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La mia memoria corre ad anni lontani, quando ero studente di Aldo Moro ed il suo assistente ci intratteneva sul principio della presunzione di innocenza dell’imputato, fino a sentenza definitiva passata in giudicato. Ricordo che si discettava se la presunzione di innocenza non si dovesse più rigorosamente concepire come presunzione di non colpevolezza. Altrimenti, le indagini su un imputato non avrebbero potute neppure venire iniziate, qualora si fosse dovuto presumere che era già innocente. Credo che, sensatamente, la presunzione sia da intendere come un giusto principio di salvaguardia della dignità della persona, del suo onore, della sua incolumità, fino a quando una “giusta" pena non possa venire comminata. Non è comunque il nostro caso, né in un senso né nell’altro, quando si ha che fare con un quotidiano, come “Repubblica”. Per certi suoi giornalisti, infatti, sembra valere una considerazione opposta: la presunzione di colpevolezza, fino a sentenza definitiva e, qualche volta, pure oltre. Non sto esagerando e cerco di dimostrarlo.
È di qualche giorno la notizia apparsa sul sito on-line della redazione torinese de “La Repubblica”, a firma di Lorenzo Pleuteri.
Ed invece no! Qui si tenta di irridere o schernire la sentenza di primo grado. Si continua, nella titolazione, a bollare come “negazionista” il docente torinese Pallavidini. E si tenta altresì di “eccitare” i lettori, per il secondo round: cioè, il possibile Appello. Ma come fa Pleuteri a sapere già che vi sarà un Appello? Dove ha attinto l’eventuale informazione? Forse è lui stesso, considerandosi “parte in causa”, che intenderebbe proporre l’Appello per nome e per conto di “Repubblica”, dove egli scrive?
Insomma, anche la peggiore barbarie, a confronto, allibirebbe! Torino è una città nella quale le cronache locali di testate nazionali, sembrano preferibilmente occuparsi di ciò che un docente di Liceo dice o non dice a lezione. È una città, dove un docente si ritrova ad essere costretto a circolare con la scorta della polizia, per poter semplicemente andare in aula, a tenere le sue lezioni. Questo paese, non è l’Iraq o l’Afghanistan del dopo Bush jr. E’ l’Italia: un Paese che molti, ormai, nel migliore dei casi, tendono a paragonare ad una “Repubblica delle banale”. Forse peggio. Vi è poco da commentare… Diciamo che cascano le braccia!
La notiziola apparsa sul web non è sfuggita al diretto interessato, che dopo due commenti coperti dall’anonimato, ha pensato di lasciare questo suo commento chiarificatore:
Non possiamo non collegare, anche questo episodio, all’interno di una strategia che da anni si persegue, ed il cui obiettivo è l’instaurazione di un regime di terrore, per ogni forma di pensiero che non si voglia allineare su livelli di pregiudizio sempre più bassi. Mi chiedo: quando sarà possibile una sana, lecita, non violenta reazione di fronte ad un’intimidazione di regime sempre più oscena e insopportabile?
La mia memoria corre ad anni lontani, quando ero studente di Aldo Moro ed il suo assistente ci intratteneva sul principio della presunzione di innocenza dell’imputato, fino a sentenza definitiva passata in giudicato. Ricordo che si discettava se la presunzione di innocenza non si dovesse più rigorosamente concepire come presunzione di non colpevolezza. Altrimenti, le indagini su un imputato non avrebbero potute neppure venire iniziate, qualora si fosse dovuto presumere che era già innocente. Credo che, sensatamente, la presunzione sia da intendere come un giusto principio di salvaguardia della dignità della persona, del suo onore, della sua incolumità, fino a quando una “giusta" pena non possa venire comminata. Non è comunque il nostro caso, né in un senso né nell’altro, quando si ha che fare con un quotidiano, come “Repubblica”. Per certi suoi giornalisti, infatti, sembra valere una considerazione opposta: la presunzione di colpevolezza, fino a sentenza definitiva e, qualche volta, pure oltre. Non sto esagerando e cerco di dimostrarlo.
È di qualche giorno la notizia apparsa sul sito on-line della redazione torinese de “La Repubblica”, a firma di Lorenzo Pleuteri.
