chiudere gli occhi sugli “stermini” presenti ad opera degli stessi narratori.
L’argomento che sembra più fondato all’argomentazione del libro di Sand è di quanti si baserebbero sui dati della genetica per affermare una comune etnia del popolo ebraico. Non è che Sand non sia a conoscenza degli ultimi ritrovati della scienza, ma nota come già per l’archeologia o la storia i dati siano spesso piegati ai dettami della politica. Sembra tuttavia indubbio che “conversioni” all’ebraismo vi siano stati nel tempo. Anche oggi sono possibili, anche se io francamente non riesco ad immaginarmi circonciso. Ma ognuno di noi che lo volesse potrebbe presentarsi per l’operazione. In ogni caso, ed è ciò che maggiormente importa, niente autorizza la pulizia etnica della Palestina dal 1882 in poi, all’insegna del sionismo. Se una siffatta operazione venisse giustificata con l’impiego della Bibbia, bene ha fatto il “famigerato” sinodo che non può invocarsi la Bibbia ovvero la teologia per giustificare palesi ingiustizie riconosciute come tali dal diritto naturale. Avremmo tutto il diritto di ritenere “criminale” una simile teologia.
La comunanza genetica dell’etnia ebraica non sarebbe diversa da quella degli zingari o simile etnie, che però non reclamano una stato tutto per loro e meno che mai rivendicano il diritto a scacciare dai loro villaggi le popolazioni autoctone, come ha documentato un altro ebreo israeliano, Ilan Pappe, anche lui un “ebreo che odia se stesso”, secondo una curiosa “invenzione” che bolla con questa terminologia ogni ebreo che esce fuori dagli schemi e dalle parole d’ordine del sionismo. Ma comunque simili argomentazioni, basate sulla genetica, non invalidano le tesi portanti del libro di Sand. Quanto agli «storici seri» che avrebbero «stroncato le tesi di Sand» bisognerebbe sapere chi sono e quanto possono dirsi “seri”. Mi viene da pensare ad un noto giornalista di parte sionista, che in passaggio televisivo, parlando delle prime reazioni al libro di Mearsheimer e Walt, La Israel Lobby e la politica estera americana, disse che era stato “demolito”, senza indicare da chi, come e in base a quali argomenti. Uno di questi personaggi, anzi il principale, Alan Dershowitz, è poi venuto in Italia per continuare l’opera di demolizione. Le sue argomentazioni, ad uso edificatorio interno, erano esilaranti e ce ne siamo occupati altrove: il testo da me scritto a caldo è ancora da rivedere e lo farò quando ne avrò il tempo. Ma comunque è chiara la tecnica: quando esce un buon libro, come quello di Sand o di Pappe, dicono che “storici seri” lo avrebbero già “demolito”: basta crederci! Che poi ognuno sia capace di proprio ed autonomo giudizio, leggendo direttamente il libro, non è da costoro minimamente considerato: chi sei tu che pretendi di giudicare con la tua testa!
Quanto poi alla nozione di “popolo eletto”, vero mistero della Fede, bisognerebbe spiegarlo a tutti i popoli, veri e concreti, presso i quali i “cittadini di religione ebraica” hanno convissuto con alterne vicende durante i secoli. È difficile che capiscano questo mistero di fede, se non lo si impone con la forza, o non si convertano loro stessi – come i Kazari – ad una simile religione, diventando così essi stessi degli “eletti”. Ma qui non vi è proprio nulla da capire: vi è solo da “credere”, salvo a non offendersi, indignarsi e reagire di conseguenza.
Insomma, il semiologo non ci sembra abbia alcuna intelligenza del libro di Sand, se mai è andato oltre la lettura della quarta di copertina o la scheda riassuntiva che ne ha fatto Paolo Mieli. Si limita a rilevare le conseguenze per lui indesiderabili del libro. È una tecnica, altamente scientifica, che viene abitualmente seguita dai propagandisti: la tesi è utile o non utile a Israele? Se non porta acqua al proprio mulino, allora è da respingere con ogni mezzo, lecito o illecito. È infine da osservare: ma se il semiologo è così fermamente convinto di appartenere ad un “altro” popolo, per giunta “eletto”, perché mai si ostina a stare presso di noi, poveri e derelitti “goym”?
