domenica 15 novembre 2009

Le pasquinate “leggendarie” di Repubblica. – Il “mostro” risponde...

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Vers. 1.2 del 17.11.09

Quando lessi l’articolo che Marco Pasqua aveva scritto su me, sbattendomi in prima pagina come un mostro, la mia prima reazione fu di semplice e categorico rigetto: non è possibile, mi sono detto! Di fronte alla “porcheria” ed al fetore che ne emana, in genere ci si ritrae. Non riconoscendomi per nulla nella caricatura che di me veniva fatta – per di più, nella totale falsificazione del mio pensiero – non potevo certo mettermi a discettare su ogni singola frase che era stata stampata. Dico: stampata. Io faccio fatica a sostenere ed illustrare che la forma di scrittura su internet è qualcosa di stilisticamente e concettualmente diverso dalla carta stampata. Purtroppo, si assimila ed equipara un blog ad un giornale della carta stampata. Se però scrivo per la stampa cartacea sono diversi i metodi e le impostazioni concettuali che adopero. Lo posso affermare, come autore di testi, per ciò che mi riguarda. Di altri, non so e non sono tenuto a sapere: ognuno pensa e lavora con propri metodi. Ma tornando a Repubblica, dico che ciò che ritenni di dover fare fu una pronta “reazione a caldo”. Scrissi immediatamente al direttore responsabile, per smentire in toto il contenuto dell’articolo di Pasqua. Ne mandai identica ed istantanea copia al mio Rettore, che però, non so per quale ragione, dette l’impressione di preoccuparsi molto di più di comparire in televisione per parlare di me che non di trovare il tempo per potermi ascoltare.

L’analisi delle falsificazioni diffamatorie di Pasqua è possibile solo in un secondo tempo. Una volta, cioè, che sia cessato il clamore della montatura giornalistica e mediatica, avviando una serena e pacata riflessione. Repubblica non è nuova a queste cose. E alla sua Redazione rinfacciavo ciò nella prima stesura della mia lettera di replica, alla quale è seguita poi una lettera del mio legale, redatta secondo le indicazioni della giurisprudenza. Una vittima più illustre di me, ma con mezzi ben altri di cui dispongo io per poter replicare è stato Silvio Berlusconi. Devo però dire che ho seguito pochissimo quelle sue vicende. Mi è bastato subodorare che si trattava di donne, anzi di prostitute, per rivolgere la mia attenzione a temi più seri ed interessanti. Vi è stata una risposta di Berlusconi alle 10 domande poste da Repubblica. Ho letto anche di qualcuno che pretendeva le risposte di Berlusconi in parlamento: a domande poste da un quotidiano tendende allo scandalistico, come Repubblica! Ne hanno fatto una sorta di Terza Camera.

È ancora troppo grande il disgusto che avverto, per andare a prendere il testo di Repubblica, ma posso intanto osservare come il Pasqua si sia sbizzarrito ad andare a cercare quel che gli faceva comodo per suoi fini (che posso solo sospettare ma non indagare), trascurando ‘quattro parolette’ essenziali che smentivano tutto il suo castello di fandonie e riconducevano il discorso nell’alveo della posizione in cui intendevo ed intendo collocarmi: libertà di pensiero e di ricerca per tutti, e senza criminalizzazione per nessuno. Ecco le quattro parolette:

Non intendo negare alcunché
(vedi originale dell’epoca
alla data del 21 ottobre 2006
)

«Il tema del “cosiddetto Olocausto” era per me poco più di una curiosità intellettuale, ma dopo gli incredibili attentati alle libertà democratiche a proposito del caso teramano, che è soltanto un fatto di provincia, diventa per me un obbligo morale conoscere in modo diretto tutta quella letteratura che è stata posta sotto divieto da una ben individuabile lobby.

Per l’uso dell’espressione “cosiddetto Olocausto” posso rinviare allo storico ebreo Sion Segre Amar, ma i miei iniziali ed autonomi intendimenti non erano di “negare” alcunché: sulla semplice espressione linguistica si è costruita un’incredibile polemica da caccia alle streghe finita su uno dei maggiori quotidiani d’Italia!

