Lo scioglimento
delle camere da parte di Macron ha suscitato in Italia reazioni difformi,
accomunate da un misto di machiavellismo da bar ad un legalitarismo da parrocchia
(non è obbligato….) e quindi non “si capisce perché l’ha fatto”.
La realtà è che
Macron non ha della democrazia la concezione astratta e strumentale condivisa dalla sinistra italiana, ma
soprattutto dal PD. Secondo la quale democratico è chi condivide una certa
declinazione dell’idea tra le diverse
possibili; ma soprattutto che, anche se il popolo ne condivide una diversa
è dovere di chi governa
infischiarsene della volontà popolare e seguire quell’ “idea”, respinta dalla
maggioranza.
Non è così,
grazie al cielo, in Francia (e, probabilmente nella maggior parte d’Europa): lì
vale la regola che, anche se il popolo sbaglia, è obbligatorio osservarne direttive (e decisioni). Il governo
democratico è, anzitutto un dominio della pubblica opinione “government by public opinion”. Come
scriveva Schmitt, l’opinione pubblica è la forma moderna dell’acclamazione.
Anche se non si lascia racchiudere (del tutto) in procedure formalizzate, al di
là dello stesso contenuto legale delle decisioni (l’elezione dei rappresentanti
al Parlamento europeo), questa devono orientare comportamenti e azione di
governo.
Come scriveva
Schmitt “I metodi legali possono scegliere solo un momento unico. In ogni caso,
fa parte dell’essenza di una vera democrazia il fatto che il valore sintomatico delle elezioni e delle votazioni popolari venga
legalmente rispettato” (il corsivo è mio). In questo contesto “Lo
scioglimento, come già illustrato, deve essere considerato come una normale
istituzione di questo sistema. Se esso deve avere un senso per il diritto
costituzionale, deve valere proprio nel caso in cui la maggioranza parlamentare
ha dato al governo un voto di fiducia. Il rapporto diretto con il popolo può
essere allora ricercato contro la votazione di sfiducia della maggioranza
parlamentare ed il popolo decide come
terzo in più alto grado il conflitto sorto fra il governo e la rappresentanza
popolare” (il corsivo è mio). Onde “Qui il potere di scioglimento è un
mezzo necessario e normale di equilibrio e di appello democratico del popolo…
si basi sulla chiara contrapposizione di due diverse opinioni ed il popolo
approvi mediante una nuova elezione o il punto di vista del Reichstag o quello
del governo del Reich e in questo modo decida il conflitto”. Per cui la ragione
è chiara e conferma il principio di legittimità democratica: il popolo decide
sul conflitto generato da una riduzione verticale del consenso del governo, in
elezioni non-parlamentari (in quelle parlamentari il problema non si porrebbe).
Questa sensibilità verso l’orientamento
dell’opinione pubblica, in particolare se confortato da dati reali non è solo
di Macron. Anche un eroe nazionale come De Gaulle quando la sua proposta di
riforma regionale fu sconfitta dal referendum, si ritirò a vita privata. Né
ovviamente questa osservanza è solo francese.
Cosa sarebbe invece
successo nella Repubblica italiana, in un caso del genere?
Sarebbe partita
una colossale campagna di costruzione di un’opinione pubblica artificiale. Migliaia di talk show, milioni di likes, centinaia di intellettuali da
industria culturale, concerti, feste di paese, marce e cortei a gogò. Comici a
far lezione di diritto costituzionale (volontariamente); insegnanti di diritto
costituzionale a fare (involontariamente) i comici. Tutti a osannare che la
democrazia (di marca PD) è la migliore delle possibili, anzi è l’unica
possibile; che chi sostiene il contrario è un nemico del popolo e soprattutto
che, se il popolo si sbaglia è dovere degli illuminati
rieducarlo. Per cui è dovere degli illuminati
correggere la volontà popolare: un tempo con i gulag, oggi con metodi meno
drastici.
In fondo a tale
concezione c’è comunque il potenziale conflitto tra i diversi modi con cui si
declina il ruolo del governo democratico: della nota triade per cui questo è il
governo dal popolo, del popolo e per il popolo, le prime due espressioni vengono omesse ed
offuscate, la terza ingigantita (a beneficio delle élite). Che poi i risultati
di tanto zelo siano modesti o addirittura dannosi non vale a scalfire la fede
nell’immaginazione di un mondo
migliore, più buono, più giusto e anche più pulito.
Resta da vedere
quanto possa essere forte (in senso politico) un governo che abbia un consenso
modesto, e certificato come tale
dall’esito delle elezioni. Credere che le classi politiche degli Stati esteri
prendano sul serio un governo carente di
consenso è pensare di vivere nel paese dei balocchi: è chiaro che cercheranno
di sfruttarne la debolezza a proprio beneficio, concedendo a quello il meno
possibile per tenerlo in vita quale
interlocutore (per loro) ideale.
Perciò è meglio
un Macron come in altri tempo, per la Francia fu Coty, che favorì la
sostituzione di governi lontani dalla volontà popolare con uno che di quello
era la compiuta espressione.
Iniziando un
nuovo ciclo della politica e delle istituzioni francesi.
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