* * *
Segnalo una discussione del libro in “
Stampa Libera”. Per ragioni di opportunità, adotto la decisione di non intervenire nei forum di discussione, come non intervengo e neppure leggo più “escaton”, dove vengo chiamato in causa. È mio interesse di osservatore seguire la recezione italiana del libro. Non è mio il ruolo del promotore. In questa mia scheda annoterò di volta in volta ciò che mi parrà più interessante. Vi è chi cerca deliberatamente la polemica, che però io non ritengo sempre produttiva. Altra cosa è il confronto critico, quando ve ne siano i presupposti. Ritengo comunque che il libro di Sand, se non sarà silenziato – il che mi sembra difficile – conserverà i suoi effetti nel medio lungo periodo, dopo aver demolito parecchio lavoro fatto dallo propaganda israeliana. Agli argomenti solidi e seri del libro non possono opporsi se non altri argomenti solidi e seri: al momento non ne vedo!
***
Abbiamo detto esser scopo di questa pagina il monitoraggio della recezione italiana del libro di Sand. Ebbene, senza fare il nome e cercando di evitare una facile polemica, è da dire che la
propaganda sionista sembra proprio a corto di argomenti, se per trovare il “popolo” ebraico deve risalire alla Torah, un testo di oltre duemila anni fa, che al massimo poteva riguardare un bacino di utenza proprio di quell’epoca. Inoltre, tutti quegli ebrei che hanno considerato se stessi per la loro appartenenza religiosa non avevano e non hanno nessun bisogno di essere e sentirsi un “popolo” nell’accezione sionista. Nel libro di Sand si parla appunto del processo storico che dall’epoca della Kazaria ha visto formarsi un agglomerato religioso, vissuto in prevalenza nell’Europa orientale. Non esistono i paesi della “dispersione”, come in modo colorito si esprime il linguaggio sionista. Esiste certamente un movimento coloniale di rapina e conquista che doveva reclutare adepti, attingendo quanto più possibile nell’area dell’ebraismo laico, che non riusciva a sentire più il richiamo religioso appunto della Torah, assai malamente invocata. Insomma, se mai l’articolista del Moked e di IC ha letto il libro di Sand, non si direbbe proprio che ci abbia capito qualcosa. Pretendere infine una continuità storica ininterrotta fra un popolo forse vissuto tremila anni fa e l’attuale popolazione sionista di Israele significa mancare del tutto di senso e cultura storica.
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Questa scheda, che non aggiorno da qualche tempo, è nata espressamente per seguire la recezione italiana del libro di Shomo Sand. Avendo letto e riletto il libro, sono quanto mai interessato alle critiche serie che se ne possano fare. Non ne ho finora trovate. A voce ho sentito da qualche amico osservazioni sugli aspetti genetici della discendenza ebraica. anzi della monogenesi: tutti da Adamo, Abramo, Mosé e simili baggianate, che non sono la sostanza del libro. Ho anche letto di analisi taroccate da parte ebraica. E ci credo come non credo alla mitologia archeologica. Continua ad insospettirmi il fatto che il libro sia uscito presso Rizzoli e che a farne una sorta di recensione che non è tale (ma solo una scheda riassuntiva del libro con qualche frecciatina) sia stato Paolo Mieli, l’ultima persona adatta a parlare del libro. Se si considera che l’editore non ha fatto nessuna opera di promozione, paragonabile a quella che pure vi è stata in Italia del libro di Ilan Pappe, si può sospettare che possa essere stata una strategia per silenziare il libro. Ma comunque il libro è disponibile prezzo un grande editore italiano e se finisse esaurito lo si può trovare nelle biblioteche. Chi vuol leggerlo, in italiano, può farlo. E poco possono le contumelie del
cartolinaro Volli che non sembra proprio aver letto il libro. E se lo ha letto, non ci ha capito nulla. È vero le menzogne ripetute rischiano di apparire per vere a chi è disinformato. Ma a ripetere menzogne da dieci anni a queste parte sono Lor Signori. Per fortuna, le menzogne possono raccontarsele giusto fra di loro, se pure ci credono. Oltre alla diligente segnalazione, in fase di repertorio, non crediamo di dover aggiungere altro, non volendo scadere in una facile polemica ed attirarci l’ormai becera e spuntata taccia di “antisemitismo”, un gruppo di sillabe ormai del tutto privo di senso.
