martedì 17 novembre 2009

Il “caso” Pallavidini ed il mio. – Il “mostro” risponde…

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Vers. 1.5 del 18.11.09

Questo blog era nato allo scopo di trattare le questioni connesse alla libertà di pensiero. Altri temi, come la questione palestinese, sono stati trattati abbondantemente e lo saranno ancora, proprio perché in ordine a ciò che tragicamente succede in Palestina i nostri maggiori quotidiani, le nostre televisioni, non solo amministrano quotidianamente una menzogna di Stato, ma alterano la formazione del libero pensiero altrui mettendo in circolazione dati falsi e producendo “pregiudizi”, a liberarsi dei quali non basta più la controinformazione ma ci vuole soprattutto una formazione critica che ormai la nostra scuola impartisce sempre meno. In fondo le giornate della Memoria o delle Memorie non sono altro che operazioni ideologiche di regime che qualsiasi serio educatore abolirebbe, fatto salvo ogni rigoroso insegnamento della storia.

Dopo la consueta premessa, passo ora ad abbozzare un argomento singolo sulle quali ritornerò con miglioramenti ed approfondimenti. Voglio fare un’analogia fra il “caso” Pallavidini risalente ad almeno tre anni fa ed al mio di questi giorni, ancora in atto, e non concluso. Gli svolgimenti sono qui in progress, in tempo reale. Provo a riassumere il caso Pallavidini con le immancabili inesattezze sul quale potrà correggermi ed integrare l’interessato stesso.

Era iniziato quel caso direttamente a scuola, dove il docente lavorava. Avvicinato, probabilmente ad arte, da alcune studentesse, le venivano poste domande “trappola”, dove il docente del tutto in buona fede e senza nulla doversi rimproverare rispondeva con sua scienza e coscienza, ma certo non dovendo rischiar nulla in condizioni normali. Queste studentesse riferivano a “chi di dovere” che, a sua volta, interveniva (c’era da dubitarne?) e faceva immediatamente scoppiare lo “scandalo” e la “persecuzione”. Situazione che – come sappiamo – è costata al prof. Pallavidini circa tre anni, certamente non piacevoli, di vicende giudiziarie. Un’aula di giustizia, o anche uno studio legale, hanno sempre qualcosa di kafkiano che ognuno di noi vorrebbe risparmiarsi. Anche quando si “vince” in giudizio, in realtà non si vince mai… In particolare, per quel che si è perso in tranquillità e serenità che normalmente uno studioso o un docente riserva agli studi.

Io a lezione non ho mai trattato i temi che mi sono stati contestati, per il semplice fatto che, io, di quegli argomenti, alquanto complessi, professionalmente parlando, ne so poco o nulla e non mi interessano oltre una certa soglia. In sede amministrativa, non ho nessuna difficoltà a dimostrarlo. Mi occupo invece di “libertà di pensiero”, ossia dei fondamenti di ogni sistema autenticamente democratico. In me si è quindi voluto colpire una mera opinione, peraltro a me attribuita artatamente. Per fortuna, a Costituzione vigente anche quella opinione inventata ed attribuitami ad hoc, sarebbe stata perfino lecita. Ho scoperto con mano, e sulla mia “pelle” – non per sentito dire… – il meschino ed indegno ruolo della stampa e dei media, che – a parole, come sappiamo – vorrebbero apparire come gli “infallibili” depositari e custodi delle nostre libertà. Non mi stancherò mai di ripetere l’abissale differenza fra libertà di stampa e libertà di pensiero. Siamo persi se facciamo confusione fra due cose fondamentalmente diverse e spesso contrapposte.

Si vorrebbe introdurre un regime di terrore, dove si dovrà avere paura di esprimere il proprio pensiero – giusto o sbagliato – su una serie di temi sensibili, sui quali si è creato, non da oggi, un’incredibile e mostruosa sovrastruttura ideologica. I regimi totalitari del passato non avrebbero saputo far di meglio, anche perché non disponevano dei sofisticati mezzi tecnologici odierni. Se è vero che ormai il crocefisso è stato virtualmente tolto dalle aule scolastiche in nome di una libertà di religione per tutti e dunque anche per il non cristiano che verrebbe ad essere molestato dalla presenza di un simbolo cristiano, non si riflette per nulla sul fatto che ogni giornata della Memoria equivale ad una nuova religio che viene imposta a tutti con la forza. Senza dimenticare la riprovazione morale, la sanzione amministrativa ed, eventualmente, il carcere. Se la cosa non appare subito chiara ad ognuno, invito ad una piccola riflessione critica.

