Sarebbero
necessari tanti saggi come questo per risvegliare il senso comune da quel “sonno
mediatico” che occulta pratiche, mezzi ed espedienti di sfruttamento dei
governati (alias sudditi) del nostro
tempo, soprattutto di quelli della Repubblica italiana. L’argomento può essere
affrontato da più angoli visuali: Lottieri lo considera soprattutto da quello
filosofico. Così l’autore considera il neopositivismo di Kelsen, per cui il
diritto è “ricondotto alla mera validità formale”, ed è un sistema normativo
organizzato secondo una gerarchia di precetti, fino a quello fondamentale. Questa
«gerarchia ben precisa colloca obblighi e sanzioni ben al di sopra dei
cosiddetti “diritti”. Questo positivismo
giuridico, di conseguenza, si traduce nell’assoluto arbitrio di chi comanda»
(il corsivo è mio). Ciò era stato stigmatizzato già circa un secolo orsono da
Carré de Malberg, secondo il quale la gerarchia di norme del giurista austriaco
non era altro che la conseguenza della gerarchia tra organi dello Stato: la
conformità dell’atto amministrativo alla legge era il riflesso della superiorità del Parlamento sul governo e
l’amministrazione (e così via).
In particolare
la proprietà è stata svuotata di contenuto attraverso una disciplina che
sottraeva o limitava facoltà a favore dei poteri pubblici (quello che Rodotà, lato sensu, chiamava il “controllo
sociale delle attività private).
Per cui sempre
il giurista calabrese riteneva la proprietà un diritto sotto riserva di legge,
ma del quale il legislatore poteva plasmare
ad libitum il contenuto. I tedeschi, che avevano già assistito ad un
dibattito simile relativamente al diritto di proprietà come regolato dalla
Costituzione di Weimar, quando si dettero la Grundgesetz, tuttora vigente, si affrettarono per evitare simili
concezioni, a disporre (all’art. 19) che “in nessun caso un diritto
fondamentale può essere leso nel suo contenuto sostanziale”; oltre a vietare su
tali diritti, di legiferare con leggi di carattere non-generale.
In realtà,
sostiene Lottieri “esiste un’inimicizia originaria tra il potere e il diritto,
e quindi anche tra il potere e la proprietà”, in ispecie da quando l’ “ordine
giuridico è stato ricondotto alle decisioni arbitrarie del legislatore”, onde
“L’arbitrio anarchico del decisore politico stabilisce chi deve avere cosa, ma
questo è reso possibile da una sorta di ipoteca collettivistica: dall’idea che
ci sia un gruppo di potere titolato a disporre di ogni bene e che può
attribuirlo a sua discrezione”. Lo Stato è il più grande distributore dei diritti (e delle risorse correlative). Peraltro
nella cultura progressista e nel suo “Stato di diritto”; “è stato allora
delineato, grazie alla teorizzazione dello Stato di diritto democratico e
sociale, un super-costituzionalismo in ragione del quale alla tripartizione
puramente istituzionale tra legislativo, esecutivo e giudiziario si
affiancherebbe una tripartizione ben più rilevante, la quale rinvia al contrapporsi
dei tre “poteri” (politico, culturale ed economico). In questo modo la
sovranità collettiva trarrebbe la sua legittimità e necessità dal compito di
contrastare le minacce provenienti dall’economia e dalla cultura, dalla
ricchezza e dal pensiero”. Onde funzione dello Stato sarebbe di contrastare i
relativi (e così denominati) abusi. Ma “L’esito di tutto ciò è un potenziamento
crescente, tendenzialmente illimitato, del dominio politico: del controllo che
il ceto governante esercita sul resto della società, sempre più espropriata dai
governanti e dai loro complici”.
Il che non ha
affatto impedito che dei poteri pubblici si servissero anche i grandi poteri
privati, realizzando così un mélange
pubblico-privato, d’altra parte spesso ripropostosi (storicamente) in gran
parte delle comunità. Anche l’occidente, e non solo Putin (e Xi) ha i propri
oligarchi. D’altronde, quanto alla dimensione temporale questo era già
stigmatizzato da Pareto nella forma della “plutocrazia demagogica” molto simile
all’attuale apparato economico-mediatico di controllo. Anche oggi, i poteri
forti “hanno reso possibile un nuovo dirigismo, in cui la grande impresa lavora
di concerto con i politici e gli intellettuali. Non c’è dunque da stupirsi se
ora, un po’ tutti, stanno passando all’incasso”.
Da ultimo, per
favorire il controllo sui governati si è inventato anche degli stati di
emergenza gonfiati, l’ultimo dei quali pressoché inesistente (quanto alla causa
indicata). È quello del riscaldamento ambientale, contestato da tanti scienziati
e contraddetto dall’andamento ciclico delle temperature (da millenni, assai
prima dell’uso dei combustibili, dei motori e delle caldaie moderne).
Nel complesso un
saggio assai interessante, che ne fa auspicare un altro: come nell’Italia della
Repubblica sia stato conculcato legislativamente
il diritto di proprietà e quanto ci sia costato. Speriamo che Lottieri sia
disponibile a scriverlo.