Quanto poi al “tal”
Khalid Amayred è un giornalista che merita di essere ricordato per la grave violazione dei suoi diritti sotto l’Eletto Impero sionista: nel maggio del 2008 era stata aperta una petizione in suo favore, venendo impedito di potersi recare dalla Cisgiordiania, dove risiedeva, in Germania, per fare il suo lavoro di giornalista. Grazie al capillare controllo della nostra informazione – i telegiornali, e Claudio Pagliara, non mi pare ne abbiano allora parlato – solo adesso vengo a conoscenza della sorte che oggi tocca a quanti sono i felici eredi della Diciarazione Balfour, contrattata con i circoli sionisti in un’epoca in cui e il fascismo e il nazismo erano ancora ben lungi dal poter essere invocati come fonte indiretta di legittimazione per l’occupazione coloniale che era già nella mente dei suoi ideatori ancora prima che Hitler nascesse. Ma si sa che la propaganda sistematica può perfino sovvertire la cronologia. E già allora le risorse sionisti prevedevano appositi bilanci (cospicui) per la propaganda e l’attività lobbistica. Il gran pubblico non sa ancora ciò che già il Morning Post diceva “non confessabile”, nel 1920, a fronte della promessa Balfour. Shlomo Sand non è uno storico dell’Ottocento, ma è tuttora vivente, prossimo pensionato e quindi libero da ritorsioni accademiche, ed ha tracciato gli esiti finali di una colonizzazione che iniziava appunto nell’anno 1882 e dove era già implicita la “pulizia etnica”, cioè il “genocidio” – secondo equiparazione ONU, di cui in Pappe –, ma del... popolo palestinese!
Nella “corretta”, quotidiana contumelia, a mezzo posta, si tace del fatto che Shlomo Sand è un ebreo, oltre che un israeliano, come ebrei sono tanti altri che sostengono tesi condivise da molti non ebrei: la “verità”, o più semplicemente la realtà evidente dei fatti e delle cose, non è né ebrea né goym. Basti qui ricordare una lista di nomi che demoliscono i fondamenti ideologici dei sionismo: Jakob Rabkin, Norman G. Finkelstein, Ilan Pappe, Gilad Atzmon, Avraham Burg e tanti tanti altri. Ed è curioso come per poter scrivere e pubblicare i loro libri bisogna essere “ebrei”. Gli editori si rifiutano di pubblicare libri sullo stesso argomento se non sono scritti da ebrei. Ritengono in questo modo di poter scongiurare l’accusa (con valenza penale) di antisemitismo o di razzismo. Quanto poi, per chiudere, alla critica di “incompetenza” è un semplice insulto, piuttosto incostistente, con cui malamente si nasconde la propria mancanza di argomenti. Alle idiozie si ha poco da rispondere. La migliore risposta ad una propaganda forsennata, fatta di diffamazioni e delazioni, è lo studio e la lettura di libri come quello di Shlomo Sand, oltre a rifuggire quella polemica che è cercata per poi rilanciare la solita solfa dell’antisemitismo e bla bla bla.
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Addì 7 aprile 2011 l’occasione per un aggiornamento di questa scheda mi è stata data dall’ultimo commento che ho approvato senza tuttavia capire molto a cosa esattamente il suo autore si riferisse esattamente. Ho quindi dato una scorsa ai motori di ricerca per vedere se sul tema era nel frattempo uscito qualcosa. Ho trovato del 2 marzo scorso un’
intervista di Shlomo Sand, edita in italiano. Ne sto leggendo il testo per ricavarne qualche eventuale osservazione. Oggi mi sento di buon umore e voglio fare una chiosa a quanto Shloma Sand dice in questo brano:
Negli anni Novanta del secolo scorso, diversi archeologi israeliani hanno però cominciato a dimostrare che molte delle vicende raccontate nella Bibbia non sono che leggende: per esempio, non esiste alcuna prova che l’esodo dall’Egitto sia realmente avvenuto, né che sia esistito il regno di Davide e Salomone.