[Si noti bene che il quotidiano di cui qui si parla non è la “Repubblica”, ma la “Stampa”, che però a differenza di «Repubblica» pubblicò all’epoca ben due mie lettere di replica e smentita. Ch’io sappia, fino a questo momento, «Repubblica» non ne vuole sapere di ottemperare alle leggi sulla stampa e sul diritto di replica. Con la «Stampa» si era trattato di un analogo tentativo di bollare con il marchio infamante di “negazionisti” un gruppo di persone, che reagirono prontamente a questa manovra. Qui il fuoco è stato tutto concentrato su di me. Ma anche sulla “Stampa” respingevo l’addebito di “negazionista”. La relativa documentazione è disponibile pure sul mio blog. Il sig. Pasqua si è ben guardato dall’andarla a leggere e consultare.]

Le mie espressioni esprimevano soltanto l’incomprensibilità linguistica e storica di un termine a valenza religiosa e la mia riluttanza e fastidio ad utilizzarlo per definire un semplice “sterminio” di popolazioni, ammesso che vi sia stato. Non immaginavo le reazioni che avrei scatenato. Invece “leggenda” vuole alludere ad un misto di verità confuso con falsità e soprattutto strumentalizzazioni. Potrei anche usare l’espressione “mito” nel senso soreliano. Infatti, non mi pare dubbio che sull’Olocausto il neo stato d’Israele abbia inteso fabbricare il suo mito fondativo. Ed i miti, si sa, non bisogna toccarli e disturbarli».
(Ripreso
da una fonte testimoniale esterna, il cui testo appare in numerosi siti)

Prima e dopo questa affermazione netta, perentoria ed inequivocabile si trova la spiegazione di un titolo che suonava esattamente: «La leggenda dell’ “Olocausto”: riapertura di una discussione» e che avrebbe potuto certamente essere formulato diversamente, senza sacrificio del mio pensiero, se soltanto avessi potuto prevedere e sospettare l’incredibile malafede e disonestà intellettuale dei miei avversari. Né va taciuto il fatto che, a Costituzione vigente, anche l’affermazione «Napoleone non è mai esistito» è lecita e non costituisce reato. Del resto, senza una spiegazione aggiuntiva, l’affermazione stessa è per nulla probante. Potrebbe significare ad esempio: “Non abbiamo appreso nulla da lui”. In ogni caso il termine ‘leggenda’ usato come predicato nominale, non esiste in nessuna parte dei miei scritti, anzi – per essere più preciso – nelle mie ‘bozze’ su rete. Nei miei scritti a stampa, per nulla.

Anche l’idea della “verifica” dei dati è stata del tutto alterata dal Pasqua, che aveva un irrefrenabile bisogno di creare un “mostro”. Proverò a fare alcuni esempi, ma senza toccare la spinosa materia. Si tratta di dati puramente quantitativi. Mi servo di un aneddoto che mi è effettivamente capitato. Lavoravo in un ufficio, dove ancora si usava pagare lo stipendio in contanti. Una ragioniera passava per le stanze e portava ad ognuno il suo stipendio. Una di quelle volte, la ragioniera pretese da me con un certa stizza che io contassi i soldi. Volendo essere cortese, risposi che mi fidavo e che non ve n’era bisogno. Ma lei insisteva, avendo da altri, non da me, contestazioni contabili. Al conteggio ripetuto dei soldi davanti a lei, emerse che mi veniva pagato meno del dovuto! Ne prese lei atto e mi diede il mancante. Non misi in dubbio la sua buona fede. Si trattava di un banale errore. Ma se non vi fosse stata una verifica, nessuno dei due se ne sarebbe accorto. La verifica dei dati, infatti, serve per confermare una verità, non per negarla. A buon intenditore, non occorre dire altro. Agli scorretti o agli sleali, è inutile finanche parlare.

Nota: A proposito di «Commenti», il mio “timore” o meglio circospezione potrà esserci o non esserci, ma ritengo che sia il caso di cambiar registro. Per il passato non ero stato esigente o rigido nell’approvare o meno i commenti ed ero assai di manica larga. Adesso le cose cambiano oggettivamente per motivi che credo non occorra spiegare. I “commenti” saranno utili e preziosi se apportano un contributo, anche critico, al testo del post. Altrimenti non servono e sono tanto più sospetti quanto appaiono fuori luogo, illegali, offensivi, non pertinenti.

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