Per il caso Pallavidini, si è salutata come una vittoria il fatto che dopo tre anni di battaglia legale si è ripristinata la condizione degli artt. 21 e 33 della Costituzione. Se c’è voluto tanto, vuol dire che quegli articoli hanno ancora un valore “programmatico” e non sono divenuti normale prassi del nostro vivere quotidiano. Vi è poco di che stare allegri. Si noti altresì che a conclusione della vicenda giudiziaria di Pallavidini, non vi sono stati i “riflettori” dei media televisivi e della carta stampata, per trarre dal fatto le giuste evidenze. Non vi sono stati talk show televisivi. La notizia della sua «assoluzione» ha avuto assai meno copertura della sua precedente ed ingiustificata messa alla “gogna”.

Ciò non è confortante. Se si ricorda, in Francia, il modo in cui è stata introdotta la legge Fabius-Gayssot (massimo esempio di barbarie giuridica della nostra epoca), si vedrà che una serie di sentenze della magistratura francese riconosceva il diritto di libertà di pensiero degli accusati. Cosa hanno fatto i politici francesi, ovvero la Lobby? Hanno fatto passare una legge, dove si dice che quella determinata opinione, è in sé un crimine! Quindi, il pensiero, in quanto tale diventa “criminale” ed entrano nelle carceri di quel Paese – non per metafora… – una nuova categoria di rei: i “criminali del pensiero”. Qualche bello spirito ha pensato di coniare lo slogan: “assassini della memoria”. Una formula chiaramente assurda e logicamente inconsistente, mentre è invece corposamente attuale quella di “criminale del pensiero”.

Ed allora? Ritengo che – senza il minimo indugio – si debba comunque reagire. Ad esempio, costituendo un movimento politico ad hoc, per la difesa della libertà di pensiero. Va da sé che, per la difesa di questa fondamentale libertà, non possono essere gravati i partiti esistenti, né i sindacati, né altre organizzazioni. I sindacati fanno benissimo ad occuparsi di posti di lavoro a rischio. I partiti, ormai, sono un ceto particolaristico di persone che dalla politica traggono la loro fonte di sussistenza: spesso non hanno mai avuto un lavoro in senso proprio. Ognuno può compilare a mente una sua lista di gente che vive, ha vissuto e continua a vivere soltanto di politica e con la politica. Di costoro, noi cittadini non possiamo assolutamente fidarci. I nostri interessi ed i nostri diritti, se affidati a costoro, verranno svenduti sul bancone dei “poteri forti”.

Che fare? Solo per dare un esempio: sono disposto a sfilare, ogni settimana, con cartelli e megafoni, per le piazze d’Italia, con il professor Pallavidini e con quanti altri sono stati repressi nel loro elementare diritto a poter dire ciò che pensano. Non dovrebbe più accadere che ognuno di noi subisca senza reagire attacchi, offese e linciaggi. Ho potuto sperimentare quanto sia facile liberare la gente comune dalle menzogne dei quotidiani cartacei e delle televisioni. Bisogna trovare il tempo, la pazienza, la gentilezza per spiegare ad ogni passante che è lui stesso in pericolo, non appena in un luogo pubblico osi esprimere una sua pur semplice e fallibile opinione. Alla fine della seconda guerra mondiale si è voluto far credere che ciò che rendeva migliore e preferibile il sistema impiantato dai vincitori in rapporto a quello dei vinti, era una fondamentale differenza: la libertà di pensiero e di parola che da quel momento tutti avrebbero avuto, mentre prima, non era così. Ma è vero? Dov’è il tangibile di quella promessa?

1 commento:

Antonio Caracciolo ha detto...

Nota per i Lettori: Non censuro nulla! Ho attivato la modalità “Utente Registrato” per liberarmi di sciacalli e molestatori che in questo momento sono ancora più molesti. Chi vuole lasciare un commento con i requisiti richiesti (pertinenza, legalità, etc.) non ha che da scriverlo e lo troverà pubblicato. Può anche mandarlo al mio indirizzo privato, dove io posso purgarlo (con il suo consenso) di eventuali manchevolezze. In questo periodo servono “contributi” concettuali, che possano essere un arricchimento ed un’integrazione del testo.