Lasciamo perdere Davide e Salomone. Invece, sull’«esodo» riferisco un fatto reale, raccontatomi da un mio amico e risalente ad qualche decina di anni addietro. Il mio amico partecipava come relatore ad un convegno in Parigi, alla Sorbona. La sua tesi era appunto che l’Esodo ed i quaranta anni di permanenza nel deserto non fossero in realtà mai esistiti e che si trattava di pura invenzione o leggenda. Come argomentava? Se ricordo bene, come egli mi riferii, sosteneva che ogni essere umano da sempre ha una fisiologia imprescindibile: deve mangiare e bere, e quindi di conseguenza espellere liquidi i solidi: ogni giorno per tutta l’arco della vita. Quindi faceva i conti del numero di persone che per quaranta anni avrebbe vagato nel deserto biblico. E si chiedeva: non avrebbero dovuto esistere le tracce organiche di questa loro permanenza? Era presente nella sala un rabbino che subito diede in escandescenze, dicendo che certe affermazioni non potevano farsi senza prove scientifiche. Ossia lui ragionava, partendo dalla indiscutibile realtà del racconto biblico e della necessità di fornire prove del fatto che esso
non fosse mai avvenuto. La verità era presunta e non doveva essere dimostrata. Ciò che invece doveva essere dimostrato era il suo contrario. È un modo di ragionare ancora in auge addirittura per eventi della seconda guerra mondiale. Il mio amico, però, non si scompose. Le prove? Certo! Eccole! Ed esibii le analisi del carotaggio del terreno del deserto fatto proprio in Tel Aviv presso centro specializzati. Era certificato che i campioni, le “carote”, non conteneva nessuna traccia di escrementi umani o di urina. Il mio amico mi spiego che queste tracce resistono nell’arco dei millenni, se mai vi fossero state. La scena suscitò l’ilarità generale ed ancora con il mio amico ne ridiamo, quando egli me la racconta. Alla prossima occasione gli chiederò maggiori dettagli per poterli qui trascrivere.
Un’altro episodio collegato a questo ed espressione dello stesso archeologismo (e si parla con orrore perfino di un “negazionismo archelogico”) è quanto lessi mesi addietro, ma senza annotare. Avevano portato a Netanyahu un reperto archeologico, appena scoperto, una tavoletta, dove era appunto inciso in nome “Netanyahu”. E lui subito, a dire ai giornalisti: ecco, vedete, un mio antenato! Senonché a leggere le annate dell’Osservatore Romano degli anni venti e trenta si apprende di un curioso fenomeno. Tutti o quasi i nuovi immigrati ebrei All’Ufficio anagrafe. En passant, si trattà di un flusso immigratorio che passa da poche decine nel 1882 ad una vera e propria, di nome e di fatto, invasione di massa negli anni del mandato britannico ed a partire dal 1948, quando in una botta sola il 50 per cento della popolazione palestinese autoctone fi espulsa dalle case e dai villaggi: vera e propria pulizia etnica, come ha ben documento il collega di Sand, lo storico Ilan pappe, costretto ad emigrare in Inghilterra. Cosa andavano a fare all’anagrafe? A cambiarsi il cognome con il quale erano immigrati ed assumerne uno di valenza biblica! Sembra che neppure Netanyahu abbia fatto eccezione e non ricordo il suo cognome originario. Ma se la memoria mi dovesse ingannare aggiungo che qui intendo solo riferire il fenomeno diffuso e documentato del cambio di cognome in epoca di occupazione coloniale. Chiusa la digressione.
Interessante, nell’Intervista, l’affermazione di Sand secondo cui i cristiani e i protestanti sarebbero i veri inventori del popolo ebraico. Cosa perfettamente plausibile. Come il cristianesimo avrebbe potuto svolgere le sue narrazioni senza risalire agli ebrei, al “popolo deicida”? Anche se oggi, mutati i rapporti di forza politici e geopolitici, la Chiesa tende ad addolcire ed ammorbire la sua fondazione teologica, sarà arduo convincere i fedeli, perlomeno quelli cattolici, che Gesù Cristo sia morto sulla croce di… raffreddore e polmonite, giacché lo vediamo sempre rappresentato praticamente nudo. E mi dicono che da quelle parti, di notte, il freddo si sente! Dunque, nel suo processo di “superamento” dell’ebraismo il cristianesimo non poteva abbandonare la sua “base” ebraica. Questo spiegherebbe anche, forse, perché mai perfino nella stessa Roma gli “ebrei” non siano mai scomparsi. Non vi era scampo per streghe e per eretici di ogni genere, ma gli “ebrei” continuavano a prosperare più o meno indisturbati.