Proviamo, ora, ad analizzare e commentare. Intanto, non esiste nel Codice penale vigente – ch’io sappia – uno specifico titolo di reato, chiamato “negazionismo”. E mi auguro che ad una simile barbarie mai si giunga. Allibisco, poi, all’idea che possa costituire una qualsiasi materia di criminalizzazione e di incriminazione penale il fatto di interessarsi di storia; oppure, di essere filopalestinesi, anziché filoisraeliani o filoesquimesi. Ma anche ipotizzando che simili reati possano esistere, oltre a dover fare valere la presunzione di innocenza per chiunque, ci si dovrebbe attenere, a maggior ragione, ad una sentenza di primo grado che quell’innocenza proclama, in nome e per conto del popolo italiano.Annullata la punizione al prof negazionista.
Ha vinto il primo round legale, Renato Pallavidini, il docente di storia e filosofia che aveva espresso in aula posizioni negazioniste e filopalestinesi durtante il giorno della memoria di due anni fa. L'insegnante fu sospeso per 14 giorni e condannato al pagamento delle spese processuali.di Lorenzo Pleuteri
(20 novembre 2009)
Ed invece no! Qui si tenta di irridere o schernire la sentenza di primo grado. Si continua, nella titolazione, a bollare come “negazionista” il docente torinese Pallavidini. E si tenta altresì di “eccitare” i lettori, per il secondo round: cioè, il possibile Appello. Ma come fa Pleuteri a sapere già che vi sarà un Appello? Dove ha attinto l’eventuale informazione? Forse è lui stesso, considerandosi “parte in causa”, che intenderebbe proporre l’Appello per nome e per conto di “Repubblica”, dove egli scrive?
Insomma, anche la peggiore barbarie, a confronto, allibirebbe! Torino è una città nella quale le cronache locali di testate nazionali, sembrano preferibilmente occuparsi di ciò che un docente di Liceo dice o non dice a lezione. È una città, dove un docente si ritrova ad essere costretto a circolare con la scorta della polizia, per poter semplicemente andare in aula, a tenere le sue lezioni. Questo paese, non è l’Iraq o l’Afghanistan del dopo Bush jr. E’ l’Italia: un Paese che molti, ormai, nel migliore dei casi, tendono a paragonare ad una “Repubblica delle banale”. Forse peggio. Vi è poco da commentare… Diciamo che cascano le braccia!
La notiziola apparsa sul web non è sfuggita al diretto interessato, che dopo due commenti coperti dall’anonimato, ha pensato di lasciare questo suo commento chiarificatore:
“Visto che l'interessato dell'accusa e della sentenza sono io, mi sembrano doverose due precisazioni (che mi sembrava, però, di aver già dato ai vostri giornalisti sin dal febbraio 2007!). Io non sono negazionista, non mi sono mai interessato al problema; Né in classe ho espresso queste tanto deprecate tesi negazioniste. Ho duramente stigmatizzato la politica israeliana in Medio Oriente, come facevano normalmente in tanti, Repubblica compresa, prima che le lobbyes sioniste, prima che il sionismo giungesse a questi livelli di potere. Credo anche di aver impressionato favorevolmente la giudice, affermando che nella mia fornitissima biblioteca privata, su circa 3600 volumi di storia, filosofia, ecc. esistevano solo due minuscoli testi negazionisti, giusto per farmene un'idea come insegnante e studioso di storia. Quindi, per cortesia, correggete il testo! datemi del rivoluzionario, del pazzo sostenitore di Ahmadinejd, ma non del negazionista perché non lo sono!”.Certamente opportune, ma inadeguate – rispetto alla “potenza di fuoco mediatico” di cui dispone una testata come “Repubblica” – le ordinarie capacità di reazione di un comune cittadino che può venirsi a trovare diffamato e criminalizzato, a discrezione dei “padroni del vapore”. Nessuno dovrebbe trovarsi nella condizione di dover respingere accuse assurde.Renato Pallavidini
Non possiamo non collegare, anche questo episodio, all’interno di una strategia che da anni si persegue, ed il cui obiettivo è l’instaurazione di un regime di terrore, per ogni forma di pensiero che non si voglia allineare su livelli di pregiudizio sempre più bassi. Mi chiedo: quando sarà possibile una sana, lecita, non violenta reazione di fronte ad un’intimidazione di regime sempre più oscena e insopportabile?
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