Il saggio di Vassallo e Vignati a partire dagli albori della Repubblica analizza l’evoluzione della
destra: dal MSI, passando per AN ed arrivare all’oggi, ossia a Fratelli d’Italia.
Il tutto realizzato sia attraverso l’analisi di programmi, flussi elettorali,
dichiarazioni dei leaders che
mediante informazioni raccolte da vari esponenti.
Gli autori distinguono
tre fasi, caratterizzate da diverse classi dirigenti. La prima, quella del MSI,
dove la classe dirigente del partito era formato da ex appartenenti al PNF e,
in particolare da reduci della RSI: cioè un insieme fortemente connotato,
distinto dai partiti ciellenisti, ostracizzato e, anche per questo consolidato nella continuità con i
valori del fascismo, sia del regime che della fase terminale. Nella seconda, di
AN, la classe dirigente è nella totalità o quasi costituita da persone che, per
motivi anagrafici – essendo quasi tutti nati dopo il 1945 – col fascismo non avevano
avuto rapporti come Fini, Gasparri, La Russa, Alemanno; altri che al massimo
erano stati balilla (come Matteoli e Tatarella).
Quanto a FdI “i fratelli di Giorgia erano diventati
militanti del MSI all’inizio degli anni Novanta, durante la crisi della Prima Repubblica,
e avevano fatto pratica della politica come professione dopo la svolta di Fiuggi
in epoca bipolare. Sono loro (la terza generazione della Fiamma) a costituire l’ossatura
organizzativa di FdI”. Pur nella continuità
con la propria storia “oggi nel codice di condotta di FdI sono esclusi i saluti
romani, i pellegrinaggi collettivi a Predappio o l’uso del termine «camerata»”.
Soprattutto non c’è in vista alcun pericolo di deriva autoritaria e gli esami e
le accuse di fascismo alla Meloni
sono del tutto infondati “L’attribuzione a FdI di quella categoria (o di suoi
derivati) si fonda sull’uso di definizioni metastoriche, soggettive e
concettualmente dilatate del «fascismo»”.
Per cui,
scrivono gli autori “a chi si domanda «quanto fascismo c’è oggi in FdI?»
suggeriamo di distinguere tra fascisti,
neofascisti, postfascisti e afascisti. La prima generazione di fondatori
del MSI era formata da fascisti (da
persone che avevano avuto un ruolo, piccolo o grande, nel regime, e soprattutto
nella sua ultima incarnazione, la RSI) e da neofascisti”.
Con la svolta di AN si “compie il passaggio dal neofascismo (via via ridotto, a
partire dagli anni ottanta, a puro nostalgismo testimoniale) al postfascismo: afferma cioè la piena
integrazione nel sistema democratico”. Con FdI “la generazione di Giorgia Meloni
è piuttosto definibile come formata da democratici
afascisti: il processo di integrazione democratico è proseguito e il
fascismo ha smesso completamente di esercitare una funzione di ispirazione. È stato
ormai definitivamente relegato a momento storico di un passato irripetibile,
che ha poco o niente da offrire per orientare l’azione politica, che così viene
percepito anche dall’elettorato a cui oggi FdI si rivolge”.
Quanto alla
democrazia interna, FdI lascia (molto) a desiderare “In pratica l’intera
intelaiatura organizzativa è posta nelle mani del presidente e dell’Esecutivo
nazionale, dei Presidenti dei Coordinamenti regionali e provinciali”. Per cui “Il
sostanziale dissolvimento delle strutture territoriali e degli organi
assembleari del partito si accompagna a una direzione fortemente centralizzata
nelle mani del leader”.
Per l’appartenenza
ideologica, FdI è stata classificata come “destra estrema”, come populista, ma
appare meglio riconducibile ad un
partito nazionale conservatore “Giorgia Meloni e i suoi Fratelli, hanno appreso che il patriottismo nazionalista e il conservatorismo, già
di fatto elementi chiave del loro bagaglio ideologico, potevano diventare un
appropriato/utile «marchio». L’etichetta di conservatore
consente di dare un nome alla destra all’interno del campo più largo del
centrodestra italiano, conferendole una identità distintiva rispetto alle altre
componenti”. Oltretutto il meglio “spendibile” in Europa.
Il saggio è
accurato e non partigiano: due caratteri per consigliarne la lettura.
Quello che
manca, anche se in un paragrafo gli autori valutano l’incidenza della fortuna e
della virtù (le “categorie” machiavelliche) nella valutazione del rapido e
travolgente successo di FdI è quanto vi abbia concorso la decadenza sia della
società che del sistema politico italiano. Se l’Italia è stata il primo paese
dell’Europa occidentale ad avere un governo totalmente
anti-establishment (il Conte 1), le
levatrici di tale successo, proseguito in quello di FdI sono la peggiore
crescita economica dell’Europa, ossia quella italiana e l’incapacità della
classe dirigente a garantirla (così come le altre crisi). Un buon favore della Fortuna
al governo Meloni.
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